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Oltre lo spettacolo del Congresso (I): la marcia di Xi verso Pechino

Il 18 ottobre ha aperto i battenti il XIX Congresso del Partito Comunista cinese, visto da molti come un evento epocale per il futuro del Regno di mezzo. L’evento e stato introdotto da un lungo discorso del Presidente Xi Jinping che, tra ambizioni geopolitiche e nuove strategie economiche, ha tratteggiato una Cina superpotenza mondiale guidata da un nuovo “pensiero” politico e sociale. In questa prima parte di un lungo speciale analizziamo i retroscena e le premesse che hanno portato alla kermesse di Pechino e all’irresistibile ascesa di Xi ai vertici dello Stato cinese

DOVE ERAVAMO RIMASTI

Al termine del XVIII Congresso del Partito Comunista cinese (PCC), l’attenzione era concentrata sulla necessità di far ripartire le riforme, di fronte al timore di un hard landing economico, per riuscire a raggiungere, nel medio periodo (il 2020), l’obiettivo di una “moderata prosperità” e nel lungo periodo (il 2049, centenario della fondazione della RPC), lo status di Paese “sviluppato”, come vagheggiato nel sogno cinese. Dopo questo Congresso si profilava una sostanziale virata rispetto alla leadership uscente, quella di Hu Jintao, eletto nel 2002 dal XVI Congresso, che aveva ripristinato la centralità del ruolo svolto dal Grande Timoniere, artefice della rinascita cinese, nonostante gli innegabili (e non più taciuti) errori della rivoluzione culturale. L’acme di questa linea politica fu rappresentata nella grande kermesse con cui si celebrò il sessantesimo anniversario della Rivoluzione: Hu, in abiti di foggia maoista, aveva veicolato un nuovo nazionalismo, nel tentativo di compattare una nazione disgregata da una crescita economica troppo veloce, che aveva prodotto molte distorsioni e profonde tensioni sociali, cercando nuove opportunità per uno sviluppo sostenibile.

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Fig. 1 – Discorso di apertura del Presidente Xi Jinping al XIX Congresso del Partito Comunista cinese, 18 ottobre 2017

LA CRISI ECONOMICA E IL MODELLO CINESE

Queste criticità economiche si incrociarono poi con la grave crisi del capitalismo occidentale, iniziata tra il 2007 ed il 2008, a seguito del processo di finanziarizzazione dell’economia, sospinta dalla deregulation neoliberista, in un mondo in cui si venivano globalizzando anche gli strumenti finanziari, sempre più strutturati e complessi, oggetto di spregiudicate e rovinose speculazioni. A questo si aggiungeva il problema della sovrapproduzione, dovuta alla rottura dell’equilibrio tra il potenziale produttivo e la capacità di consumo di una classe media e lavoratrice, depauperata e largamente disoccupata in America come in Europa, sferzata da una politica di bilancio restrittiva che avrebbe dovuto allentare la crescita del debito pubblico statuale. In questo assetto economico internazionale la Cina si proponeva con un nuovo modello macroeconomico, l’economia di mercato socialista, che non era stata travolta dalla crisi in atto, ma dalla quale era emersa una progettualità politica, riproposta nel 2011 in occasione dei 90 anni della fondazione del PCC.

L’ASCESA DELLA QUINTA GENERAZIONE 

In questo contesto viene nominato nel 2012 il nuovo Comitato permanente del Politburo, capeggiato da Xi Jinping, che costituiva la cd. quinta generazione: la prima, quella di Mao, comprendeva gli eroi della Lunga Marcia e della guerra antigiapponese, che avevano fondato la Repubblica popolare; la seconda, quella di Deng Xiaoping, rappresentava il gruppo di coloro che avevano voluto l’apertura della Cina al mondo esterno e il passaggio da un’economia rigidamente pianificata all’economia di mercato socialista; la terza, quella di Jiang Zemin, aveva preso il potere dopo l’epurazione di Zhao Ziyang in seguito alla strage di Tiananmen, virando verso obiettivi tesi a distogliere le masse dalle aspirazioni democratiche; la quarta, quella di Hu Jintao, apriva le porte a burocrati preparati e alla tecnocrazia. L’ascesa al potere di Xi Jinping veniva fortemente sostenuta dalle scelte politiche ed ideologiche di un partito comunista legittimato dai successi economici e dall’epopea della rinascita che si contrappone alla crisi che investe su tutti i piani i sistemi democratici occidentali.

