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Trump’s National Security Strategy – Parte II: la strategia in pratica

L’amministrazione Trump ha svelato la nuova National Security Strategy degli Stati Uniti d’America. La analizziamo in tre parti: la prima è dedicata ai quattro pilastri fondamentali della NSS, mentre la seconda alla trasposizione della dottrina nei vari scenari regionali

LA STRATEGIA NEI CONTESTI REGIONALI

Quanto presentato nella prima parte di questa analisi viene adattato, nella parte finale della NSS, ai vari contesti regionali nei quali gli Stati Uniti si trovano a operare. L’ordine nel quale sono collocati, naturalmente, non è casuale ma riflette la differente priorità assegnata alle aree del globo.

1. INDO-PACIFICO

L’area più popolosa ed economicamente dinamica al mondo era già stata indicata come prioritaria dall’amministrazione precedente e non perde il suo rilievo neanche con Donald Trump alla Casa Bianca. In essa la Cina gioca un ruolo cardine. Potenza in ascesa, viene considerata aggressiva e minacciosa nel nuovo documento statunitense. In particolare, viene criticata la politica cinese volta a persuadere i vicini a sottostare alla sua agenda grazie a un mix di pressioni economiche, diplomatiche e militari. Inoltre, le sue attività volte a limitare la capacità statunitense di accedere all’area e le azioni poco amichevoli in campo cyber – attacchi hacker e sottrazione di proprietà intellettuale – contribuiscono a peggiorarne la percezione a Washington. Anche la Corea del Nord viene duramente criticata nel documento: la sua postura sempre più bellicosa mina gli interessi e la sicurezza di Washington e dei suoi alleati e la mantiene al vertice delle minacce per gli Stati Uniti. L’unica soluzione possibile resta la denuclearizzazione della penisola coreana. L’enfasi è posta anche sulla volontà di mantenere aperte le linee di comunicazione marittime e di concludere accordi di libero scambio che siano, però, ritenuti onesti ed equi.

2. EUROPA

Il Vecchio Continente torna tra le priorità di Washington soprattutto a causa della presenza di una Russia proattiva. Gli Stati Uniti, si ricorda nel documento, sono più sicuri quando l’Europa è stabile e in pace: per questo non possono che rimanere fermamente impegnati nel preservare tale condizione. L’articolo V del Trattato di Washington, dunque, non è in discussione. Viene bersagliata la volontà dimostrata da Mosca nel violare la sovranità dei suoi vicini e si annuncia l’intenzione di contrastare le attività sovversive russe. Per lavorare congiuntamente al contrasto di tale minaccia, però, anche i Paesi europei devono impegnarsi nel rafforzare le loro capacità militari – chiaro riferimento alla necessità di raggiungere il 2% di PIL destinato alla difesa come da accordi NATO. Inoltre, gli strateghi statunitensi si mostrano preoccupati per la penetrazione commerciale cinese in Europa, ritenuta poco corretta e pericolosa per imprese e tecnologie europee.

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Fig. 1 – Donald Trump tiene un discorso a Varsavia (6 luglio 2017)

3. MEDIO ORIENTE

L’area dalla quale gli Stati Uniti desideravano sganciarsi torna in primo piano con la nuova presidenza. In particolare, l’obiettivo di impedire ai gruppi terroristi di ottenere «safe heaven» è ritenuto cruciale, insieme alla volontà di prevenire il dominio dell’area da parte di qualsiasi potenza ostile. Vari problemi sono qui interconnessi: espansionismo iraniano – Paese accusato di essere il principale sponsor del terrorismo internazionale, preso dallo sviluppo di missili balistici e attivo in maligne azioni cyber -, collasso degli Stati, ideologia jihadista, stagnazione socio-economica e rivalità regionali. Si sostiene come né l’aspirazione per la trasformazione democratica né il disimpegno possano proteggere gli Stati Uniti da questo mix: solo un impegno volto ad aiutare i partner alla stabilizzazione e alla loro prosperità, il rafforzamento di partnership strategiche, il mantenimento della presenza statunitense in loco e il contrasto alle attività iraniane ostili possono farlo. Inoltre, si rimarca la necessità di risolvere alcune dinamiche che favoriscono l’ascesa del jihadismo – come diseguaglianze e arretratezza economica.

4. ASIA MERIDIONALE E CENTRALE

L’area, seppure meno rilevante delle precedenti, racchiude circa un quarto della popolazione mondiale, un quinto di tutti i gruppi designati come terroristi dagli Stati Uniti, numerose economie in grande crescita e due Stati nucleari. Su questi ultimi la NSS si sofferma particolarmente: si annuncia la volontà di rinforzare la partnership con l’India – spronando il Paese a fare di più per la stabilità regionale – e, allo stesso tempo, di pressare il Pakistan per ottenere maggiori sforzi nel contrasto al terrorismo – e la recente decisione di tagliare la maggior parte degli aiuti militari al Paese è chiaramente in linea con quanto dichiarato nella NSS. Anche l’Afghanistan è osservato speciale: si rimarca la volontà di sostenere il Governo afghano nella sua lotta per rendere il Paese un luogo sicuro e in pace e di lavorare per convincere i talebani a unirsi al tavolo dei negoziati data l’impossibilità di prevalere sul campo di battaglia.

