In 3 sorsi – Da metà degli anni ’60 il Porto Rico ha indetto cinque referendum sull’eventualità di divenire vero e proprio Stato Usa, tre dei quali con esito negativo e uno naufragato per la bassa affluenza. Tenendo conto che, a prescindere dagli esiti, la scelta sullo status giuridico del Paese spetta al Congresso statunitense, vediamo cosa è successo con l’ultimo referendum e qual è la situazione interna dell’isola caraibica
1. IL REFERENDUM – Secondo quanto attestato dai risultati del referendum consultivo dell’11 giugno 2017 sullo status giuridico del Porto Rico, il 97% dei portoricani si è espresso a favore di un cambiamento: da Stato libero associato agli Stati Uniti a vero e proprio Stato USA. È necessario, tuttavia, fare una precisazione: il referendum in cui la popolazione è stata chiamata a votare è stato boicottato dai principali partiti di opposizione e caratterizzato da elevato astensionismo. Si tratta del quinto referendum per decidere il futuro politico del Paese, dopo le votazioni degli anni 1967, 1993, 1998 e 2012 e spetterà al Congresso statunitense approvare o meno tale decisione. In relazione al recente plebiscito, in un comunicato stampa il Governatore Ricky Rossellò ha affermato: «Today, we the people of Puerto Rico are sending a strong and clear message to the US Congress and to the world claiming our equal rights as American citizens», esprimendo la volontà di inviare un chiaro messaggio al Congresso affinché i portoricani abbiano gli stessi diritti dei cittadini statunitensi. In effetti, nonostante siano riconosciuti come statunitensi dal 1917, diverse sono le limitazioni/doveri che concernono i cittadini dell’isola portoricana, tra cui non poter votare per il Presidente statunitense alle elezioni, né eleggere i propri rappresentanti al Congresso (presso cui hanno solo una delegazione senza diritto di voto). Il concetto di libera associazione tra Stati Uniti e Porto Rico equivale allo status di “Commonwealth”, che caratterizza la relazione politica tra i due Stati dal 1898, anno che sancì la fine della guerra ispano-americana e il passaggio dell’isola caraibica sotto la sovranità USA, dopo 4 secoli di dominio spagnolo. Più precisamente, nel 1952 fu approvata una legge federale per puntualizzare lo status di “US Commonwealth” del Porto Rico. La differenza rispetto agli altri Stati sta nell’avere una propria costituzione, un proprio governatore e nel pagare le tasse locali, la previdenza sociale, l’assicurazione medica, ma non le tasse federali.
Fig. 1 – Ricky Rossellò, Governatore del Porto Rico, parla del referendum in una conferenza stampa a Washington
2. LA CRISI ECONOMICA – L’ isola caraibica situata tra Nord e Sud America, pur avendo avuto entrate dal settore turistico pari a 4 miliardi di dollari nel 2016, ha dichiarato bancarotta a inizio maggio, con un debito di 73 miliardi e tassi di povertà e di disoccupazione molto alti (45% e 11,5%) che hanno portato il Paese verso una condizione complessiva di recessione, divenuta anche crisi umanitaria. L’economia è al collasso da decenni e ha bisogno di una forte ripresa. Ottenere l’appoggio degli USA potrebbe portare a una soluzione dei gravi problemi dell’isola. È possibile però che, proprio a causa delle finanze a terra, il Congresso non accetti né i risultati del referendum, né di aiutare il Porto Rico dal punto di vista economico. D’altra parte, con il nuovo Presidente, la situazione è meno facile da prevedere: nel giugno 2016, l’ex Presidente Obama siglò un piano di salvataggio denominato “Promesa” (promessa in spagnolo) per uscire dalla crisi, posizione, per ora, non condivisa dal programma di Trump.
Fig. 2 – Le bandiere di USA e Porto Rico, il giorno in cui Rossellò annunciò la bancarotta a San Juan
3. UN ONERE TROPPO GRANDE? – In considerazione del quadro appena delineato e dei relativi problemi del Porto Rico è possibile prevedere che il Congresso non voglia assumersi un onere così grande. Ma i cambiamenti sono all’ordine del giorno, quindi gli States potrebbero decidere diversamente applicando l’articolo 4 sezione 3 della Costituzione, ovvero aggiungendo un nuovo Stato alla Federazione. Ciononostante, dato che il Porto Rico ha un lungo passato coloniale spagnolo e, conseguentemente, ha acquisito in termini linguistici, culturali e societari l’eredità della Spagna, ci si chiede se l’isola abbia tutte le carte in regola per diventare il 51esimo Stato. Non resta che aspettare cosa deciderà il Congresso in merito.
Marta Annalisa Savino
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Per approfondire sulla situazione del Porto Rico, potete cliccare su questo link, dove troverete un nostro precedente articolo.[/box]