San Pietroburgo è stata colpita da un attentato terroristico. Nel giorno in cui, nella sua città nativa, il Presidente Putin si incontrava con il suo omologo bielorusso Lukashenko, un ordigno esploso all’interno di un vagone della metro ha provocato 14 morti e diverse decine di feriti, di cui molti in condizioni gravi. Negli attimi successivi una bomba inesplosa è stata disinnescata in un’altra stazione della metro. Allo stato attuale non è giunta ancora nessuna rivendicazione, ma la pista del fondamentalismo islamico sembra la più probabile
L’AVVENIMENTO: COSA SAPPIAMO – Nel primo pomeriggio di ieri un’esplosione ha devastato un vagone della metro di San Pietroburgo nella tratta che intercorre tra la stazione di Technologicheskiy Institut e quella di Sennaya Ploschad. Al momento dell’esplosione, nove persone sono rimaste uccise sul colpo, una è morta mentre le venivano prestati i soccorsi e altre quattro sono venute meno una volta giunte al Mariinska Hospital, ospedale nel quale sono stati portati i feriti dell’attentato. Il conducente della metro, decidendo di non rallentare o arrestare la corsa nel mezzo della tratta, è riuscito a portare il mezzo alla stazione successiva dove è stato possibile prestare i primi soccorsi in modo più veloce ed efficiente. Un gesto che potrebbe aver salvato molte vite, e per questo sarà premiato dalle autorità. Negli istanti successivi un altro ordigno, ben più pericoloso, è stato rinvenuto e disattivato nella stazione della metro a Ploschad Vosstaniya. La seconda bomba trovata inesplosa, all’interno di un estintore, conteneva, secondo l’agenzia russa Interfax , circa il triplo di tritolo usato nell’esplosione avvenuta pochi istanti prima e per rendere il suo effetto ancora più letale era stata imbottita di chiodi e bulloni.
Fig. 1 – Una delle prime immagini giunte dal luogo dell’attentato mostra il vagone sventrato dall’esplosione dell’ordigno
Il pomeriggio è proseguito, mentre si aggiornavano le cifre drammatiche dell’avvenimento, tra allarmi sparsi in vari punti della città e le prime ipotesi dei media russi e occidentali che provavano a fare luce su quanto accaduto. Il NAK – Centro Nazionale Antiterrorismo – poche ore dopo confermava la pista terroristica, pur astenendosi dall’affermare la matrice specifica che si cela dietro l’attentato. Nella notte, il portavoce del Cremlino Peskov ha assicurato che il Presidente Putin verrà costantemente aggiornato sullo svolgersi delle indagini, ma ha anche aggiunto che la teoria dell’attentatore suicida deve essere ancora confermata. La giornata si è conclusa con la visita di Putin prima al quartier generale del FSB – servizi segreti interni – poi sul luogo dell’attentato.
LA PISTA CHE CONDUCE AL JIHAD – Modalità, tempistica dell’attentato e il contesto internazionale che vede la Russia coinvolta in alcuni scenari internazionali nello scontro frontale al fondamentalismo islamico elevano proprio quest’ultimo come maggiore indiziato della matrice dell’attentato avvenuto a San Pietroburgo. Nonostante ancora nessun firmatario della galassia jihadista abbia rivendicato la paternità del brutale attacco nella città natale di Putin, al momento le altre piste sembrano essere deboli o poco credibili. Inutile quindi perdere troppo tempo su presunte macchinazioni ucraine, eclatanti gesti dell’opposizione interna o addirittura sulla “strategia della tensione” tanto cara a noi italiani. Spesso la soluzione più semplice è quella giusta e, accantonando il fascino mediatico delle teorie complottiste, basta volgere lo sguardo ai confini orientali e meridionali della Federazione Russa, dove si trovano rispettivamente le repubbliche centro-asiatiche e il Caucaso, per rintracciare le forze probabilmente responsabili per l’attentato di ieri. Negli ultimi anni tali regioni sono state infatti un serbatoio enorme di miliziani per lo Stato Islamico e per tutte le altre stelle che compongono il variegato firmamento jihadista internazionale. Non è un mistero, inoltre, che a più riprese Daesh abbia minacciato la Russia, rea di essere intervenuta nel conflitto siriano al fianco di Bashar al Assad e del suo alleato iraniano.