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Fig. 2 – Xi insieme ai suoi predecessori Hu Jintao (a sinistra) e Jiang Zemin (a destra), 18 ottobre 2017

LA CINA DI XI JINPING

In questi cinque anni Xi Jinping ha combattuto aspramente contro quella che viene definita dagli intellettuali la “trappola di trasformazione”, una vasta area di poteri forti che tengono in ostaggio le riforme, bloccandone e distorcendone gli effetti, per stravolgerne lo spirito, insinuando nel popolo una vera avversione al cambiamento, considerato causa prima della diffusa corruzione. In realtà questi gruppi di interesse, proteggendo pochi privilegiati, contribuirebbero ad acuire le tensioni sociali, aumentando il divario nella distribuzione del reddito fino ad una vera e propria polarizzazione della ricchezza, in un Paese che solo cinquant’anni prima aveva elaborato una sorta di mitologia dell’uguaglianza. Le riforme economiche, che hanno consentito al valore del PIL di moltiplicarsi centodieci volte in soli 30 anni, vengono collegate alle riforme politiche ed amministrative, il cui  target è “rischiare riforme imperfette, ma evitare crisi e immobilità”, onde rivedere la crescita in termini qualitativi, per ricostruire quella cornice di armonia cui, da cinquemila anni, anela tutta la civiltà cinese.

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Fig. 3 – Un indomito Jiang Zemin legge uno dei documenti del Congresso con l’ausilio di una lente di ingrandimento, 18 ottobre 2017

MODERNIZZARSI SENZA OCCIDENTALIZZARSI

Il Presidente Xi ha difeso strenuamente in questi cinque anni il ruolo di potenza regionale giocato dalla Cina, non celando l’intento di raggiungere obiettivi più arditi, anche in modo molto assertivo. Da qui i conflitti per imporre la propria sovranità marittima, associati alle allettanti proposte racchiuse nelle nuove Vie della Seta per terra e per mare, aspetti poliedrici di un’ascesa che coniuga il potere militare con quello economico, coinvolgendo tutti i continenti del pianeta. Le salde radici nell’humus confuciano hanno saputo dare peculiari caratteristiche al modello di sviluppo cinese ed alla governance del nuovo Impero Celeste, che sembra far leva più sulla tradizione culturale che sui valori socialisti. In questo contesto ideologico si è assistito ad un irrigidimento sulla questione dei diritti umani, il cui acme è stato rappresentato dalla tragica fine del premio Nobel Liu Xiaobo. Anche le istanze democratiche sono state progressivamente soffocate, con pesanti conseguenze nei rapporti con Taiwan, avviluppata all’unica Cina, e con Hong Kong, che ha visto diminuire di giorno in giorno i diritti fondamentali e le libertà, che dovrebbero essere garantiti dalla Basic Law e che invece paiono sempre più assottigliarsi.

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Fig. 4 – Una coppia di Hong Kong segue il discorso inaugurale di Xi per televisione, 18 ottobre 2017

