A circa un anno e mezzo dal fatidico “implementation day” del 16 gennaio 2016, l’economia iraniana, la seconda dell’area MENA (escludendo la Turchia), sembra essersi lasciata alle spalle la recessione che l’aveva inchiodata a tassi di crescita negativi sino al 2014
SITUAZIONE ECONOMICA – Lo stato di salute dell’economia della Repubblica Islamica, a meno di tre settimane dalle elezioni presidenziali, è ora più che mai al centro del dibattito interno e Rouhani è consapevole che è su questo terreno che si giocheranno gran parte delle sue possibilità di essere rieletto. Infatti, il fattore che farà pendere l’ago della bilancia politica verso l’attuale Presidente o, al contrario, verso un altro candidato (ad esempio uno dei Primatisti) risiederà probabilmente nella capacità dell’attuale Presidente di convincere la classe medio-bassa della popolazione iraniana, sempre più scettica riguardo la performance dell’economia nazionale, degli effettivi benefici del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) sul suo tenore di vita.
Fig. 1 – Rouhani durante la campagna elettorale (2017)
CIÒ CHE VA – Dopo una contrazione del 1,8% (a prezzi costanti) registrata nel 2015, l’economia iraniana, grazie all’effetto congiunto della sospensione delle sanzioni, degli accordi siglati in ambito OPEC e della, seppur ancora embrionale, crescente integrazione nel network finanziario globale, ha conosciuto una ripresa consistente, con tassi di crescita del 6,4% nel 2016 e del 4% previsto per l’anno in corso (Banca Mondiale). Abbastanza prevedibilmente, tale espansione è stata in larga parte trainata dalla massiccia ripresa delle esportazioni di petrolio, precedentemente soffocate dal rigido schema di sanzioni. Tale aumento dell’export petrolifero si è tradotto peraltro in un aumento del surplus di parte corrente che è cresciuto di quattro punti percentuali rispetto al 2015, toccando il 6,5% nel 2016. Da segnalare inoltre che l’attuale governo è riuscito nel fondamentale obiettivo di contenere il tasso l’inflazione, che era schizzato al 40% nell’era Ahmadinnejad e che ora si assesta sul un sempre alto ma più rassicurante 8,6%. Per completare la fotografia, sinora tutta positiva, dell’economia iraniana, può essere utile menzionare il trend positivo del deficit che nel 2016 è sceso all’1,5% in rapporto al PIL, soprattutto grazie alla riforma del sistema dei sussidi che ha permesso al governo di risparmiare ogni anno diversi milioni di dollari.
CIÒ CHE NON VA – Passando al versante del mercato del lavoro, molto rilevante ai fini politici, la situazione è decisamente meno rosea. Infatti, come Raisi, il candidato conservatore, e l’Ayatollah Khamenei non hanno mancato di ricordare, gli alti tassi di crescita fanno ancora fatica tradursi in un calo del tasso di disoccupazione, che ha registrato nel 2016 un picco su base triennale pari al 12,7%, solo in parte spiegabile con un aumento della partecipazione al mercato del lavoro. La situazione è ancora peggiore per i giovani, il cui tasso di disoccupazione è circa il doppio di quello nazionale e soprattutto per coloro che detengono un diploma di istruzione universitaria, il 40% dei quali è tuttora senza un’occupazione, tanto che alcuni esperti parlano ormai di crisi da “sovraeducazione” per l’Iran. Tali dati confermano peraltro come il settore petrolifero, che è cresciuto del 30% solo nella prima parte del 2016, faccia la parte del leone nella ripresa iraniana. Tale settore però, ad alta intensità di capitale, contribuisce solo in maniera limitata all’occupazione. Dunque la sua ripresa non coincide con un aumento significativo dei posti di lavoro, che invece necessiterebbero di altri modelli di business. Tuttavia, una complessa interazione di fattori interni ed esterni rende difficile l’emergere di quel tessuto di piccole e medie imprese fondamentale per creare nuova domanda di lavoro. Sul versante esterno, le sanzioni legate al programma missilistico che sono ancora presenti sulle transazioni in dollari che passano per gli USA e la cronica carenza di investimenti esteri rendono complicato per le imprese iraniane sia l’accesso al credito che il pagamento degli import. Sul fronte interno l’Iran, che occupa solo il 140esimo posto su una classifica di 190 paesi stilata dalla World Bank per la facilità di fare business, vede la propria economia ancora dominata da imprese interamente o in parte pubbliche che hanno approfittato del periodo delle sanzioni per rafforzare ulteriormente la propria posizione, in un Paese in cui le Guardie della Rivoluzione, con il pretesto di assicurare la sicurezza del Paese, controllano circa ¼ dell’economia nazionale. È ovvio che, in tale contesto, la propensione degli investitori internazionali a fare affari in Iran, sebbene in crescita, rimanga ancora piuttosto limitata.
Fig. 2 – Bandiere iraniane lungo una via principale di Teheran
PROSPETTIVE E SFIDE PER IL FUTURO – Nel medio termine, una volta sfruttata l’intera capacità potenziale del settore petrolifero, l’economia iraniana dovrebbe continuare ad espandersi, ma a tassi ben più moderati. Tuttavia, per un sentiero di crescita sostenibile nel medio periodo e per migliorare la performance del mercato del lavoro, sarebbe importante intraprendere un processo di diversificazione dell’economia, per diminuirne la dipendenza dalle esportazioni di petrolio e per consentire l’espansione di settori a più alta intensità di lavoro. Ciò richiede misure strutturali adeguate, che siano tese a facilitare una transizione verso un’economia di mercato non dominata dall’establishment e che al contempo limitino l’ingerenza del settore pubblico e stabiliscano un quadro di regole chiaro che garantisca pari condizioni per i diversi attori economici. Infine, se come detto la performance economica influenzerà in gran parte l’esito delle elezioni, è anche vero che quest’ultimo potrebbe determinare le prospettive future dell’economia della Repubblica Islamica. È di cruciale importanza che il futuro presidente prosegua il cammino intrapreso sulla scia del JCPOA, che ha visto l’Iran riconquistare il suo posto nell’economia mondiale. Un’ eventuale vittoria di un candidato più conservatore e un ritorno a politiche di stampo isolazionista potrebbe ulteriormente spaventare gli investitori esteri e congelare il processo di integrazione dell’Iran del sistema finanziario ed economico globale, così penalizzando la fascia più giovane, istruita e dinamica della popolazione della Repubblica Islamica.
Stefano Cabras
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
In poche decadi, l’Iran ha visto crescere in maniera spettacolare la partecipazione all’educazione terziaria. Solo tra il 1999 ed il 2015, il tasso globale di iscrizioni alle università iraniane è passato dal 19,3% al 71,9%, ed è ora superiore a quello di paesi come Italia, Giappone e UK (ultimi dati UNESCO 2015). [/box]
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