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La deriva autoritaria della Polonia può essere fermata?

Il Governo della Polonia cerca di minare le fondamenta dello Stato liberale costruito dopo la caduta del comunismo. L’UE e la Germania stanno perdendo la pazienza, ma senza la sponda USA tutto diventa più difficile. Bruxelles minaccia di sospendere il diritto di voto della Polonia nel Consiglio dell’UE, ma paga il prezzo di (in)decisioni passate. Per ora il Presidente della Repubblica ha posto un argine all’azione del Governo, ma durerà?

LO SCENARIO – Le elezioni del 2015 hanno portato l’ultraconservatore PiS (Partito di Diritto e Giustizia) alla guida della Polonia, permettendogli di sconfiggere i rivali centristi di Piattaforma Civica, in precedenza guidati da Donald Tusk, attualmente presidente del Consiglio europeo. La vittoria del PiS ha consentito al leader del partito, Jaroslaw Kaczynski, di avere un’opportunità per realizzare il suo progetto: distruggere lo Stato liberale polacco nato sulle ceneri del regime comunista tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Kaczynski considera lo Stato polacco post-1989 come il frutto di un accordo tra alcuni pezzi del regime comunista e l’opposizione moderata al regime. Il leader del PiS, poi, ha una vera e propria ossessione per le teorie cospirative, e accusa la Russia di aver assassinato nel 2010 il fratello Lech, all’epoca Presidente della Repubblica, morto in un incidente aereo presso Smolensk. Jaroslaw Kaczynski accusa Donald Tusk, a quel tempo premier liberale della Polonia, di aver complottato con Mosca in quell’occasione.

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Fig.1 – Il leader del PiS Jaroslaw Kaczynski

LA RIFORMA DEL SISTEMA GIUDIZIARIO – Il 21 luglio scorso il Senato polacco ha approvato una controversa legge che riforma il sistema giudiziario. Il PiS, sfruttando il malcontento dell’uomo della strada nei confronti di una magistratura considerata inefficiente e corrotta, ha architettato una riforma che annulla l’indipendenza del potere giudiziario: i giudici della Corte Suprema del Paese dovrebbero passare al vaglio del ministro della Giustizia dell’attuale Governo, che sceglierà gli eventuali sostituti. In sostanza la divisione dei poteri in Polonia cesserebbe di esistere. Il 24 luglio il Presidente della Repubblica Andrzej Duda (anch’egli esponente di Diritto e Giustizia) ha annunciato che metterà il veto alla parte più contestata del provvedimento. La decisione di Duda, giunta assolutamente inaspettata (anche se il Presidente nelle ultime settimane aveva espresso dubbi sulla legge), sembra dovuta alle pressioni europee su Varsavia, alle manifestazioni nelle grandi città contro il PiS e ai timori per la stabilità economica. La riforma tuttavia è solo l’ultimo di una lunga serie di atti legislativi ed esecutivi del PiS che sta minando le fondamenta dello Stato liberale polacco. Inoltre non è ancora chiaro come si evolverà la situazione. Non c’è dubbio che la decisione del Presidente della Repubblica abbia mandato su tutte le furie Kaczynski, che aveva sostenuto Duda anche confidando nella sue fedeltà al PiS.

IL FATTORE TRUMP – L’Amministrazione Obama non era partita benissimo nei rapporti con la Polonia. Il tentativo di perseguire un “nuovo inizio” con la Russia aveva rovinato l’idillio tra Washington e Varsavia, ma non ne aveva compromesso l’alleanza. Il fallimento del reset tra USA e Russia aveva poi spianato la strada ad un rafforzamento della partnership. Il cambio della guardia del 2015 a Varsavia non aveva avuto grande impatto sui rapporti bilaterali. Tuttavia Obama non era disposto ad avallare un’eccessiva deriva autoritaria della Polonia ed era più incline a contenerne gli eccessi facendo leva sulla “moral suasion” statunitense e contando sull’estrema dipendenza di Varsavia dalla NATO e dagli USA. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha modificato gli equilibri. Il viaggio di Trump in Polonia è stato interpretato come un via libera alle azioni di un esecutivo ideologicamente molto vicino al nuovo Presidente USA e ad alcuni suoi consiglieri. Il Governo polacco e la nuova Amministrazione USA condividono una posizione di chiusura nei confronti dell’immigrazione e una viscerale diffidenza nei confronti dell’Islam, per non parlare di una forte ostilità alla Germania e all’Unione Europea (quest’ultima vista come la longa manus di Berlino). Il discorso di Trump a Varsavia ha lasciato i polacchi soddisfatti: il nuovo Presidente USA ha indicato la Polonia come l’avanguardia di un nuovo Occidente. Il Dipartimento di Stato USA ha rilasciato dichiarazioni critiche nei confronti della riforma della giustizia, ma la Casa Bianca non sembra intenzionata a esercitare pressione nei confronti di Varsavia.

