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L’ultima battaglia di Liu Xiaobo, paladino dei diritti umani

In 3 sorsi – Lo scorso 26 giugno Liu Xiaobo, il famoso attivista cinese, è stato scarcerato e ricoverato in un ospedale nel Nord della Cina per un cancro al fegato allo stadio avanzato. La vita e i gesti di un attivista mediaticamente dimenticato dal 2009 sono legate alle prossime decisioni del Governo di Pechino. Esso appare poco propenso a mettere da parte il timore di una minaccia sovversiva anche di fronte alle immagini di un oramai indifeso Liu Xiaobo

1. CONDIZIONI DISPERATE – Liu Xiaobo non è piĂą dietro le sbarre dal 26 giugno. Ma quella che sta affrontando è la sua sfida capitale: avere accesso alle cure piĂą recenti per combattere un cancro al fegato alla fase terminale. Le tensioni in Cina, Europa e Stati Uniti crescono intorno al tema: di fronte alla richiesta di trasferire Liu in ospedali occidentali piĂą avanzati, la risposta del Governo cinese è stata assolutamente negativa. Il principio di non interferenza, cardine della politica estera cinese, anche in questo caso sembra farla da padrone: pur essendo in gioco la vita di un uomo, di un Premio Nobel, non c’è margine di discussione. Del resto, agli occhi del Governo cinese, Liu è sempre il pericoloso sovversivo che è stato condannato a undici anni di reclusione nel 2009. Solo molto di recente, attraverso un comunicato stampa, l’equipe medica dell’ospedale di Shenyang che ha in cura il sessantunenne ha richiesto il supporto di medici stranieri per tentare approcci alternativi. Nei giorni scorsi si sono quindi recati in Cina due medici occidentali, uno americano e uno tedesco, che hanno confermato il protocollo di cure in corso e hanno suggerito implicitamente il trasferimento all’estero del paziente. Data la gravitĂ  della situazione, infatti, Liu Xiaobo non può essere sottoposto ad operazioni chirurgiche, radioterapie e chemioterapie.
Non solo: nonostante la complessità delle condizioni di salute, a pochi è davvero concesso di vederlo e stargli vicino, in una battaglia che, secondo indiscrezioni, durerà ancora per poco. Certamente, tra questi, vi è la moglie Liu Xia che, però, è ancora agli arresti domiciliari. Non potendosi spostare con libertà, è ovvio che la sua non sia una presenza costante, come del resto quella di amici e parenti. A costoro, infatti, non è stato affatto permesso di vedere Liu Xiaobo, nel timore che possa, ancora una volta, parlare e raccontare al mondo la storia di una Cina più giusta e in cui i diritti umani possano, prima o poi, diventare una colonna portante della società cinese. Una campagna, condotta da Amnesty International, sta proprio in questi giorni prepotentemente chiedendo che le persone, non solo cinesi, più vicine a Liu possano incontrarlo per l’ultima volta. Le manifestazioni di solidarietà, testimonianza del grande peso che l’attivista ha rivestito e tutt’ora riveste in Cina, ha trovato anche spazio a margine delle celebrazioni per il rientro di Hong Kong alla sovranità cinese. Nelle manifestazioni a favore della democrazia molti cittadini hanno indossato maschere rappresentanti il volto di Liu, per riaccendere le luci dei media su una vicenda non abbastanza compresa nella sua complessità. La mobilitazione è anche giunta da molti scrittori di fama internazionale e premi Nobel del mondo, che si sono prodigati, attraverso svariate petizioni, a richiedere il rilascio di Liu.

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Fig. 1 – Un manifesto di supporto agli attivisti per i diritti umani imprigionati dal Governo cinese: al centro la foto di Liu Xiaobo

2. IL RUOLO NELLA PROTESTA DI TIENANMEN – L’interessamento della societĂ  civile tutta non è, del resto, affatto casuale. Liu Xiaobo ha, infatti, ricevuto nel 2010 il Premio Nobel per la pace come simbolo della lotta per il riconoscimento dei diritti umani in Cina. Particolarmente critico del Partito Comunista cinese, la sua storia è primariamente legata ai fatti di Tienanmen del 1989. Nei concitati momenti della protesta, Liu non era in Cina ma si trovava a New York come Visiting Professor alla Columbia University. Eppure egli decise immediatamente di raggiungere gli studenti a Pechino. Fu tra i negoziatori degli accordi con i militari per concludere gli scontri con il minor numero di vittime possibile. La sua posizione, in quel momento giĂ  piuttosto compromessa, non lo indusse a cercare asilo politico all’estero, ma a restare in Cina, dove fu arrestato e rilasciato nel 1991. Da questo momento in poi, la vita di Liu Xiaobo è stata scandita da arresti domiciliari, campi di rieducazione, sentenze e prigionia. Una volta fuori dal carcere, infatti, il suo impegno si è rivolto principalmente a salvare quanti ancora erano in prigione per la rivolta di Tienanmen. Per tale ragione, fu arrestato nuovamente e mandato in un campo di riabilitazione per tre anni. A seguito del matrimonio con Liu Xia, le autoritĂ  cinesi hanno impedito a Liu di continuare a tenere pubbliche lezioni all’universitĂ  e i suoi libri sono stati banditi dalla Cina.

