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Viaggio in Kirghizistan: dilemmi e speranze di una fragile democrazia

Sono passati sette anni dalla rivoluzione del 2010 e il Kirghizistan sembra essere profondamente cambiato rispetto al passato. Ma permagono dubbi sul futuro politico del Paese, mentre le conquiste democratiche post-rivoluzionarie sono sempre più fragili e insidiate dalle manovre autoritarie del Governo. In questo reportage esclusivo Christian Eccher ci racconta i dilemmi e le speranze della giovane repubblica centro-asiatica

SETTE ANNI DOPO

Sono passati più di 7 anni dall’8 aprile del 2010, quando il popolo kirghiso si riversò nella piazza principale della capitale Bishkek, davanti al Zhogorku Kenesh, il palazzo bianco che ospita il Parlamento, per chiedere le dimissioni dell’allora Presidente Kurmanbek Bakyev, che fu costretto a scappare e a rifugiarsi in Bielorussia. 80 persone rimasero a terra e un monumento, posto proprio di fianco alla “Casa Bianca” kirghisa, le ricorda. Grazie alla rivoluzione di aprile, il Kirghizistan è diventato il primo Paese con un ordinamento democratico nell’area centro-asiatica. Un esperimento unico nel suo genere. Roza Otunbayeva, Presidente ad interim, si è dimessa nel 2011 e il 30 ottobre dello stesso anno ha preso il suo posto Almazbek Atambayev, che è rimasto in carica per due mandati, fino a pochi giorni fa. Alle elezioni del 15 ottobre, che si sono svolte in un clima sereno e senza brogli, il popolo kirghiso ha eletto alla carica presidenziale Sooronbai Jeenbekov, considerato un uomo di Atambayev. Dall’aprile del 2010 a oggi il Paese è completamente cambiato, a tal punto da non essere quasi più riconoscibile.

Lungo il boulevard Chui, che attraversa Bishkek da est verso ovest, Aselj S. cammina decisa e leggera, a passi veloci, le pupille nere rivolte testardamente verso l’asfalto del marciapiede. Va in direzione dell’agenzia di stampa russa Sputnik, che si trova in pieno centro, per la quale lavora come giornalista free-lance. Sembra non essere disturbata dal serpentone di automobili, taxi, camion, marshrutke (furgoncini privati che fanno concorrenza al servizio di trasporto pubblico) che riversano nell’atmosfera e spesso su di lei nuvole di gas bianco e maleodorante. Negli ultimi anni, le paghe medie a Bishkek si sono leggermente alzate rispetto al passato e si sono attestate sui 300 euro al mese; quasi tutti si sono potuti permettere di comprare un’automobile, seppur a rate. C’è un vero e proprio commercio di vetture usate provenienti dal Giappone, il cui costo è irrisorio rispetto a quello dei mezzi di trasporto importati dall’Europa. Bishkek è anche cresciuta in termini di abitanti, nonostante le statistiche sembrino contraddire questa affermazione e non sia possibile quantificare esattamente la popolazione: molti kirghisi si sono trasferiti dai villaggi delle montagne nella capitale senza cambiare residenza, per cui dai dati ufficiali la città sembra essere più o meno la stessa di 7 anni fa e annoverare nella sua vasta superficie poco meno di un milione di abitanti. “Bishkek è diventato un luogo invivibile”, dice Aselj. Quel che è peggio, però, è il totale cambiamento dello stato d’animo dei kirghisi nei confronti della Cosa Pubblica.

Fig. 1 – Palazzi anneriti e finestre sfondate: quel che resta della rivoluzione del 2010 | Foto: Christian Eccher

