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Corea vs. Corea

L’esercitazione congiunta Foal Eagle, che coinvolge Corea del Sud e Stati Uniti, si è trasformata in un “casus belli” per riaccendere il confronto con la Corea del Nord. Dopo il test nucleare di Febbraio e le conseguenti sanzioni, questo strappo può considerarsi fisiologico, ma il pericolo di escalation è serio.

 

L’ESERCITAZIONE DELLA DISCORDIA – Le esercitazioni congiunte tra Corea del Sud e Stati Uniti (Key Resolve e Foal Eagle) sono eventi addestrativi molto significativi nella regione fin dal 1953, anno dell’implementazione del trattato di mutua difesa tra i due partecipanti. Oltre ai fini addestrativi, infatti, queste due esercitazioni sono un modo per “mostrare i muscoli” agli avversari. A quanto pare quest’anno la Corea del Nord non ha gradito lo show. In particolare, i bombardieri pesanti B-52 non sono proprio andati giĂą a Kim Jong-un, il quale ha considerato le dimensioni dell’esercitazione e gli assetti rischierati una provocazione bella e buona. Così mercoledì 27 Marzo il leader nord coreano ha annunciato di aver tagliato la cosiddetta “linea rossa”, una linea di comunicazione diretta posta al confine e che permette di gestire i transiti tra le due Coree. Non solo: i toni sono saliti vertiginosamente e arrivati fino alle minacce di un attacco convenzionale e perfino di una rappresaglia nucleare. Ma Washington ha soffiato ancora sul fuoco, e ha ingrossato ulteriormente i numeri dell’esercitazione, buttando in mischia due bombardieri stealth (i B-2) con capacitĂ  di strike nucleare. Di conseguenza, le batterie missilistiche terrestri e navali nord coreane sono in stato di massima allerta.

 

Semoventi "Paladin" in batteria durante Foal Eagle 2013.
Semoventi “Paladin” in batteria durante Foal Eagle 2013

CAPO NUOVO, STORIA VECCHIA – A poco più di un anno dalla salita al potere di Kim Jong-un, il copione non sembra essere molto cambiato. La Corea del Nord non è nuova a questi “show off” e ha abituato analisti e politici ad escalation improvvise che poi di risolvono in un nulla di fatto. E’ così anche stavolta? Il modus operandi è lo stesso delle precedenti crisi, ma il regista è diverso. Le notevoli differenze tra Kim Jong-un e il suo predecessore Kim Jong-il preoccupano non poco. Il nuovo dittatore è poco esperto, nessuna esperienza governativa alle spalle, ed è molto esuberante. Questo potrebbe portarlo a fare valutazioni sbagliate e a prendere decisioni avventate. Il problema del gioco delle escalation è che se si trascende un certo limite non è poi possibile tornare indietro. L’austero Kim Jong-il lo sapeva bene e conduceva una politica aggressiva ma oculata. Per contro non aveva la popolarità che il figlio sembra bramare e che gli ha fruttato qualche consenso in più tra la popolazione. Forse il giovane Kim fa affidamento proprio sul fattore consenso per azzardare qualche passo in più, ma il valore di tale consenso è molto scarso, dal momento che la maggior parte del popolo è in buona sostanza affamata e spaventata dall’ipotesi di una guerra. Razionalmente la Corea del Nord non sarebbe nemmeno in grado di sostenere un conflitto ad alta intensità senza essere annichilita sia dal punto di vista economico che da quello militare.

 