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Fig.2 – Un momento del discorso del Presidente USA Donald Trump a Varsavia

L’UE – La Polonia è entrata con entusiasmo nell’Unione Europea nel 2004 e, fino a due anni fa, opinione pubblica e Governo erano fortemente europeisti. L’elettorato e le classi dirigenti del Paese, infatti, identificavano nell’Unione Europea una via verso la prosperità e verso un’ulteriore integrazione nel sistema euroatlantico. Chiaramente non tutto era perfetto come sembrava. Risulta oggi evidente, ad esempio, che una parte consistente della popolazione non ha beneficiato appieno dall’adesione all’UE. L’Unione poi sembra essersi cullata in un eccessivo ottimismo sull’allargamento a est, sottovalutando le sfide poste dall’integrazione nel club europeo di Paesi di recentissima democratizzazione. Tuttavia non è un caso che la grande maggioranza dei polacchi ancora oggi sostenga vigorosamente l’Unione e l’adesione del proprio Paese ad essa. Questa convinzione, fortemente radicata nell’opinione pubblica, pone un primo, serio vincolo alla libertà d’azione del Governo di Varsavia. Un’uscita della Polonia dall’Unione Europea sembra ad oggi poco probabile, se non altro perché la crescita economica del Paese è strettamente legata all’appartenenza al mercato unico e ai finanziamenti provenienti da Bruxelles. L’UE aveva minacciato di ricorrere all’art.7 del Trattato sull’Unione Europea (vedi il chicco in più) e decidere di sospendere il diritto di voto del Governo polacco all’interno del Consiglio europeo. L’opinione pubblica polacca rimane europeista, anche se i sondaggi non mostrano cedimenti nel consenso al PiS, complice la buona congiuntura economica. Tuttavia il rischio di intensificare lo scontro con Varsavia potrebbe essere quello di servire un assist all’esecutivo, che coglierebbe l’occasione per accusare gli oppositori interni di cospirare con Bruxelles e Berlino per danneggiare la nazione polacca e per avvalorare la tesi di un complotto esterno contro la Polonia (tesi che, considerata la complicata storia del Paese, potrebbe trovare terreno fertile).

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Fig.3 – Il premier ungherese Viktor Orban

E ADESSO? – L’unico attore internazionale che può impedire un ulteriore scivolamento della Polonia verso un regime autoritario rimane l’Unione Europea. Ma senza un appoggio, anche simbolico o retorico, da parte di Washington, tutto diventa più difficile. Come se non bastasse l’Ungheria di Viktor Orban aveva già annunciato che avrebbe posto il veto a un’eventuale proposta di sospendere il diritto di voto di Varsavia nel Consiglio europeo (decisione per la quale serve l’unanimità). Il Primo ministro ungherese, accusato di avere compromesso lo Stato di diritto nel proprio Paese e di aver dato vita in suolo magiaro a quella che lui stesso ha definito una “democrazia illiberale”, ha promesso di difendere Varsavia dalla “inquisizione europea”. Se Bruxelles avesse preso a suo tempo decise misure nei confronti di Budapest forse lo scenario sarebbe diverso. La convenienza politica spinse invece i leader europei dell’epoca a non adottare contromisure nei confronti di Orban, nella convinzione che Budapest sarebbe spontaneamente tornata sulla retta via e che comunque il “modello ungherese” non avrebbe fatto proseliti. I fantasmi di decisioni sbagliate (o più semplicemente mai prese) tornano quindi a perseguitare l’Unione. La decisione di Duda lascia intravedere uno spiraglio: le pressioni europee possono dare spazio di manovra ai moderati all’interno del PiS (o più semplicemente ai pragmatici/realisti) e riportare la Polonia sui suoi passi. Decisive saranno le prossime mosse dell’esecutivo di Varsavia. L’UE e la Germania sono giustamente preoccupate per la deriva autoritaria della Turchia di Erdogan e minacciano di lasciare Ankara sul pianerottolo dell’Unione. Ma è finalmente venuto il momento di guardare in faccia la realtà e riconoscere che le democrature in stile Russia e Turchia (modelli che combinano aspetti democratici e autoritari) le abbiamo già nel salotto del club europeo.

Davide Lorenzini

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

L’art.7 del Trattato sull’Unione Europea prevede che il Consiglio europeo, su proposta motivata della Commissione Europea, del Parlamento Europeo o di un terzo degli Stati membri, possa constatare all’unanimità una violazione di uno o più principi fondamentali dell’Unione (tra i quali rientra lo Stato di diritto). Il Consiglio deve quindi stabilire all’unanimità l’esistenza di questa violazione e decidere poi con la semplice maggioranza qualificata la sospensione del diritto di voto del rappresentante dello Stato in questione in seno al Consiglio. Finora l’articolo 7 non è mai stato applicato.[/box]

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Davide Lorenzini
Davide Lorenzini

Sono nato nel 1997 a Milano, dove studio Giurisprudenza all’Università degli Studi. Sono appassionato di politica internazionale, sebbene non sia il mio originario campo di studi (ma sto cercando di rimediare), e ho ottenuto il diploma di Affari Europei all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano. Nel Caffè, al cui progetto ho aderito nel 2016, sono co-coordinatore della sezione Europa, che rimane il mio principale campo di interessi, anche se mi piace spaziare.

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