NUOVI ORIZZONTI

Il XIX Congresso nazionale del Partito comunista cinese si è aperto con un lungo intervento del leader rivolto al mondo, alla nazione, ma soprattutto ai 2280 delegati, incaricati di eleggere il Comitato centrale. Per tradizione il discorso viene scritto secondo i principi del centralismo democratico, che vede la partecipazione della base con diffuse proposte, che vengono selezionate e raffinate dal vertice e consegnate al Presidente. Questa dettagliata e approfondita descrizione dell’operato del Governo costituisce il substrato su cui viene elaborata la futura strategia politica che dovrà tenere conto dei successi, per implementarli, e delle criticità, per correggerle, inserendo tutto in una sorta di vision quinquennale del Comitato Centrale uscente. L’inserimento del pensiero del leader (Xíjìnpíng sīxiǎng习近平思想) nello Statuto del PCC costituisce un evento epocale, che darà sicuramente un nuovo indirizzo ideologico al Paese di Mezzo che sta oggi scegliendo nuove strade da percorrere per raggiungere i propri scopi. Da tutto ciò forse capiremo se i sogni son desideri oppure si stanno trasformando in realtà.

Elisabetta Esposito Martino

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Secondo le nuove regole (ancora non codificate) che postulano il limite di età di 68 anni, dei sette componenti del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del PCC, cinque si sono ritirati, compreso Wang Qishan, l’uomo dell’anticorruzione, che era a capo della potentissima Commissione d’ispezione di disciplina del Partito.  Oltre al Premier e a Li Keqiang, i  nuovi membri del Politburo sono: Wang Yang, fautore del libero mercato, che sostiene la necessità di procedere speditamente sul cammino delle riforme sociali e politiche, senza dimenticare la necessità di  attenuare l’impatto di tre decenni di rapido sviluppo;  Zhao Leji, nuovo capo della vigilanza anticorruzione e portavoce di una delle due fazioni emergenti; Han Zheng, responsabile delle decisioni economiche e uomo chiave nell’hub finanziario di Shanghai, luogo deputato a strappare la leadership del businnes ad Hong Kong ; Li Zhanshu, capo dello staff del Leader, che ha svolto un ruolo fondamentale nell’elaborazione del “pensiero di  Xi Jinping” e si è distinto per la campagna di riduzione della povertà in Cina e nelle relazioni con la Russia di Putin; infine Wang Huning, chiamato il Kissinger cinese, l’accademico che ha coniato la “Teoria delle Tre Rappresentatività” (三 个 代 表sān gè dàibiǎo ) di Jiang Zemin,  il “Concetto Scientifico di Sviluppo” (科学发展观, Kēxué fāzhǎn guān) di Hu Jintao, e ideato il Sogno cinese (中 国 梦 Zhōngguó mèng) annunciato da Xi Jinping il 29 Novembre 2012, come viatico per raggiungere il traguardo di prima economia del mondo entro il 2049.

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Elisabetta Esposito Martino
Elisabetta Esposito Martinohttp://auroraborealeorientale.wordpress.com/

Sono nata nello scorso secolo, anzi millennio, nel 1961. Mi sono laureata in Scienze Politiche, Indirizzo Internazionale, presso La Sapienza con una tesi sul consolidamento della Repubblica Popolare cinese (1949 – 1957); ho conseguito il  Diploma in Lingua e Cultura Cinese presso l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma ed il Perfezionamento in Lingua Cinese presso l’ISMEO. Sono stata delegata italiana per l’International Youth culture and study tour presso la Tamkang University Taipei, e poi docente di discipline giuridiche ed economiche. Ho lavorato come consulente sinologa e svolto attività di ricerca. Ora lavoro in un ente di ricerca e continuo la mia formazione (MIP Business School del Politecnico di Milano e dalla SDA Bocconi School of Management, Griffith College di  Dublino, Francis King School of English di Londra, EC S.Julians di Malta). Ho pubblicato sull’”Osservatorio Costituzionale”, dell’associazione italiana dei costituzionalisti  (AIC) , su “Affari Internazionali” e su “Mondo Cinese”.
Dopo aver sfaccendato tra pappe e pannolini per quattro figli, da quando sono cresciuti ho ripreso alla grande la mia antica passione per la Cina, la geopolitica  e le istituzioni politiche e costituzionali. Suono la chitarra, preparo aromatici tè ma non mi sveglio senza… il caffè!

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