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Civil War: un Caffè con il professor Alessandro Barbero

E’ in uscita prossimamente il podcast de Il Caffè Geopolitico “Civil War”, legato alla nostra newsletter “House of Coffee” dedicata agli Stati Uniti. Abbiamo parlato dei temi che saranno affrontati con il professor Barbero, autore, tra l’altro, del romanzo storico “Alabama”, pubblicato di recente.

Professor Barbero, è uscito da poco il suo ultimo romanzo che ha un titolo semplice, ma che dice già molte cose: “Alabama”. Ci potrebbe raccontare che cos’era il “sud” degli Stati Uniti nel periodo della Guerra Civile?

Da un lato era un Paese molto diverso da come noi siamo abituati a immaginare l’America. Era una società rurale quando il nord, invece, era già diventato una grande potenza industriale. Era un mondo di campagna con poche e piccole città. Era un mondo di grandi proprietari terrieri che avevano una grande autorità sugli altri bianchi liberi, sui piccoli proprietari, sugli affittuari e, naturalmente, era una società che basava la sua economia sulla schiavitù. Quindi, da tutti questi punti di vista una società per niente moderna e che fatichiamo ad associare all’immagine degli Stati Uniti che abbiamo. Però, al tempo stesso, era l’America in pieno, erano gli Stati Uniti perché quei bianchi del sud vivevano il “sogno americano”, erano entusiasti dei valori americani dell’indipendenza, della libertà, dell’individualismo e si erano convinti di vivere in una società democratica e in parte lo era, naturalmente, anche se c’era questa dimensione quasi feudale dell’egemonia grandi piantatori. Era un’America democratica, più democratica di qualunque altro Paese al mondo a quell’epoca. Questi bianchi, questi bianchi poveri, specialmente al sud, erano persone che riuscivano tranquillamente a tenere insieme gli ideali americani di democrazia e di libertà con il fatto di avere la schiavitù. Del resto, la contraddizione la vediamo noi, ma dal loro punto di vista non c’era davvero: io sono un uomo libero, sono un libero americano e nessun Governo può venire a casa mia a dirmi cosa devo fare e a dirmi che non posso possedere gli schiavi che mi sono comprato con il mio lavoro. Non sono diversi da quegli americani di oggi il cui ritornello è “nessun Governo può venire a dirmi che non posso tenere un fucile mitragliatore in casa”.

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Nel romanzo si parla anche della battaglia di Chancellorville, ce la potrebbe raccontare brevemente?

La battaglia di Chancellorsville è una di quelle tipiche battaglie combattute sul fronte atlantico, sulla East Coast, durante la Guerra Civile americana, dove per anni il tema conduttore era che le forze “nordiste”, essendo largamente superiori, dato che il nord aveva il triplo degli abitanti del sud e una base industriale enormemente superiore, attaccavano. Perché in guerra chi è più forte, attacca e cerca di invadere il Paese nemico. Questo fronte è stato considerato quello principale, perché lì erano le due capitali, Washington e Richmond che distano poco più di 150 chilometri l’una dall’altra e lì, sul confine della Confederazione, in Virginia, il tema di tutti i primi anni di guerra era che eserciti nordisti, molto superiori di numero, invadevano, venivano affrontati dall’Armata della Virginia Settentrionale al comando del Generale Lee e regolarmente sconfitti in modo clamoroso. Ciò provocava ogni volta la costernazione dell’opinione pubblica del nord che ogni volta sperava di aver trovato un Generale in gamba e che quella sarebbe stata la battaglia risolutiva e ogni volta, invece, i nordisti venivano respinti e sconfitti. Chancellorsville è l’ultima di questa serie di grandi vittorie sudiste che scandirono il 1861, il 1862 e la prima parte del 1863. È leggendaria perché quella volta davvero lo sforzo nordista era stato enorme. Il nuovo comandante dell’Armata del Potomac, il Generale Hooker, era molto stimato e il Presidente Lincoln aveva grandi aspettative. Gli aveva affidato il comando dell’Armata dicendogli “give us victories”, “dateci delle vittorie” e invece ancora una volta i nordisti furono sconfitti. La battaglia è leggendaria anche perché la vittoria sudista si basò su una grande manovra di aggiramento molto ardita condotta dal migliore dei luogotenenti di Lee, il Generale “Stonewall” Jackson il quale, peraltro, venne ferito per sbaglio dai suoi stessi uomini e morì pochi giorni dopo. Quindi tutto questo tutto questo ammanta la battaglia di Chancellorsville di un’aura epica. È l’ultima di questa serie perché dopo tutte queste vittorie il Generale Lee iniziò a pensare che forse sarebbe stato possibile iniziare qualcosa di nuovo, cioè provare a invadere il nord, perché se si fosse arrivati a Washington e se si fosse riusciti a sconfiggere sul suo territorio l’Armata del Potomac sarebbe stato possibile vincere la guerra e imporre la pace. Quindi, poche settimane dopo Chancellorsville, cominciò l’invasione del nord che si concluderà con la più grande sconfitta sudista della guerra: la battaglia di Gettysburg.

