venerdì, 27 Dicembre 2024

APS | Rivista di politica internazionale

venerdì, 27 Dicembre 2024

"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

Associazione di Promozione Sociale | Rivista di politica internazionale

La parità dei sessi nella legislazione tunisina: cosa bolle in pentola? – Parte I

Paese all’avanguardia fin dall’indipendenza in materia di diritti delle donne nell’area medio-orientale, la Tunisia è oggi in pieno processo di abbattimento degli ultimi ostacoli legislativi a una completa parità di genere

I DIRITTI DELLE DONNE IN TUNISIA: UN QUADRO GENERALE – Il 13 agosto scorso, in occasione della Giornata Nazionale della Donna, il Presidente della Repubblica Tunisina Beji Caid Es-sebsi ha tenuto un discorso alla nazione, evidenziando l’importante ruolo delle donne nel Paese, ed esprimendo la volontà e la necessità di giungere alla completa parità di genere in ogni settore. Le sue parole hanno sottolineato come il contributo delle donne all’avanzamento del Paese appare in netto contrasto con le discriminazioni che la popolazione femminile deve ancora affrontare e subire in determinati ambiti. Infatti, nonostante nel panorama medio-orientale la Tunisia rappresenti uno degli esempi più all’avanguardia in materia, la generale modernità del Paese è affiancata dalla permanenza di norme antiche e desuete, la cui abrogazione o rivisitazione porterebbe a un miglioramento della condizione femminile.
Le fondamenta che ancora oggi sostengono l’architettura dei diritti civili in Tunisia sono state gettate negli anni ’50 sotto il mandato del Presidente Habib Bourguiba con la promulgazione, nel 1956, del Code du Statut Personnel (CSP), che continua ancora oggi a disciplinare la sfera sociale e familiare dei cittadini tunisini.
Questo codice ha apportato un’importante rivoluzione nella vita delle donne tunisine, abolendo la poligamia, il ripudio e la figura del tutore maschile (walī), introducendo un’età minima per il matrimonio, che da quel momento in poi diventa inoltre un contratto consensuale tra i coniugi, e inaugurando una procedura giudiziaria di divorzio, cui può ricorrere sia l’uomo sia la donna.
Un anno dopo, le donne tunisine hanno ottenuto il diritto di voto, e negli anni a seguire lo scenario socioeconomico nazionale ha visto sempre più la partecipazione attiva della popolazione femminile, cui è stato concesso il diritto di lavorare, di avere proprie risorse finanziare, di aprire una propria attività economica, nonché di assumere contraccettivi e abortire.

Embed from Getty Images

Fig. 1 – L’ex Presidente Habib Bourguiba negli anni ’50

Queste innovazioni non hanno però sovrascritto la cultura patriarcale e l’impronta religiosa del Paese, che non sembrano consentire una totale apertura in materia di diritti delle donne. Ciò significa che, pur apprezzando come il CSP abbia riformato i diritti femminili in Tunisia, al suo interno non mancavano e non mancano ancora oggi norme antiche basate su baluardi sharia‘tici difficili da scardinare.
Infatti, se istituzioni desuete come la poligamia, nonostante la menzione nel Corano, sono state abolite facendo leva sull’ijitihad, ovvero lo sforzo interpretativo esercitato in questo caso dai giuristi tunisini sul testo sacro, lo stesso non si può dire di altre norme di derivazione coranica. Un esempio calzante, e più che mai attuale come vedremo nella seconda parte dell’analisi, è la legge che regola la questione ereditaria, che segue alla lettera i dettami del Corano e la cui revisione ha sempre incontrato una notevole resistenza da parte delle fasce più conservatrici della società.
Nella Sura delle Donne (Sūrat An-Nisā’) il Corano riporta che in seno alla famiglia le donne hanno diritto a metà dell’eredità spettante a un uomo: “Ecco quello che Allah vi ordina a proposito dei vostri figli: al maschio la parte di due femmine” (4:11).
Non c’è effettivamente grande spazio interpretativo per questa prescrizione che, come sottolineato dai puristi, è esplicitata senza fronzoli nel libro rivelato. L’articolo 103.3 del CSP, nel regolare la possibilità di dover dividere l’eredità tra fratelli e sorelle si rifà appunto testualmente al principio secondo cui all’erede maschio spetta una quota doppia di quella ereditata da una femmina. Tale norma genera peraltro un vantaggio economico per i maschi di casa, rendendo ancora più difficoltoso il percorso verso la sua abolizione nel nome ideale dell’uguaglianza tra i sessi.
Un’altra norma nettamente in contrasto con la generale modernità del Paese, e come spiegheremo in vigore fino a settembre 2017 era contenuta in una circolare del Ministero della Giustizia risalente al 1973, la quale aveva ha avuto per decenni il potere di rendere nullo un matrimonio tra una donna tunisina musulmana e un uomo non musulmano. L’unico escamotage per validare un’ unione di tale specie era presentare alle autorità un certificato di conversione dello sposo all’Islam. Inutile specificare come una prescizione di questo genere leda totalmente la libertà femminile di scegliere il proprio sposo, limitandola ai soli uomini musulmani, e costituendo dunque anche una fonte di discriminazione nei confronti di entrambi i sessi.