5. EMISFERO OCCIDENTALE

Nell’Emisfero Occidentale, quello di appartenenza degli Stati Uniti, le minacce diventano di minor rilevanza rispetto a quelle sopra citate – in particolare per l’assenza di Stati capaci di porre una sfida diretta a Washington. Le principali minacce, dunque, sono individuate a livello di criminalità organizzata transnazionale, capace di produrre un alto livello di violenza e di condurre pratiche che minano la sicurezza statunitense – traffico di droga e immigrazione illegale sopra tutte. Viene, inoltre, evidenziato il rischio di infiltrazione nell’area di potenze ostili – e, ancora una volta, si citano Cina e Russia – e si critica il modello ritenuto fallito di Venezuela e Cuba. Gli Stati Uniti, di conseguenza, propongono l’isolamento dei governi che rifiutano di agire responsabilmente – sostenendo il diritto alla libertà di cubani e venezuelani. Inoltre, viene annunciata la volontà di modernizzare gli accordi commerciali, incoraggiare riforme di mercato e rafforzare rule of law e cultura della legalità nei Paesi dell’area.

6. AFRICA

L’ultima area citata è il continente africano, mai stato ai primi posti nella lista delle priorità statunitensi. Si esprime la volontà statunitense di vedere i Paesi africani stabili, sicuri e integrati nell’economia mondiale; per questo, gli Stati Uniti rimarranno impegnati nella promozione di una buona governance, attivi nel supporto umanitario e intenzionati ad affrontare le cause profonde della sofferenza umana nell’area.

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Fig. 2 – McMaster e Trump durante un meeting alla Casa Bianca

CONCLUSIONE E INQUADRAMENTO COMPLESSIVO

La National Security Strategy si chiude con l’affermazione di una rinnovata confidenza statunitense data dall’impegno a seguire i principi contenuti nei documenti fondativi del Paese. Viene rimarcata l’adesione della nuova strategia a un realismo fondato sui principi, capace di riconoscere il ruolo centrale del potere e dello Stato-nazione nella politica internazionale, ma, allo stesso tempo, non abbandonando la linea dell’importanza dell’adesione e della promozione dei principi statunitensi per avere pace e prosperità nel mondo. È possibile notare lungo tutto il documento la tensione esistente tra la dottrina sostenuta dal Presidente Trump – e una parte della sua cerchia – e la visione statunitense che ha prevalso negli ultimi trent’anni – sostenuta, seppur con importanti differenze interne, dalla burocrazia e, per indicare una figura di spicco nell’amministrazione, dal National Security Advisor McMaster. Ciò che ne deriva è una parziale svolta rispetto agli anni passati (tema che verrà approfondito nell’ultima parte) ma, come già affermato anche da McMaster a giugno, l’America First della nuova dottrina non significa America Alone. Gli Stati Uniti, in un mondo scosso da cambiamenti sempre più difficili da controllare, necessitano, secondo gli strateghi della Casa Bianca, di iniziare a preoccuparsi prima dei loro interessi vitali – che si tratti di economia, sicurezza o altro – e, poi, pensare a quelli di alleati e non. Ciò non si traduce, però, in isolazionismo o completa chiusura alle istanze altrui (e in particolare agli alleati) – come ha rimarcato anche il Vicepresidente Pence qualche mese fa – ma solo una maggiore attenzione verso ciò che è ritenuto il meglio per gli statunitensi. Per l’amministrazione Trump, in sostanza, lo Stato-nazione deve pensare innanzitutto ai suoi cittadini, poiché per quello esiste: «As president of the United States, I will always put America first, just like you, as the leaders of your countries, will always and should always put your countries first» (Donald Trump, discorso all’Assemblea Generale ONU, 19 dicembre 2017). Questo, come detto, non cancella la necessità di alleanze, partnership, impegno statunitense nel mondo, difesa dei propri valori e ciò viene rimarcato, con chiarezza anche alla fine del documento: «Noi siamo guidati dai nostri valori e disciplinati dai nostri interessi», una frase che riassume perfettamente le circa sessanta pagine della NSS.

Fine seconda parte

Simone Zuccarelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Walter Russell Mead, professore statunitense, ha fatto considerazioni interessanti sulla nuova NSS. Riassumendo, ha sostenuto che la fusione dell’approccio non convenzionale di Trump con quello più convenzionale del team di politica estera abbia dato vita a una dottrina che ricalca, sotto certi aspetti, la “blue water policy” dell’Impero Britannico. «In the time of Pax Britannica,
blue-water partisans believed Britain could accumulate great strength and wealth by
advancing its interests in the wider world. This would do more to keep the country strong and
respected than success in the intricate games of European diplomacy, they believed. A strong
and rich Britain could always intervene in European politics if necessary to preserve the
balance of power, and a globally dominant Britain would always be respected, even if it failed to
make itself loved. This is the view now driving many of America’s key foreign-policy decisions».

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Foto di copertina di SurfaceWarriors Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Simone Zuccarelli
Simone Zuccarelli

Classe 1992, sono dottore magistrale in Relazioni Internazionali. Da sempre innamorato di storia e strategia militare, ho coltivato nel tempo un profondo interesse per le scienze politiche. 

A ciò si è aggiunta la mia passione per le tematiche transatlantiche e la NATO che sfociata nella fondazione di YATA Italy, sezione giovanile italiana dell’Atlantic Treaty Association, della quale sono Presidente. Sono, inoltre, Executive Vice President di YATA International e Coordinatore Nazionale del Comitato Atlantico Italiano.

Collaboro o ho collaborato anche con altre riviste tra cui OPI, AffarInternazionali, EastWest e Atlantico Quotidiano. Qui al Caffè scrivo su area MENA, relazioni transatlantiche e politica estera americana. Oltre a questo, amo dibattere, viaggiare e leggere. Il tutto accompagnato da un calice di buon vino… o da un buon caffè, ovviamente!

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