DISILLUSIONE E AUTORITARISMO

“Nel 2010 – sostiene Aselj – c’era la speranza di poter davvero cambiare le cose. Tutti parlavano e si occupavano in qualche modo di politica. Adesso invece c’è indifferenza. La gente è stanca di aspettare e ha capito che non ci sarà nessun mutamento vero.” La stessa Aselj 7 anni fa lavorava per un giornale, Zhany Agym, che purtroppo è fallito e ha chiuso i battenti. Faceva anche la segretaria del partito socialista Ata-Meken (“Il padre della patria”), il cui capo Omurbek Tekebayev si trova in carcere dall’aprile scorso: è stato infatti accusato di aver riscosso una tangente da un magnate russo. L’accusa fa acqua da tutte le parti, non ci sono prove concrete che testimonino la transizione in denaro e ci si aspetta che il leader di Ata-Meken venga liberato già nei prossimi giorni. Intanto però il partito di Tekebayev, da sempre coraggioso uomo di opposizione, è stato notevolmente indebolito: “In Kirghizistan, le associazioni politiche – dice Aselj – sono basate esclusivamente sulla leadership e sul carisma del capo. Atambayev ha fatto arrestare Tekebayev per affievolire l’unica forza che ancora fa vera opposizione in Parlamento. Allo stesso modo ha costretto tutti i giornalisti validi e critici ad abbandonare il proprio posto di lavoro: alcuni sono semplicemente e volontariamente emigrati, altri sono scappati in Russia, in America, in Europa”. Nel novembre di 7 anni fa, Omurbek Tekebayev sedeva alla buvette del Parlamento, chiacchierava con i giornalisti stranieri e asseriva, con gli occhi che brillavano di emozione, che il compito della democrazia kirghisa sarebbe stato quello di creare un uomo nuovo, consapevole del proprio ruolo nella società e dimentico della mentalità sovietica, in cui gli altri spesso decidevano per lui. Tekebayev è ora assente dalla vita pubblica e il silenzio a cui è costretto stordisce anche le montagne del Tien-Shan, quelle amate e descritte dallo scrittore Chingiz Aitmatov nei suoi toccanti romanzi. Il concorrente più temibile per il nuovo Presidente Jeenbekov – che era candidato alla presidenza e si è piazzato secondo – è il leader del partito Respublica-Ata Zhurt Omurbek Babanov; come Tekebayev è stato costretto a uscire dal gioco. Dopo aver perso le elezioni è partito per la Russia e non ha ancora potuto fare ritorno a Bishkek. Babanov è un magnate che possiede televisioni e svariate attività commerciali. Una sorta di Silvio Berlusconi kirghiso. In un comizio, Babanov ha invitato l’elettorato uzbeko, che è presente nel sud del Paese, ad alzare la testa e a lottare per i propri diritti. Durante la rivoluzione del 2010, circa 400 uzbeki erano morti negli scontri con la componente maggioritaria kirghisa. I dissapori fra questi due popoli, che per anni hanno vissuto pacificamente l’uno accanto all’altro, sono di classe e non hanno carattere etnico. Gli uzbeki, infatti, hanno una tradizione sedentaria e si sono sempre occupati di agricoltura e di commercio. I kirghisi invece erano nomadi, almeno fino all’avvento dell’URSS, e per questo più poveri degli uzbeki. Babanov ha forse esagerato con i toni retorici al fine di guadagnare i voti della componente minoritaria, ma il suo non era certo un invito alla sommossa, come asserisce la procura di Bishkek che ha aperto un’inchiesta nei suoi confronti. Il leader di Respublica-Ata-Zhurt rischia di essere condannato al carcere per istigazione alla violenza e per questo ha preferito rimanere al sicuro a Mosca. Si ha l’impressione che Atambayev e Jeenbekov vogliano eliminare i propri nemici politici anche e soprattutto dopo la vittoria alle elezioni.

Fig. 2 – Arte contemporanea per le strade di Bishkek | Foto: Christian Eccher

BAVAGLIO ALLA STAMPA

Anche nella sede del principale quotidiano di Bishkek, il Vechernyi Bishkek, è tutto cambiato rispetto a 7 anni fa. La vecchia direttrice, Amalia Benlyan, è stata costretta a dimettersi in maniera molto discreta, con continue pressioni. Adesso lavora come PR in una banca e non intende neppure commentare l’attuale situazione politica. I quotidiani kirghisi hanno tutti un’impronta filo-governativa e quando qualcuno di loro passa all’opposizione, o semplicemente denuncia questioni di rilevanza sociale, cominciano i tentativi di dissuasione da parte del Governo: gli uomini d’affari vicini al Presidente comprano la testata oppure arrivano inviti alle agenzie pubblicitarie a boicottare la vendita di annunci agli organi di stampa nemici. Nel giro di pochi mesi, i giornali invisi al potere accumulano debiti enormi e devono chiudere i battenti. Momentaneamente, i giornalisti di opposizione si trovano sulla piattaforma elettronica Cactus. La giornalista del sito di informazione on line KG24 Aigulj L. asserisce che la situazione odierna è peggiore di quella che regnava ai tempi di Bakyev. L’affermazione sembra essere però esagerata, dato che prima dell’avvento della democrazia i giornalisti venivano liquidati anche fisicamente, cosa che oggi non accade più. Chi non condivide il pessimismo che serpeggia nelle vie di Bishkek è Roza Otunbayeva, l’ex Presidente, che, in un’intervista esclusiva per Il Caffè Geopolitico, sostiene di aver previsto uno scenario simile a quello attuale già dopo le proprie dimissioni: “La democrazia non si costruisce in pochi anni. Ci vuole molto tempo, e arrendersi alle prime difficoltà non è la soluzione. I kirghisi vogliono tutto e subito, non hanno ancora capito che la democrazia va edificata, giorno per giorno, non cade dal cielo. La Rivoluzione del 2010 è stata un punto di partenza, non di arrivo”. Certo è che la democrazia è diventata negli ultimi anni un puro gioco parlamentare, sempre più vuoto di contenuti. Quel vuoto non è stato riempito da eventi culturali e sociali, da ideologie, da progetti; per questa ragione, viene a poco a poco colmato dalla religione. Siamo di fronte a una vera  e propria islamizzazione di una società che, fino a 7 anni fa, era fra le più laiche del Centro-Asia.