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Fig. 2 – Una suora di Hong Kong partecipa a una veglia a sostegno di Liu Xiaobo, 29 giugno 2017

3. LA CHARTA 08 E IL NOBEL  Ciononostante, nel 2008, assistito da un nutrito gruppo di intellettuali, ha pubblicato un manifesto noto come Charta 08, contenente un numero cospicuo di riforme intese a modificare la costituzione e a diffondere le pratiche democratiche. Tra le critiche mosse, anche quella alla modernizzazione del Partito Comunista, più ideale che reale. Per il mondo occidentale le richieste del documento erano abbastanza moderate, ma per il sistema cinese, ancora caratterizzato da un forte accentramento di potere nelle mani del Partito Comunista, esse sembravano del tutto irragionevoli. Esempi sono la separazione dei poteri, la richiesta di rispetto dei diritti umani, elezioni a livello locale, indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo e libertà di associazione, fortemente ristretta all’indomani del 1989. Il manifesto fu rilasciato in occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e trae spunto dalla nota Charta 77, redatta negli anni ’70  da alcuni intellettuali cecoslovacchi. Tuttavia, prima che il manifesto potesse apparire online, alcuni agenti fecero irruzione nella casa di Liu e lo arrestarono. Dopo un fermo di circa un anno, il 25 Dicembre 2009 la Corte decise per l’incarcerazione per undici anni.

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Fig. 3 – Manifestanti chiedono il rilascio di Liu Xiaobo pochi giorni dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la pace al dissidente cinese, dicembre 2010

Due anni dopo la pubblicazione di Charta 08 Liu Xiaobo è stato insignito del Premio Nobel per la sua lunga e non violenta lotta per i diritti umani. La reazione delle autorità cinesi fu di assoluta chiusura e a Liu non fu concesso di partecipare alla cerimonia. Mediaticamente, la Cina si sentiva sotto assedio: le immagini di una sedia vuota fecero subito il giro del mondo, irritando l’opinione pubblica, ma non producendo sostanziali risultati. Anzi, Liu Xia, la moglie di Liu Xiaobo, fu immediatamente sottoposta agli arresti domiciliari, senza nemmeno una valida spiegazione delle ragioni che avevano indotto a tale gesto. Da questo momento, il loro isolamento da amici e parenti ha avuto luogo e continua tutt’oggi, a dispetto della diagnosi terminale di Liu avvenuta nel maggio scorso. Nelle prossime settimane, quello che la società civile si aspetta è la possibilità di ascoltare per l’ultima volta le parole di un attivista dimenticato nella sua prigionia per troppo tempo. Ma la strada si preannuncia tortuosa e con poche speranze di successo.

Giovanni Ardito

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Liu Xia non è semplicemente la moglie di Liu Xiaobo, ma un personaggio chiave nella lotta per i diritti umani sin dagli anni ’90. Già poetessa e artista, nel corso della detenzione rieducativa del marito, Liu Xia ha prestato la propria voce per continuare la battaglia democratica iniziata nel 1989. A seguito della consegna del Premio Nobel per la pace al marito, fu posta agli arresti domiciliari, nel timore di una nuova ondata di proteste. In una condizione di ristrettezza economica e fisica, il Governo cinese ha più volte tentato di rinchiuderla in una struttura per salute mentale. A seguito della richiesta di essere visitata da un medico esterno ai fatti, ha evitato l’internamento, ma la sua voce resta ancora soffocata dalla repressione di Pechino.[/box]

Foto di copertina di kunshou Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Giovanni Ardito
Giovanni Ardito

Nato a Napoli nel 1995 e attualmente studente di International Affairs presso l’Università di Bologna, sono appassionato di Cina e dell’uso dei droni nei conflitti armati.

Trasferitomi a Roma dopo la maturità classica, mi sono laureato con lode in Scienze politiche e Relazioni internazionali all’Università La Sapienza di Roma, con una tesi sul modello One Country Two Systems ad Hong Kong. Contemporaneamente, assecondando i miei interessi all’ interdisciplinarietà, ho studiato presso la Scuola Superiore di Studi Avanzati della Sapienza, dove ho avuto la possibilità di scrivere di Siria, salvaguardia del patrimonio culturale internazionale e basi militari. Non propriamente amante dell’attività sportiva, nel tempo libero mi piace leggere e ascoltare musica… nel tempo libero, appunto.

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