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Rimaniamo nella storia militare: quali erano le differenze tra l’esercito unionista e quello confederato?

Erano eserciti fondamentalmente abbastanza simili, nel senso che erano formati all’inizio da volontari, poi in un secondo momento da coscritti, in un Paese, gli Stati Uniti, dove non c’era alcuna tradizione militare, che non aveva un grande Esercito permanente e, perciò, gli enormi eserciti che combatterono la Guerra Civile dovettero essere improvvisati quasi dal nulla. In questo senso erano eserciti fatti all’inizio dagli entusiasti, da volontari che si battevano per una causa, poi sempre di più da coscritti dopo che entrambi i Governi si resero conto che non ci si poteva basare solamente sui volontari. Detto questo, nell’arco complessivo della guerra, che non si combatté soltanto tra Washington e Richmond, ma su tutto l’immenso Paese, nell’Ovest, nel Mississippi, nel Tennessee, in Texas, non si può dire che le forze sudiste fossero superiori a quelle nordiste. Però, l’Armata di Lee effettivamente, grazie al carisma dei suoi Generali, aveva un margine di superiorità. Mentre le forze nordiste che aveva di fronte, l’Armata del Potomac, erano più numerose, meglio equipaggiate, meglio nutrite e così via, indubbiamente l’armata della Virginia Settentrionale dimostrò per tutta la guerra uno spirito combattivo, di sacrificio e un’efficacia nel combattimento superiore a quelli dei nemici che si trovava di fronte, il che contribuisce a spiegare perché la guerra durò quattro anni benché la supremazia del nord fosse schiacciante. Dopodiché non si trattava di differenze tattiche, anzi, da un punto di vista strettamente degli armamenti, le forze nordiste con il tempo ebbero un margine di superiorità perché avevano una produzione di armi più moderne, i fucili rigati, mentre i sudisti rimasero per lo più legati al moschetto ad avancarica, che avevano tutti all’inizio della guerra. L’artiglieria nordista era superiore, aveva munizioni di migliore qualità e così via. Dal punto di vista tattico combattevano tutti allo stesso modo, cioè era una fase in cui non si facevano più le avanzate schierati proprio in linea a passo cadenzato come al tempo di Napoleone, ma le truppe combattevano ancora in massa, allo scoperto. La novità fondamentale da un punto di vista tattico era che chi si difendeva si trincerava. Diventava un riflesso condizionato costruire una linea di tronchi per difendersi quando volevano tenere una posizione, e questa era una novità rispetto all’epoca napoleonica. Invece, chi attaccava veniva ancora avanti allo scoperto, con una linea meno compatta rispetto alle guerre di Napoleone, ma comunque in massa perché i moschetti tutto sommato erano molto simili a quelli di quell’epoca. Poi, come dicevo, vennero introdotti i fucili a canna rigata, che avevano una gittata superiore e che fecero sì che attaccare una posizione trincerata divenisse quasi suicida.
È difficile perciò dire quali fossero le differenze se non il fatto che sul teatro della East Coast le forze sudiste avessero una superiorità morale dovuta al fatto che erano guidate da comandanti leggendari.

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Quando si parla di battaglie della Guerra Civile americana, quella che viene in mente per prima è certamente Gettysburg. Fu davvero così decisiva?

