In 3 sorsi – Da oltre cinquant’anni pomo della discordia tra Israele e Siria oggi le alture del Golan rappresentano la cartina di tornasole dell’attuale situazione nella regione: nell’area Tel Aviv si gioca l’ultima partita contro il nemico di sempre, l’Iran degli ayatollah (e i suoi alleati di Hezbollah)
1. UNA DIATRIBA CHE DURA DA PIÙ DI CINQUANT’ANNI
La storia delle alture del Golan rappresenta gran parte della storia contemporanea del Medio Oriente. Una storia fatta di tensioni, proposte di pace lanciate e il più delle volte disattese. Quest’area rocciosa che tocca i confini di tre paesi, Siria, Israele e Libano dopo la Seconda guerra mondiale divenne parte della Repubblica Araba di Siria. A partire da questo momento la storia delle alture si intreccia con i tentativi dei paesi arabi di distruggere lo stato d’Israele cercando di sfruttare la sua privilegiata posizione geografica e strategica per lanciare colpi d’artiglieria contro il nuovo Stato. Nel maggio del 1967 il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser cominciò ad ammassare truppe nella Penisola del Sinai, lungo il confine israeliano occupando la zona di Sharm el Sheyk e quella in prossimità dello stretto di Tiran. Israele ripeté le dichiarazioni fatte nel 1957, secondo le quali una chiusura degli stretti sarebbe stato considerato un atto di guerra o comunque una giustificazione per la guerra. Il 1º giugno, Israele formò un governo di unità nazionale e il 4 giugno fu presa la decisione di aprire le ostilità. Scoppia la guerra dei Sei giorni, l’evento che cambiò radicalmente la storia del Medio Oriente e quello delle alture del Golan. Come raccontato da Shlomo Ben-Ami fu il ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan a pianificare l’occupazione delle alture prima bombardandole con l’aviazione e poi conquistandole con l’esercito. Tra la sera del 9 e la mattina del 10 giugno 1967 il Golan rimase in mano israeliana mentre l’esercito siriano si ritirava verso Damasco. Israele dichiarò, pertanto, chiuse le ostilità avendo ottenuto una vittoria netta su tutti gli altri fronti. Durante la guerra dello Yom Kippur (1973) la Siria cercò di riconquistarle venendo respinta dall’esercito della stella di Davide ma recuperando la città di Quneitra: da allora Damasco ha continuato a ribadire che le alture fanno parte della regione con capoluogo tale cittadina. Nel frattempo sono stati costruiti nuovi insediamenti israeliani mentre la maggior parte dei cittadini siriani sono emigrati. Tel Aviv, d’altro canto, ha sempre reagito alle argomentazioni siriane rifacendosi ad un’interpretazione fortemente restrittiva della risoluzione n.242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che richiama a “confini sicuri e riconosciuti, liberi da minacce o atti di forza”.
Fig. 1 – Recinzione tra il settore israeliano e la città di Musa Shams nel Golan
2. IL RITIRO È PER DAMASCO L’UNICA CONDIZIONE POSSIBILE
La posizione siriana è ferma a quanto accaduto dopo la guerra dello Yom Kippur: il ritiro israeliano dalle alture è la condizione imprescindibile per poter intavolare qualsiasi trattativa. Già con Hafez al Assad la questione divenne prioritaria nell’agenda di governo di Damasco. Il Golan, però, è uno dei più importanti serbatoi idrici del Medio Oriente e chi controlla l’area può programmare il proprio sviluppo e condizionare quello degli altri. Ciò aumenta sensibilmente le difficoltà diplomatiche. Dopo l’11 settembre e la guerra in Iraq, inoltre, la questione del Golan è scivolata in secondo piano nell’agenda internazionale. Con la presidenza di Barack Obama è sembrato per un momento aprirsi uno spiraglio per il dialogo nonostante la politica israeliana si sia orientata a destra con l’elezione a primo ministro di Benjamin Netanyahu. Il 2008 può dunque dirsi l’anno dove la normalizzazione sembrava essere a portata di mano con la Siria che aveva aperto i canali informali con Tel Aviv grazie anche alla mediazione turca. A complicare lo scenario è intervenuta la guerra civile in Siria che ha indebolito fortemente la posizione di Bashar al Assad facendo sperare a Netanyahu di poter sfruttare la situazione. Nel 2015 il