Fig. 2 – Un esperto di esplosivi maneggia un ordigno rinvenuto nell’abitazione di due lavoratori centro-asiatici facenti parte di una cellula dell’ISIS sgominata nella città di Samara, dicembre 2016
Negli ultimi due anni, con estrema efficienza, sono state sgominate numeroso cellule jihadiste – di cui alcune legate anche allo Stato Islamico – operanti in varie città della Federazione. Nell’agosto del 2016 un’operazione antiterrorismo condotta dal FSB aveva addirittura sventato un attentato imminente proprio nella stessa San Pietroburgo. Le prime indiscrezioni dalle indagini sulla strage di ieri parlano di un attentatore suicida sui venti anni circa di origine centro-asiatica, anche se mancano ancora conferme ufficiali su tale identikit. Questo sembrerebbe indicare ISIS come possibile mandante dell’attacco di San Pietroburgo. Ma non bisogna escludere a priori che la paternità possa appartenere anche ad al Qaeda o a qualcuna delle sue affiliate locali, Emirato Caucasico in testa. Nell’ultimo numero di al Haqiqa, magazine online facente parte alla galassia qaedista, è comparsa infatti una foto che inneggiava i fedeli a “non dimenticare mai la battaglia di Aleppo”. Un chiaro riferimento al pugno di ferro usato dalla Russia nel brutale assedio della città siriana. In alternativa, se dovesse essere smentita la pista dell’attentatore suicida, modalità usata in altri episodi che hanno visto coinvolta la metro di Mosca, e confermata invece quella del semplice ordigno esplosivo, non si potrebbe fare a meno di notare pericolose somiglianze con l’attentato che colpi la maratona di Boston nell’aprile del 2013, perpetrato da sospetti membri dell’Emirato Caucasico. Si nota comunque un livello di esecuzione tecnicamente più elevato rispetto agli ultimi attentati che hanno insanguinato l’Europa ad opera dei tanto temuti lupi solitari. E questo punto non deve essere lasciato privo di considerazione.
COSA CI DICE L’ATTENTATO – Fermo restando che la matrice deve ancora essere accertata, se dovesse essere confermata l’impronta jihadista di questo attentato possiamo fare una breve riflessione su quanto accaduto e tirare qualche conclusione. Innanzitutto l’attentato di ieri ci dimostra che non esiste, allo stato attuale, un metodo più efficace dell’altro per fronteggiare una minaccia simile. Chi per anni si è crogiolato nell’illusione che politiche soft e la non ingerenza internazionale potessero proteggerlo dalle ombre che il terrorismo jihadista gettava sul “Vecchio Continente” si è ritrovato la casa infestata da molteplici cellule jihadiste, diventando di fatto un hub internazionale del terrorismo stesso. Chi al contrario ha deciso di intraprendere un’azione più vigorosa contro di esso, colpendolo duramente e indiscriminatamente sia in casa propria sia all’estero, nonostante tutte le enormi precauzioni prese è stato colpito lo stesso. In Russia, dopo una periodo di relativa e apparente quiete, che comunque non aveva riguardato la turbolenta regione caucasica, era all’incirca da due anni che si aspettava un avvenimento simile. E così alla fine si è passati dalle operazioni jihadiste low profile che miravano alle caserme militari sparse nel Daghestan e in Cecenia all’attentato di grande impatto mediatico a cui abbiamo assistito ieri, dopo che alcuni altri in via di esecuzione o pianificazione erano stato sventati con successo.
Fig. 3 – Putin si reca ad omaggiare le vittime dell’attentato terroristico nella metro di San Pietroburgo
Altro punto che merita un’attenta riflessione è il seguente. Al contrario degli ultimi attentati che hanno colpito a Nizza, Londra e Berlino, non possiamo non notare una programmazione apparentemente molto più dettagliata per l’attacco terroristico di ieri. Questo deve preoccupare e molto. Se si trattasse dell’ISIS non potremmo fare a meno di osservare come il gruppo, prossimo alla quasi totale disfatta nel Siraq, stia iniziando a spostare mezzi e risorse – sia mentali che fisiche – nell’ideazione di attacchi all’estero. L’attentato di San Pietroburgo rappresenterebbe quindi un messaggio diretto a quei membri dell’Ummah che iniziano a dubitare dell’infallibilità del Califfato. E mirerebbe anche a serrare le fila e a confermare la leadership del gruppo. Se invece si scoprisse che l’azione terroristica di ieri è opera di qualche filiale locale di al Qaeda, sarebbe la prova inconfutabile che il gruppo, riorganizzatosi e superato con successo il periodo in cui sembrava ormai completamente oscurato da Daesh, è pronto ad ergersi nuovamente a faro del Jihad globale. In entrambi i casi una minaccia grave da non sottovalutare.
Valerio Mazzoni
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Caffè Geopolitico ha spesso affrontato il discorso del fondamentalismo islamico in Russia, con un occhio di riguardo per i problemi che esso comporta per il Cremlino. In tal senso, alcuni nostri articoli hanno analizzato alcune delle contromosse che il Governo russo ha ideato per arginare tale minaccia, come per esempio la conferma di Kadyrov alla guida della Cecenia e l’istituzione della Nuova Guardia Nazionale Russa. Nonostante ieri la Russia sia stata colpita al cuore nella sua città simbolo, queste iniziative hanno riportato nei mesi scorsi diversi importanti successi nella lotta al terrorismo jihadista. [/box]
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