L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 1 agosto ha suscitato all’interno della redazione una discussione sul ruolo dell’Italia nel mondo e l’influenza che possiamo davvero giocare in politica estera, all’indomani dei due “schiaffi” ricevuti dalla Francia su Libia e Fincantieri
Difficile non concordare con quanto sostenuto da Ernesto Galli della Loggia nel suo editoriale “Un Paese senza alleati che rischia l’irrilevanza“. È un’analisi dura, ma indicativa della realtà attuale relativa ai rapporti di forza in Europa e della proiezione del nostro Paese in ambito internazionale. Aggiungiamo che tale dinamica si spinge però ben oltre l’atteggiamento adottato in politica estera, ma si sostanzia poi in rapporti radicati dei cui gli altri Stati sono sempre diffidenti. Veniamo considerati opportunisti, doppiogiochisti, inaffidabili, ma in realtà la spiegazione è più semplice: i nostri governi sono ondivaghi perchè deboli. Gli esempi più recenti sono la Libia e il caso STX-Fincantieri.
Per la Libia, è vero, i francesi non sono stati proprio magnanimi, ma sono anni che noi reclamiamo la leadership per qualunque cosa riguardi il futuro del Paese senza però essere disposti a “sporcarci le mani” per primi per dare l’esempio; sosteniamo a parole un Governo internazionalmente riconosciuto trascurando la realtà dei fatti sul terreno. Non c’è dunque da stupirsi se alcuni alleati si sono stancati di aspettare e qualcuno, appunto, ha deciso di fare da sè. Quello che otterrà la Francia è tutto da vedere: Macron non ha la bacchetta magica, ma ha avuto l’opportunità di giocare da protagonista e lo ha fatto. Inoltre, la Francia sta facendo bene a sudovest della Libia, ma alcuni sforzi sono inficiati dalla porosità del confine libico e dai flussi di armi e persone che si sono formati tra la Libia e il Sahel negli ultimi anni. Pertanto, Parigi vuole sistemare un po’ le cose (alla sua maniera, e forse al di sopra delle sue possibilità). Se coloro i quali gestiscono la politica estera italiana ci avessero pensato, si sarebbe potuto giocare d’anticipo, agire e poi offrire ai francesi un accordo. Invece, tutti qui a lagnarci del “torto subito”.
Fig. 1 – Sarà vera amicizia tra Italia e Francia con Macron al potere?
Passando ad STX, in Italia sembra che in pochi abbiano realmente capito il nocciolo della questione. Il cantiere in questione è di importanza strategica per la Francia, è fra i pochissimi a poter costruire navi tuttoponte di grandi dimensioni (come ad esempio il De Gaulle o la classe Mistral), pertanto è normale che in questo momento (e lo sottolineiamo) i francesi non vogliano concederlo senza garanzie di controllo. Potrebbe sembrare una sciocchezza, perchè precedentemente il 67% del cantiere era stato ceduto ai sudcoreani, e in effetti le motivazioni addotte dal Governo e dalla stampa italiana si sono attaccate a questo ragionamento: “Ecco, attaccano l’Italia, a loro sì, a noi no”. Dimenticando però di contestualizzare. Quando i sudcoreani hanno rilevato il cantiere l’Europa era ancora in fase di “ubriacatura da pace perpetua”: alla Casa Bianca c’era Obama, all’Eliseo Hollande, il primo con grande atteggiamento di apertura verso Francia e Germania, il secondo molto propenso ad un riavvicinamento agli Stati Uniti come partner strategico. Ora dall’altra parte c’è Trump, Macron parla di “Europa che fa sè” e rispolvera i rapporti con la Germania sulla Difesa, a cui vuole arrivare con una bella dote. Aggiungiamo poi che lo Stato francese è sempre stato disposto ad affrontare “bagni di sangue” finanziari in nome dell’indipendenza strategica nazionale da fornitori esteri, per quanto possibile.
Fig. 2 – La marcia indietro di Parigi sui cantieri di St. Nazaire ha scatenato una crisi diplomatica con l’Italia
Ma, allora, perchè Macron parla di europeismo ma non vende all’Italia? Negli ultimi decenni l’industria italiana ha spesso seguito scelte di opportunità, in assenza di una visione strategica complessa. Alcuni programmi hanno seguito il tentativo francese e tedesco di costruire una propria autonomia in termini di capacità e strategica, altri hanno continuato la stretta collaborazione con l’alleato americano, vedendo nella spartizione del lavoro e nelle compensazioni industriali una strategia a basso rischio e un buon ritorno economico, oltre che una conferma politica dei legami tra Roma e Washington. In un periodo nel quale le risorse sono limitate ed i programmi pochi, scelte di questo genere – o dal punto di vista strategico “non-scelte” – disperdono le poche preziose risorse economiche senza peraltro sottendere politiche di lungo termine definite. A ciò si aggiunge il fatto che, nel contesto italiano, l’industria della Difesa ha spesso rappresentato un modo per creare opportunità di impiego che le legislature che si sono succedute non sono riuscite a conseguire con riforme strutturali. Il modello ibrido che include programmi nazionali, partecipazioni europee e collaborazioni con gli Stati Uniti in maniera pressoché paritetica disperde risorse e rende il potere contrattuale dell’Italia debole, perché diviso fra troppe posizioni non sempre conciliabili.
Insomma, in un momento in cui la Francia sente di dover dare un giro di vite alla propria postura strategica, non si fida dell’Italia, e delle pressioni che Stati Uniti o altri potrebbero fare sull’industria italiana. Si badi bene che il governo francese ha chiesto di rivedere l’accordo, non di cancellarlo. L’Eliseo non avrebbe nemmeno le risorse per rilevare il cantiere – ha appena tagliato 850 milioni alla Difesa per problemi di budget – e dovrebbe organizzare/sperare in una cordata privata, magari messa insieme per intercessione di Alexis Kohler, segretario generale dell’Eliseo, vicino a Macron. Sarà in ogni caso interessante vedere gli sviluppi dell’accordo per ciò che concerne la cooperazione militare – il cantiere si occupa si di civile che di militare. A quanto pare è una delle opzioni che Le Maire metterà sul piatto all’incontro con le controparti italiane – il Ministro dell’Economia Padoan e quello dello Sviluppo Economico Calenda – e prevederebbe la creazione di un “campione europeo” per il settore. Se così fosse, non si tratterebbe esattamente di uno schiaffo all’Italia (e sembra tra l’altro che il Ministro della Difesa Pinotti sia a favore di un’intesa sulla cooperazione militare).
Come reagirà dunque il nostro Governo? Con una visione strategica e di lungo periodo o con rimostranze di carattere essenzialmente diplomatico che non porteranno a conseguenze significative?
La Redazione
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, ha dichiarato che l’obiettivo è “di tipo industriale, non politico”. Attenzione però: stiamo parlando di un’azienda controllata al 72% da Fintecna (l’ente di Stato che si occupa del management delle aziende di Stato e partecipate) e che la cosa verrà discussa tra Le Maire, Padoan e Calenda.[/box]
Foto di copertina di GK Sens-Yonne Licenza: Attribution-NoDerivs License