Fig. 3 – Protesta di fronte al Parlamento kirghiso contro le attività dell’azienda canadese Kumtor | Foto: Christian Eccher

SPERANZE DEMOCRATICHE

L’Arabia Saudita finanzia moschee e madrase; i giovani, quelli più afflitti dalla disoccupazione e dai salari insufficienti a vivere una vita decente, trovano riparo e conforto dalle difficoltà quotidiane nell’Islam. Nonostante ciò, Roza Otunbayeva rimane ottimista, così come la giornalista Saltanat M., che mette in rilievo i successi economici portati dalla democrazia: “Nelle località di montagna, soprattutto nella zona del lago di Issyk-Kulj, nascono piccole e medie imprese che si occupano di turismo, agricoltura, allevamento. Cosa impensabile fino a pochi anni fa, quando la gente aspettava aiuti diretti dallo Stato. Il popolo kirghiso sembra aver compreso di essere padrone del proprio destino, e questo è il grande cambiamento che il nuovo assetto democratico ha portato. Alcune di queste imprese falliscono, altre hanno successo. Fa nulla. L’importante è che si provi, che si sperimenti, senza dover necessariamente aspettare che lo Stato indichi la strada da seguire”. Anche Saltanat lavorava per il giornale Zhany Agym, lo stesso di Aselj. Adesso è impiegata nella ditta canadese Kumtor, che estrae oro dalle montagne del Kirghizistan. Dato che alcuni giacimenti sono sotto i ghiacciai, ogni giorno davanti al Parlamento si riuniscono alcuni attivisti che vorrebbero impedire alla Kumtor di proseguire il drenaggio dei ghiacciai stessi. In realtà la questione è molto complessa e da alcuni studi sembra che la ditta nordamericana stia limitando al massimo i danni ecologici. Ciò che è davvero importante, però, è il fatto che per la prima volta in Kirghizistan la gente si sia autorganizzata al di fuori delle direttive di partito. Ha fatto la sua comparsa sulla scena politica la società civile. Anche questo è un indubbio successo della democrazia nata nell’aprile del 2010. Fra gli attivisti in piazza, in una tiepida mattina di novembre, quelle in cui il biancore abbacinante della luce solare confonde anche i contorni delle montagne in lontananza, c’era anche Roza Otunbayeva, apparentemente senza scorta, confusa fra gli altri manifestanti.

Christian Eccher

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Lo stato d’animo attuale dei kirghisi è paragonabile a quello che trapela da un video  presente sui social media. Si tratta di un cartone animato che illustra una canzone della pop star Kanykei, un’artista raffinata che fonde le melodie popolari kirghise alle tendenze della musica pop e classica occidentale. La canzone si intitola Kuurchat (Bambola) ed è caratterizzata da una grafica apparentemente rozza con immagini forti, che rimangono a lungo nella mente di chi le guarda: una ragazza – la stessa cantante – con il cuore trafitto da un chiodo, uomini che cadono da un muro come fossero scarafaggi e un personaggio misterioso dal naso lungo fermo a un bivio che non sa decidere in quale direzione andare. Anche il Kirghizistan è al bivio: i prossimi anni saranno decisivi per comprendere se la democrazia può sopravvivere alle difficoltà che la attanagliano o se l’islamizzazione avrà il sopravvento sulle istituzioni statali.

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Foto di copertina: Christian Eccher

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Christian Eccher
Christian Eccher

Sono nato a Basilea nel 1977. Mi sono laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. Sono professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero mi dedico al giornalismo. Mi occupo principalmente di geopoetica e i miei reportage sono raccolti nei libri “Vento di Terra – Miniature geopoetiche” ed “Esimdé”.

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