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Niger: al-Sahrawi la nuova spina nel fianco dell’intelligence americana

In 3 sorsi – L’attacco a sorpresa, pianificato dal leader jihadista Al-Sahrawi, ha provocato 4 morti americani e ha anche fatto affiorare alcuni problematiche che affliggono da diversi anni il comparto intelligence a stelle e strisce

1. LA DINAMICA DELL’ATTACCO

Il 4 ottobre gli Stati Uniti hanno subito una dura lezione in Niger con la perdita di quattro militari, appartenenti alle US Army Special Force, e il ferimento di altri due durante una missione nel sud ovest del paese africano, diventato per gli USA l’hub nell’Africa centrale per la lotta al terrorismo. Secondo le poche informazioni rilasciate dal Pentagono, un team di otto uomini, insieme a trenta soldati del Bataillon Sécurité et Renseignement dell’esercito del Niger, avevano il compito di incontrare i capi del villaggio di Tonga Tonga, in prossimità del confine tra Niger e Mali, per ottenere informazioni sul network di Adnan Abu Walid al-Sahrawi, capo del gruppo Islamic State Greater Sahara (ISGS). Mentre il convoglio, formato sembra da 7-8 veicoli leggeri come jeep e pickup, era in procinto di rientrare dalla missione, circa 50 miliziani appartenenti al gruppo di Sahrawi, dotati di armi pesanti, avrebbero cominciato a fare fuoco sui militari. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Statunitense, il Generale Joseph Dunford, dopo un’ora dall’inizio del conflitto a fuoco, i militari americani avrebbero richiesto rinforzi materializzatisi sessanta minuti dopo con due aerei francesi Mirage 2000 – provenienti dalla base in Chad – che con un volo radente avrebbero “spaventato” i jihadisti. Una volta fatti indietreggiare i miliziani, sarebbero giunti sul luogo elicotteri francesi per esfiltrare gli uomini a terra. In quel momento la conta dei caduti era ferma a tre membri dei Berretti Verdi statunitensi e cinque soldati del Niger ma all’appello mancava un altro militare americano il cui corpo è stato poi ritrovato quarantotto ore più tardi poco distante dal luogo dell’ambush: la segnalazione su dove fosse il cadavere è arrivata da un abitante di Tongo Tongo alle unità nigerine impegnate insieme ai francesi e agli americani nella missione di ricerca.

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Fig. 1 – Il funerale del Sgt.La David Johnson, il cui corpo è stato trovato due giorni dopo l’imboscata

2. CHI E’ ADNAN ABU AL SAHRAWI

Al-Sahrawi, che sarebbe l’ideatore della trappola in cui i militari sono caduti, è il leader e fondatore di ISGS, un movimento jihadista formatosi nel 2015. Nato nel Sahara dell’Ovest e cresciuto in diversi campi per rifugiati nell’Algeria meridionale, Al Sahrawi ha abbracciato la via dello jihadismo sin da giovane e, con gli anni, è riuscito a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel Movement for Unity and Jihad in West Africa (MUJAO) diventandone il portavoce durante l’insorgenza promossa da Al Qaeda in Mali nel 2012. Da qui la decisione di unirsi a Mokhtar Belmokhtar, leader algerino dedito al terrorismo e ad ogni genere di traffico illegale nel Sahel, dando origine al gruppo Al-Mourabitoun, fedele ad Al-Qaeda e responsabile, tra gli altri, dell’attacco al Radisson Blu Hotel di Bamako nel 2015 dove sono morti 20 ostaggi. Nel maggio 2015, Al Sahrawi e Belmokhtar si sono divisi poiché il primo, a differenza del secondo, vede nello Stato Islamico un “brand” vincente in grado di assicurare visibilità, fondi e combattenti così fonda un nuovo gruppo jihadista, l’ISGS, e chiede l’affiliazione a ISIS che la concederà solo nell’ottobre 2016.

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Fig. 2 – Il Capo di Stato Maggiore della Difesa statunitense Gen. Joseph Dunford durante la conferenza stampa post attacco

3. PROBLEMI AMERICANI

L’imboscata avrebbe evidenziato un altro problema che gli Stati Uniti lamentano da diverso tempo non solo in Africa occidentale ma anche in altri scenari internazionali dove sono direttamente coinvolti: l’abbandono del fattore umano per la ricerca informativa sul terreno, la cosiddetta Human Intelligence, che può agevolare e supportare le successive operazioni chirurgiche effettuate da team di forze speciali. Negli ultimi anni, invece, è stato deciso di puntare maggiormente sull’elemento tecnologico, come la raccolta d’informazioni sia mediante intercettazione e analisi di segnali emessi da persone e macchine sia mediante la raccolta d’immagini satellitari. Infatti, se si prende quest’ultimo episodio nigerino, secondo alcuni esperti militari, non si trattava di informazioni che potessero far pensare ad un assembramento di miliziani così numerosi e ben armati in una zona definita a “basso rischio”. In aggiunta, nel marzo 2017 di fronte alla Commissione del Senato americano, il Generale Thomas Waldhauser, a capo di AFRICOM, il Comando responsabile per le operazioni militari in Africa, ha dichiarato di poter coprire non più del 20 – 30 percento degli obiettivi di “intelligence, reconnaissance, and surveillance” (IRS) a causa della mancanza di risorse umane e economiche. È necessario ricordare che in Africa l’unica vera e propria base militare a stelle e strisce è quella di Gibuti, incentrata sulle operazioni nell’Africa Orientale mentre per il settore dell’Africa occidentale e centrale vi sono delle “cooperative security locations” (CSLs) e “forward operating locations” (FOLs) cioè basi di limitate capacità e dimensioni. In Niger, per esempio, è presente dal 2014 una base, nelle vicinanze della capitale nigerina Niamey, gestita dall’Air Force dalla quale partono gli aeroplani a pilotaggio remoto per missioni IRS e un’altra struttura simile è in costruzione nel centro del Paese africano in prossimità della città di Agadez. In conclusione, secondo il parere di alcuni analisti a Washington, il Presidente Trump vorrebbe aumentare il numero dei propri militari nel paese africano così da lanciare un segnale forte a tutti i gruppi jihadisti presenti nella regione: gli Stati Uniti non indietreggiano.

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Fig. 3 – Un drone di fabbricazione americana in dotazione all’Aeronautica francese nella base di Niamey

Giulio Giomi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Per contrastare la diffusione del jihadismo nella regione del Sahel, vi sono diverse missioni multinazionali e non nell’area: 13.000 peacekeepers della missione UN MINUSMA in Mali, 4.000 truppe francesi impegnati nell’operazione Barkhane, 1.000 soldati statunitensi e una compagine militare di antiterrorismo chiamata “G5 Sahel” composta da Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania and Niger.[/box]

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Giulio Giomi
Giulio Giomi

Nato a Livorno nel 1988, mi sono laureato in Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS di Roma. Precedentemente, ho ottenuto la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università di Pisa. Sono stato uno stagista presso il NATO Defense College e l’HQ della FAO. Quando non mi occupo di geopolitica, mi dedico alle altre mie due passioni: viaggi e calcio.

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