RISIKO! – In caso di guerra la Corea del Nord ha qualche punto di forza, ma troppi di debolezza. Il bilancio complessivo pende a favore del sodalizio Corea del Sud-Stati Uniti sia in caso di confronto convenzionale che nucleare. Le forze armate nord coreane sono imponenti, oltre un milione di uomini, contro gli appena 640.000 sud coreani, cui si aggiungono 28.000 militari statunitensi.  Un punto di forza della Corea del Nord sono le forze speciali, le più vaste al mondo (60.000 effettivi), unità molto ben addestrate e discretamente equipaggiate, in grado di eseguire colpi di mano, incursioni e azioni massicce di guerriglia. Altro assetto temuto è l’artiglieria. Si calcola che in caso di conflitto convenzionale full scale Pyongyang potrebbe recapitare su Seoul mezzo milione di colpi solo nella prima ora di combattimenti. Impressionante, sulla carta. All’atto pratico il vantaggio dei numeri viene innanzitutto sminuito dalla fatiscenza di mezzi ed equipaggiamenti, molti dei quali datati. Sebbene capaci di effettuare un colpo di mano, le forze del nord non sarebbero in grado di occupare una porzione significativa di territorio a tempo indeterminato. Infatti, dall’altro lato, le forze armate del sud, forti anche dell’appoggio americano, sono addestrate ed equipaggiate per operazioni molto più complesse e “tridimensionali”, ovvero in grado di coinvolgere contemporaneamente assetti terrestri, navali e aerei in perfetto coordinamento tra di loro. I vantaggi tecnologici ed operativi a livello tattico e l’enorme vantaggio strategico di poter garantire da subito la piena superiorità aerea riducono al minimo le capacità di successo nord coreane. Il nord vedrebbe la distruzione dei propri centri comando, delle rampe di lancio dei missili balistici e delle concentrazioni maggiori di truppe in poche ore per effetto dell’air power. Senza contare l’eventuale coinvolgimento giapponese, che getterebbe nella mischia il più efficiente apparato militare di tutta l’Asia. Ovviamente la Corea del Sud cerca di evitare lo scontro perchè, anche se vittoriosa, i danni economici provocati da un conflitto su larga scala sarebbero ingenti. Sarebbe un peccato vanificare  anni di galoppata economica e sviluppo. La Corea del Nord, invece, rischierebbe il definitivo annichilimento. Passando al piano nucleare, a dispetto delle dichiarazioni del suo tracotante leader, la Corea del Nord è un nano politico e militare. Non dispone di testate nucleari compatibili con missili e non ne avrà almeno per i prossimi 5 anni. Potrebbe costruire delle “bombe sporche”, ordigni convenzionali contenenti materiale radioattivo, ma la risposta nucleare americana anche solo ad un singolo attacco del genere sarebbe molto poco clemente.

 

GUERRA E PACE – L’inferiorità militare nord coreana allontana l’ipotesi di uno scontro armato? No, la possibilità che le forze vengano a contatto e che il confronto degeneri in scontro continuano a crescere, purtroppo. Le considerazioni di cui sopra, però, fanno presagire che un eventuale scontro armato vedrebbe le aree delle operazioni volutamente limitate da entrambe le parti e il tentativo di evitare una guerra totale. Quanto è probabile uno scontro a fuoco? La probabilità è inversamente proporzionale alla distanza alla quale le reciproche forze si terranno. Il problema delle escalation è che ammassare forze tra loro avversarie in spazi piccoli e metterle sotto pressione per periodi significativi aumenta il rischio che un ordine frainteso, un missile partito per sbaglio o una provocazione di troppo dia inizio alle ostilità anche senza espresso ordine della catena di comando, che deve poi adeguarsi alle conseguenze.

 

IL “FATTORE C” (WILD CARD) – Nell’equazione Nord Coreana esiste una variabile indipendente: il fattore C, dove C sta per Cina. Finora Pechino si è goduta lo spettacolo, ma oggi la Cina ha cominciato a farsi sentire. I rapporti tra Pyongyang e Pechino si sono raffreddati ultimamente, ma la Corea del Nord rimane un partner e un alleato. E Pechino non può permettere agli Stati Uniti di avanzare ancora in Asia. Lo scherzetto nucleare di febbraio le è giĂ  costato caro sul piano strategico tanto che, per la prima volta, la Cina ha votato a favore delle sanzioni ONU recentemente imposte e ha tagliato gli aiuti bilaterali, pur mantenendo le forniture energetiche dalle quali la Corea del Nord dipende fortemente. Il governo cinese ha tutto l’interesse a far finire la cosa subito e in maniera pacifica. Gli Stati Uniti non lo ammettono, ma un intervento cinese incisivo, al momento giusto, e una buona intimidazione (politica ovviamente) all’indirizzo di Kim Jong-un, potrebbe raffreddare gli animi e innescare la sperata de-escalation. La mossa potrebbe anche fruttare alla Cina un bel tesoretto di prestigio da spendere a breve in sede SCO e ASEAN, magari sminuendo il ruolo della Russia che, fino ad oggi, a parte dichiarazioni generiche di condanna, è stata poco incisiva.

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Marco Giulio Barone
Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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