Non si sblocca la questione del congelamento degli insediamenti israeliani in territorio palestinese. L’accordo Usa-Israele potrebbe arrivare, tra mille dubbi e incertezze, entro fine mese. Di fatto, tutto questo è solo un piccolo dettaglio nella complessità delle questioni israelo-palestinesi
COSI’ VICINI, COSI’ LONTANI – L’ultimo aggiornamento del “Caffè”, prima della pausa di agosto, parlava di un termometro che registrava un vistoso accrescimento del livello di tensione tra Israeliani e Palestinesi. Un mese e mezzo dopo, sono tanti gli eventi degni di nota, e che qui presentiamo. Di fatto, lo diciamo subito, non ci siamo discostati molto dall’immagine delle tendine presentata a fine giugno relativa ai rapporti tra le parti. Le due parti devono accordarsi su come dividere questo appartamento in cui coabitano forzatamente. La discussione è ancora ferma sul congelamento degli insediamenti israeliani in territorio palestinese. Bisogna decidere quali stanze tenersi, e invece da mesi gli inquilini dell’appartamento sono fermi a “litigare” sulle tendine del bagno. Un particolare grazioso, ci mancherebbe, ma che rivela come le parti siano ancora ben lontane non tanto da un accordo (qui le distanze ben più che siderali), ma anche dalla stessa idea di rimettersi a parlare allo stesso tavolo.
TO FREEZE OR NOT TO FREEZE? – Da mesi, ormai, Usa e Israele cercano un accordo sulla questione focale del congelamento degli insediamenti. Gli Usa premono per un congelamento totale: nessun nuovo insediamento da costruire, nessuna crescita di quelli esistenti. Il Governo israeliano parla invece di “crescita naturale”: se la gente si sposa e fa figli, è necessario che gli insediamenti esistenti si allarghino. Si arriverà ad un accordo? Gli Usa si dicono ottimisti, auspicando un accordo entro la fine del mese, subito prima dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (quando potrebbe esservi un incontro a tre Obama-Netanyahu-Abu Mazen). Da lì in avanti, Obama spera di poter procedere coi colloqui tra le parti. Sebbene le stesse fonti governative Usa confermano che non esiste alcun “Piano Obama” per la pace tra le parti, il Presidente si è posto l’obiettivo (quantomai ambizioso) di chiudere entro due anni i negoziati tra le parti. E tra le prime tappe del cammino, si ipotizza un summit internazionale per la pace entro fine 2009, da svolgersi a Mosca o a Parigi. Perché le parti possano tornare a sedersi al tavolo, l’affaire congelamento rimane essenziale. Come ribadisce il Presidente palestinese Abu Mazen (nella foto sotto con Obama), i Palestinesi accetteranno nuovi colloqui solo a fronte di un totale congelamento degli insediamenti, fino al giorno in cui si giungerà all’accordo di pace definitivo. Totale e fino all’accordo definitivo è esattamente il contrario della posizione israeliana (congelamento temporaneo e fatta salva la crescita naturale): è evidente come, anche sulle “tendine”, l’accordo sia assai lontano. Per non parlare della questione Gerusalemme Est, dove, secondo la versione del Governo Netanyahu, non esistono insediamenti, poiché Gerusalemme è capitale unica, eterna e indivisibile dello Stato di Israele, per cui il Governo di Tel Aviv mai accetterà alcuna limitazione della propria sovranità su quei luoghi. Gli stessi che i Palestinesi vogliono far diventare capitale dello Stato palestinese: un tassello, questo, che travalica la questione insediamenti. Il tassello per eccellenza, quello su cui si giocherà l’intera questione.
COLPO DI SCENA – In questo scenario, gli eventi degli ultimi giorni hanno quantomeno destato scalpore. In un clima di ottimismo generale sull’accordo Usa-Israele sul congelamento degli insediamenti, il Governo israeliano ha annunciato alla fine della scorsa settimana il via libera alla costruzione di 455 nuove unità abitative in sei insediamenti. L’ultimo colpo di coda del Governo Netanyahu prima dell’accordo sul congelamento temporaneo pare aver provocato l’assai risentita reazione dell’inviato americano in Medio Oriente George Mitchell. Anche l’Unione Europea si è fatta sentire: il Presidente di turno svedese ha affermato che gli insediamenti sono illegali per il diritto internazionale, e costituendo un ostacolo alla pace vanno immediati congelati, per essere smantellati entro marzo 2011, compresa l’area di Gerusalemme Est. In realtà, un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz ha mostrato come non vi sia alcun nuovo permesso: le 455 unità abitative avevano già ricevuto dei permessi di costruzione, anche dal precedente Governo Olmert, ma per diverse ragioni non erano ancora state realizzate. Ora il Governo Netanyahu ha rinnovato un via libera di due mesi per completarle; oltre quella data, l’esecutivo ritirerà tali permessi. Di fatto, anche se vi è solamente una conferma di permessi già esistenti, tutto questo ha contribuito ad un nuovo innalzamento di tensione tra le parti.
INCUDINE E MARTELLO – Di fatto, gli ultimi permessi prima dell’accordo e le dichiarazioni del Ministro della Difesa israeliano Barak (che definisce il congelamento “necessità nazionale”), e del Presidente israeliano Peres (“Non è facile convincere la popolazione a fare concessioni e a prendere rischi, ma non abbiamo alternative, dobbiamo farlo subito per tornare a negoziare sul principio due popoli per due Stati”) mostrano un quadro abbastanza controverso. Come spesso è accaduto nella storia ai premier israeliani, Netanyahu è ora tra l’incudine e il martello, schiacciato tra la necessità di tenersi buoni i coloni e le ali più estremiste del Governo (leggasi: rinnovo dei permessi), e il tentativo di riprendere i negoziati, facendo accettare agli Israeliani il congelamento. Trovare un compromesso tra queste due esigenze è davvero un compito tutt’altro che scontato.
Alberto Rossi [email protected]