È stata decisiva al rovescio. Nel senso che se Lee avesse annientato l’Armata del Potomac, si potrebbe anche ipotizzare che nel nord ci sarebbe stato un movimento popolare per porre fine alla guerra. L’opinione pubblica del nord era già abbastanza scossa dalla sequenza di disfatte che aveva subito. La coscrizione obbligatoria, proprio in quell’estate del 1863, provocò anche tumulti e la sommossa di New York contro i neri. La popolazione di New York iniziò ad accusare i neri, dicendo “è colpa vostra se dobbiamo andare a fare la guerra”. Dunque, nell’ipotesi di una battaglia decisiva in cui Lee avesse davvero, come aveva sperato fino all’ultimo giorno a Gettysburg, sbaragliato l’Armata del Potomac, per poi marciare su Washington, si potrebbe anche pensare che il nord avrebbe firmato la pace. Invece, la sconfitta di Lee non significò ancora la vittoria del nord, perché la sua Armata tornò in Virginia ed era pronta come prima a difendersi. In quel senso è stata molto più decisiva la campagna del Generale Grant dell’Unione sul Mississippi. Negli stessi giorni della battaglia di Gettysburg, Grant, che comandava all’ovest, prese la fortezza di Vicksburg, ultimo punto di forza dei sudisti sul Mississippi. A quel punto l’Unione controllava tutto il corso del fiume, che voleva dire che il sud era tagliato in due e da un punto di vista di mobilitazione delle risorse questo fatto fu un colpo durissimo. A partire da quel momento, poi, furono le forze unioniste nell’ovest che progressivamente avrebbero stritolato la Confederazione, mentre Grant, mandato a comandare sul fronte orientale, avanzò contro Lee nell’anno seguente, ma con grande fatica ancora.

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Il Generale Lee dell’esercito della Confederazione è entrato nella leggenda nonostante alla fine quella guerra l’abbia persa. Quali erano le differenze tra lui e quello che poi diventerà il suo principale rivale, il Generale Grant dell’Unione?

Lee era un Generale napoleonico, cioè era un comandante che essenzialmente gestiva la fase operativa di una campagna, al comando di una singola Armata e poi, soprattutto, eccelleva nel momento in cui c’era da scatenare una battaglia, nella prospettiva tradizionale della ricerca dello scontro decisivo, ossia che si potesse vincere una guerra in un solo giorno. La storia stava dimostrando come fosse già un po’ vecchia come concezione, non era già più così. Però Lee era in questa tradizione, che vuol dire che era sotto i riflettori, perché alla gente piacevano i Generali che vincevano le battaglie “impossibili” e perciò la sua figura risultò molto più “brillante” ed era molto più “il grande Generale” di tipo tradizionale, quello innovativo, geniale perché trovava la manovra vincente inventata sul momento che in poche ore faceva vincere una grande battaglia. Grant non aveva questa dimensione così brillante, però era un Generale moderno, in grado di dirigere una guerra su amplissimi spazi perché in grado di dirigere la manovra e l’approvvigionamento non di una singola Armata, ma di tutte le forze dell’Unione su diversi teatri, perché alla fine della guerra lui comandava tutto l’Esercito federale. Nel teatro orientale, l’Armata del Potomac era quindi subordinata a lui, ad esempio. Quindi, Grant operava su un’altra scala. Poteva non essere il tattico brillante che vinceva le battaglie, tant’è vero che quando si trovò davanti Lee, fece fatica anche lui, cavandosela in più di un caso abbastanza bene in altri molto male in battaglie sanguinosissime nel 1864. Però, appunto, la forza di Grant non era in quello, era nella capacità di gestione complessiva di una campagna su vasto raggio che è la caratteristica dei Generali moderni, dove la visione complessiva della guerra è più importante che non il colpo di genio e la manovra brillante e inattesa che ti fa vincere una battaglia.

Ringraziamo il professor Alessandro Barbero per averci concesso quest’intervista. Potete acquistare il suo ultimo libro, “Alabama”, edito da Sellerio Editore qui o nelle librerie.

Emiliano Battisti

Alessandro Barbero è professore ordinario presso l’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Studioso di storia medievale e di storia militare, è autore di numerose pubblicazioni, oltre ad aver partecipato a diverse trasmissioni televisive come Superquark, Il Tempo e la Storia, Passato e Presente. E’ curatore della serie di documentari ACDC su Rai Storia.

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  • E’ in arrivo un podcast de Il Caffè Geopolitico: “Civil War”. Lo potete ascoltare qui.
  • Abbiamo intervistato il professor Alessandro Barbero su alcune delle tematiche che saranno affrontate dal podcast.
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Emiliano Battisti
Emiliano Battisti

Consulente per la comunicazione per un’azienda spaziale e Project Officer and Communications per OSDIFE, sono Segretario Generale e Direttore della comunicazione dell’APS Il Caffè Geopolitico e Coordinatore dei desk Nord America e Spazio. Ho pubblicato il libro “Storie Spaziali”.

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