primo ministro aveva fatto sapere ad Obama che Israele era interessato a discutere con gli Usa la possibilità di annettere le alture del Golan alla luce della guerra civile in Siria: «Ormai è inevitabile considerare che la Siria ha perso la sua integrità strutturale ed è destinata ad essere smembrata. Quindi bisogna discutere dell’annessione delle alture del Golan ad Israele». Dichiarazioni seccamente smentite da un funzionario della Casa Bianca come riportato a suo tempo dal quotidiano israeliano Haaretz: «Non è chiaro quanto serio fosse (il suggerimento). Penso che sia stato chiaro che gli Usa non hanno intenzione di modificare la propria posizione sul futuro del Golan. Sosteniamo che il futuro della regione deve essere oggetto di un negoziato in linea con le risoluzioni dell’Onu 242 e 338». Quest’irrigidimento della posizione israeliana fu dovuto in parte dall’accordo sul nucleare iraniano, problematica da sempre in cima all’agenda di Tel Aviv: si tratta di un accordo che Netanyahu non ha mai appoggiato e che anzi ha fatto di tutto per affossare considerando l’Iran il vero e proprio ostacolo principale per la pace nella regione. L’elezione a presidente di Donald Trump può essere dunque considerata l’occasione che Netanyahu aspettava: l’estate scorsa le autorità di occupazione israeliane hanno deciso di tenere le elezioni locali in alcuni villaggi nelle alture del Golan per la prima volta dall’occupazione del territorio, il 5 giugno 1967.
Fig. 2 – Incontro tra il presidente americano Barack Obama e il primo ministro israeliano Netanyahu nel settembre del 2016
3. LE QUESTIONI ECONOMICHE E LA PARTITA CON TEHERAN
Il controllo delle alture è vitale per Israele. Oltre alle ragioni geo-strategiche, infatti, ha permesso di disporre del Baniyas come delle falde e corsi d’acqua garantendo a Tel Aviv più di 250 milioni di metri cubi d’acqua all’anno. Non solo. Come riportato dalla Reuters l’estate scorsa sono iniziate da parte della società Afek Oil and Gas le perforazioni sul Golan. I test preliminari dell’Afek effettuati sul Golan hanno scoperto un grande giacimento di gas naturale e di petrolio. Secondo alcuni analisti si tratta dell’ennesima mossa di Israele per rafforzare la sua posizione nelle regione e tenere lontani i suoi acerrimi nemici, l’Iran e Hezbollah. Tel Aviv ha cercato di creare una zona cuscinetto nella regione e, secondo il Wall Street Journal, avrebbe anche supportato gruppi siriani ribelli pur di tenere lontani dal confine le milizie sciite del ‘partito di Dio’. L’estate scorsa Stati Uniti e Russia imposero la tregua nell’area, azione sempre contestata da Israele che teme un’infiltrazione di Teheran nella regione forte. Tel Aviv in realtà sa bene che i russi non riescono a controllare Hezbollah che è a tutti gli effetti uno dei vincitori sul campo e che si candida per un posto di primo piano per i (futuri) negoziati che interesseranno l’assetto del Paese. Netanyahu in realtà teme la longa manus dell’Iran. Nell’incontro dello scorso agosto tra il primo ministro israeliano e il presidente russo Vladimir Putin pare che il primo abbia fatto intendere i suoi timori chiedendo al capo del Cremlino di controllare l’espansione iraniana nella regione. ‘Bibi’ si è fatto accompagnare in quella occasione dal capo del Mossad Yossi Cohen che ha illustrato a Putin i timori di Tel Aviv: e cioè che le armi utilizzate da Hezbollah nel conflitto siriano possano essere utilizzate nella guerra che il fronte sciita starebbe preparando contro lo Stato ebraico. Nonostante le rassicurazioni di circostanza gli stessi russi sanno che senza l’Iran non è concepibile alcun accordo sul futuro della Siria e quindi del Golan. Il timore di Israele è che il Golan possa diventare il nuovo terreno di battaglia con le forze filo-iraniane. Il recente lancio di missili dalle zone limitrofe aumenta tali preoccupazioni.
Stefano di Bitonto
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
Nel recente incontro tra il primo ministro israeliano Benjamin Nethanyahu e il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu il primo ha ribadito che non consentirà all’Iran di stabilirsi militarmente in Siria. [/box]