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Riforma fiscale globale: un passo avanti?

In 3 sorsi – Un nuovo accordo G7 accelera il dibattito sulla riforma fiscale internazionale. D’altro canto, se una riforma globale sembra più vicina, interessi politici divergenti rendono il percorso tortuoso.

1. L’AGENDA DELLA RIFORMA

Alla luce della digitalizzazione dell’economia e dei relativi rischi in termini di elusione fiscale, la riforma delle norme fiscali globali sta ricoprendo un ruolo primario all’interno dell’agenda internazionale. Dal 2013 la principale proposta multilaterale nella quale si discute della riforma è l’Inclusive Framework on Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) in seno all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), iniziativa alla quale partecipano in totale 139 Paesi. Il primo punto focale delle negoziazioni riguarda la possibilità di tassare le multinazionali nelle giurisdizioni dove esse svolgono le proprie attività economiche, indipendentemente dal fatto che vi abbiano una presenza fisica. In modo complementare al primo, il secondo punto consiste nell’adozione di una tassa minima sui profitti delle multinazionali. Se il dibattito sulla riforma precede i tempi della pandemia, esso ha recentemente acquisito vigore non solo dato l’accresciuto bisogno di spesa pubblica per rispondere alla crisi da COVID-19, ma anche grazie al rinnovato interesse degli Stati Uniti sotto l’Amministrazione Biden.

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Fig. 1 – Un’immagine dal G7 di Carbis Bay

2. L’ACCORDO G7 SU UN’ALIQUOTA MINIMA

Lo scorso 5 giugno, i Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno raggiunto un accordo politico che consente al dibattito sulla riforma fiscale di fare un notevole passo avanti. In primo luogo l’accordo prevede che le multinazionali con profitti superiori al 10% ridistribuiscano circa un quinto di tale profitto nelle giurisdizioni dove vendono i propri prodotti e/o servizi, il che porrebbe fine al regime attuale per cui il prelievo fiscale avviene solo nel Paese dove le aziende hanno presenza fisica. In secondo luogo stabilisce che tali profitti vengano tassati almeno al 15%. Una tale convergenza politica tra alcune delle maggiori economie del mondo sembra ora aprire la strada al consenso anche in contesti negoziali più ampi del G7. Questo vale in particolare per il prossimo incontro del G20 a luglio 2021, per il quale sono in molti ad aspettarsi che altri Paesi aderiscano all’accordo del G7. Secondo diverse previsioni una riforma su larga scala beneficerebbe innanzitutto le economie sviluppate (dove si concentrano i profitti), seguite in misura minore dai Paesi in via di sviluppo. Al contrario metterebbe in crisi il modello economico di quegli Stati che contano su aliquote particolarmente basse per attrarre investimenti. D’altro canto simili prospettive non appaiono poi così vicine, date le numerose sfide che persistono al livello politico prima ancora che attuativo.

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Fig. 2 – Joe Biden al G7 in Regno Unito

3. UN PERCORSO TORTUOSO  

In primo luogo alcune voci si sono già sollevate contro l’introduzione di una tassa del 15% da parte di Paesi con aliquote inferiori come l’Irlanda e la Svizzera, i quali hanno sottolineato, rispettivamente, il bisogno di tutelare gli interessi dei Paesi più piccoli, e l’intenzione di introdurre nuovi sussidi per controbilanciare un aumento delle tasse sui profitti. A dire il vero anche quei Paesi che convergono sui principi della riforma rischiano di scontrarsi su aspetti più specifici come, ad esempio, il tipo di aziende soggette alle nuove regole. Qui è facile immaginare un divario tra la preferenza delle economie avanzate per una base fiscale più ristretta, e quella dei Paesi in via di sviluppo per una più ampia. Anche l’apparente consenso tra Stati Uniti e Unione Europea (UE) nasconde, in realtà, interessi diversi. Infatti, se l’accordo del G7 ha stimolato ulteriormente l’agenda fiscale dell’UE, gli Stati Uniti guardano a essa con sospetto. Ciò riguarda in particolare il progetto di una tassa digitale europea che, contrariamente alla proposta del G7, andrebbe a colpire direttamente le multinazionali del web, in larga parte statunitensi. Simili preoccupazioni dimostrano che la solidarietà fiscale che sembra nutrire il dibattito internazionale si interrompa laddove cominciano gli interessi nazionali. In ogni caso, con il prossimo incontro del G20 alle porte, il raggiungimento di un accordo politico multilaterale entro il 2021 sembra ormai una possibilità concreta. Dopodichè il processo di implementazione dipenderà largamente dalle scelte dei singoli attori, tra i quali l’UE pare mostrare la maggiore motivazione a procedere. Questo anche alla luce del fatto che, nella prima metà del 2022, la Presidenza del Consiglio dell’UE – e quindi l’opportunità di influenzare le negoziazioni nei vari percorsi legislativi europei – spetterà alla Francia, uno dei Paesi membri che più sostengono l’agenda fiscale UE.

Cristiano De Vergori

Welcome Back to the White House, President Biden!” by jurvetson is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Da diversi anni è in corso un dialogo internazionale per contrastare evasione ed elusione fiscale.
  • Dal G7 è giunta una decisione storica per l’introduzione di una global minimum tax.
  • La strada per un’effettiva applicazione è però tortuosa: prossimo appuntamento al G20.

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Cristiano De Vergori
Cristiano De Vergori

Sono laureando in Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli e l’Université libre de Bruxelles, con indirizzo in Studi Europei. Ho lavorato nell’ambito dei Public Affairs, sia a Roma – presso l’ambasciata britannica – sia a Bruxelles – presso Unioncamere. Sono appassionato di tematiche europee, soprattutto per quanto riguarda la governance economica e finanziaria.

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