SOVRAESPOSIZIONE E CONFUSIONE LEGISLATIVA – Il fatto che nonostante l’approvazione della nuova Costituzione nel 2014, il CSP promulgato nel 1956 sia ancora in vigore comporta una certa schizofrenia legislativa.
Innanzitutto, come si dice nell’ articolo 21 della nuova Costituzione, questo testo legislativo promuove e difende apertamente la parita dei sessi: “cittadini e le cittadine hanno pari diritti e doveri. Essi sono uguali davanti alla legge senza discriminazione alcuna. (…)”. Sulla stessa linea, l’articolo 46 inneggia all’impegno politico per eliminare qualsivoglia discriminazione e violenza contro la popolazione femminile, proteggerne i diritti e migliorarne le condizioni. Ciononostante, l’applicazione di determinate norme presenti nel CSP, una fra tutte quella concernente le quote ereditarie, è essa stessa fonte di discriminazione nei confronti delle donne.
Peraltro la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (CEDAW), che la Tunisia ha ratificato nel 1985 con riserve e senza riserve nel 2014, vieta categoricamente queste forme di trattamento, la cui applicazione costituisce una forma di violazione del trattato stesso. Secondo la Costituzione del 2014, la gerarchia legislativa tunisina impone che in caso di disparità con la legge civile, i trattati internazionali abbiano la priorità; ciò significa che i giudici tunisini già potrebbero concedere, per esempio, l’uguaglianza tra fratello e sorella nella questione ereditaria, nonostante il CSP detti ancora il contrario.
In ogni caso, sarebbe necessario un testo legislativo univoco che, in concordanza con la parità dei sessi menzionata nella Costituzione e con le convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dallo stato, regoli trasversalmente le questioni pendenti in materia di diritti delle donne.

Embed from Getty Images

Fig. 2 – Donne tunisine sfilano in strada in occasione della Giornata Nazionale della Donna

Le recenti riforme- Un passo in questa direzione è stato compiuto alla fine di luglio 2017, con l’entrata in vigore di una legge che penalizza la discriminazione contro le donne in ambito pubblico, privato e familiare, e in ogni settore, fornendo alla popolazione femminile i giusti strumenti per denunciare in sicurezza gli episodi di violenza ed emanciparsene a livello personale e familiare, e mettendo inoltre il sistema nazionale nelle condizioni di aiutare adeguatamente le vittime. Tale legge prevede anche l’abolizione del decreto 227 bis del Codice Penale, che sollevava lo stupratore di una minore di quindici anni da ogni sanzione penale in caso di matrimonio con la sua vittima.
L’avvenuta cancellazione in Tunisia di tale norma, caratterizzante i codici penali di numerosi Paesi a maggioranza islamica e da anni causa di proteste e manifestazioni da parte delle organizzazioni per i diritti civili, ha accelerato sollevazioni e abrogazioni anche in altri paesi dell’area mediorientale, fra cui il Libano.
La recente approvazione della legge contro la discriminazione femminile in Tunisia non ci permette ancora di comprendere se adeguate risorse finanziarie saranno allocate a questo progetto, che prevede un sistema di sostegno psicologico, medico e giuridico per le vittime e quindi un adeguato training per il personale adibito, oltre che la creazione di sezioni dedicate alla violenza di genere all’interno del corpo delle forze di sicurezza nazionali. Ciononostante, l’approvazione e l’entrata in vigore di tale testo è senza dubbio un segnale positivo, che contribuisce a avvicinare la realtà nazionale ai dettami della Costituzione del 2014.
Come anticipato, un nuovo richiamo alla modernità è avvenuto il 13 agosto 2017: durante il discorso tenuto in occasione della giornata tunisina dedicata alle donne, che cade nell’anniversario della promulgazione dello stesso CSP, il Presidente della Repubblica Beji Cadi Es-sebsi ha definito la circolare del 1973 sul matrimonio come un ostacolo alla libera scelta femminile e una fonte di problemi nella definizione dello status legale delle donne tunisine sposate con stranieri (non musulmani). In seguito all’appello del Presidente, tale disposizione è stata ufficialmente annullata dal Ministro della Giustizia Ghazi Jeribi lo scorso 14 settembre, così che le donne tunisine possano scegliere liberamente di sposarsi con uomini appartenenti a confessioni diverse. Questa mossa è stata aspramente criticata dai vertici di al-Azhar, la storica università di scienze religiose situata al Cairo, che costituisce forse il più autorevole riferimento dottrinale in seno all’Islam sunnita. Secondo le dichiarazioni giunte dalla capitale egiziana, la possibilità di sposare un non musulmano calpesta la stessa istituzione matrimoniale, esponendo inoltre le donne musulmane al rischio di non poter più praticare la propria fede: questo pericolo nascerebbe perché – secondo i vertici di al-Azhar – nelle altre religioni, a differenza dell’Islam, gli uomini possono impedire alla propria moglie di professare il proprio credo.

Fine prima parte

Lorena Stella Martini

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

L’hijab in Tunisia

L’hijab costituisce da sempre uno dei simboli dell’Islam per le società occidentali : la donna musulmana viene infatti spesso (e erroneamente) stereotipata come velata. E’ quindi interessante scoprire come il progetto di modernizzazione e laicizzazione della società da parte dell’amministrazione Bourguiba sia andato a toccare proprio la questione del velo islamico, esercitando una forte pressione sociale perché le donne tunisine se ne liberassero. Quest’orientamento si è tradotto, nel corso degli anni 80, nell’emanazione di alcune circolari che vietarono il velo negli edifici scolastici ed universitari e negli uffici pubblici. Quest’ostilità nei confronti del velo islamico è stata ripresa anche dal successore di Habib Bourguiba, Zine el Abidine Ben Ali, tanto che molte donne in seguito alla primavera araba hanno denunciato le violenze e le discriminazioni subite a causa del loro abbigliamento a connotazione religiosa. Numerose organizzazioni per la tutela dei diritti umani hanno definito tale misure lesive della libera scelta femminile.[/box]

Dove si trova

Perchè è importante

Vuoi di più? Iscriviti!

Scopri che cosa puoi avere in più iscrivendoti

Lorena Stella Martini
Lorena Stella Martini

Nata a Milano nel 1993, scrivo di area MENA per il Caffè Geopolitico dal 2017. Ho conseguito una laurea triennale in Scienze Linguistiche per le relazioni internazionali, specializzandomi in lingua araba, un Master di I livello in Middle Eastern Studies e una laurea magistrale binazionale in Analyse Comparée des Sociétés Mediterranéennes tra l’Italia e il Marocco. Mi interesso in particolar modo di tematiche legate ai diritti umani, alle questioni di genere e ai movimenti sociali nella regione MENA.

Ti potrebbe interessare