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Singapore e il multiculturalismo (II): i limiti del “Singapore dream”

Il multiculturalismo di Stato di Singapore ha consentito all’ex colonia britannica di diventare un modello politico-economico vincente nella regione asiatica. Ma tale modello presenta anche parecchi problemi e appare poco attento alle esigenze individuali dei suoi cittadini. Riuscirà Singapore a sviluppare il suo sistema in senso democratico oppure resterà fedele alla visione tecnocratica del fondatore Lee Kuan Yew?

La prima parte dell’articolo è disponibile qui.

SECONDA PARTE
UNA REPUBBLICA DAVVERO MULTICULTURALE?

Nel 1976 l’antropologo Geoffrey Benjamin affermava che Singapore avesse avviato un processo di “ethno-rationalisation”, intendendo con ciò la creazione di una società composta dalla somma di più culture a discapito di un’identità culturale ibrida. Un impianto ideologico così concepito intende semplificare la complessità sociale del Paese in “unità etniche” facilmente governabili. Allo Stato rimane quindi da interpretare il ruolo di “sentinella morale” che presiede al mantenimento dell’ordine pubblico e della stabilità sociale. Questo “multiculturalismo di Stato” sancisce la prevalenza dei diritti delle comunità sull’individuo, in opposizione al “multiculturalismo liberale” che, invece, pone il singolo al centro della società. Il fenomeno descritto da Benjamin ha mostrato i peggiori risultati nel sistema educativo. Nell’agosto scorso, il New York Times ha dedicato un’inchiesta alla “repressione linguistica” che il Governo avrebbe messo in atto a partire dagli anni Settanta nei confronti dell’insegnamento del dialetto cinese hokkien nelle scuole statali. Si tratta di una lingua vernacolare che ha origine nella Cina meridionale ed è tuttora parlata da due terzi dei discendenti cinesi dell’isola. Qualunque studente che in classe fosse stato colto a interagire in hokkien con i propri compagni veniva multato e costretto a scrivere alla lavagna “Io non parlerò più il dialetto”. Lee Kuan Yew, Primo Ministro di Singapore dal 1959 al 1990 nonché padre dell’indipendenza e del successo internazionale della città-stato, era di discendenza Hakka e si definiva un linguista auto-didatta. Egli riteneva che la lingua fosse un gioco a somma zero: parlarne più di due avrebbe significato non conoscerne bene una. Si dice che tale ragionamento fosse viziato dal fatto che egli stesso non riusciva a parlare correttamente altra lingua o dialetto al di fuori dell’inglese, da egli considerata la lingua degli affari. In realtà, ad oggi quasi due milioni di persone ne coltivano almeno due, sia in casa che fuori, e ciò è più evidente se si prende in esame la fascia di età compresa tra i 15 e i 54 anni.

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Fig. 1 – Lee Kuan Yew, storico leader di Singapore e figura politica chiave dell’Asia post-coloniale. È scomparso nel marzo del 2015

LEE KUAN YEW E L’EGEMONIA POLITICA DEL PAP

La dialettica politica della piccola Repubblica asiatica enfatizza l’equilibrio etnico come elemento cardine del successo dell’esperienza multiculturale di Singapore. Ma, ad una disamina attenta del contesto politico nazionale, salta all’occhio che il Comitato esecutivo centrale del PAP sia attualmente guidato da personalità di etnia cinese, così come di discendenza cinese sono stati i tre Primi Ministri fin qui succedutisi. Il Partito popolare d’azione (PAP) domina la politica di Singapore da quasi sessant’anni, da quando cioè dichiarò la propria indipendenza dal Regno Unito. Lee Kuan Yew è stato il leader e il fondatore del sempiterno partito di centro-destra, un movimento politico che è stato in grado di rappresentare le esigenze della classe media, portando avanti importanti programmi di sicurezza sociale. Il partito è una grande macchina elettorale che riesce a far presa nelle circoscrizioni più povere e densamente popolate e trae la sua forza dal grado di cooptazione dei migliori funzionari del settore pubblico e privato. Fondamentale è stato il legame con la pubblica amministrazione, che si è mantenuta fedele all’esecutivo e che è progressivamente divenuta il simbolo del sistema fondato su meritrocrazia, competizione e incentivi. Al contrario, l’opposizione è strutturalmente apparsa debole e non è mai stato capace di tenere testa al partito di Governo. I politologi tendono a parlare di Singapore come a un sistema “a partito dominante”, dove l’opposizione ha un impatto irrilevante sulle decisioni dell’esecutivo e non è minimamente in grado di influenzare l’agenda governativa. Nel corso dei decenni il PAP si è rivelato l’unica formazione in grado di formare un Governo, mentre i partiti di opposizione non hanno mai dato talora l’impressione di volersi coalizzare su un programma alternativo, preferendo piuttosto appiattirsi sulle  posizioni del partito di maggioranza. Alle ultime elezioni legislative il PAP ha ottenuto quasi il 70% dei suffraggi, facendo incetta di seggi in Parlamento (89 su 101) che gli hanno consentito di conservare la maggioranza assoluta.

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Fig. 2 – Musulmani in preghiera in una delle principali moschee di Singapore

CASE POPOLARI E ARMONIA RAZZIALE

Tra i simboli del successo del PAP e una delle tante eredità politiche lasciate da Lee Kuan Yew, merita menzione il programma di assegnazione delle case popolari. Fin dall’inizio, l’impegno dell’autorità pubblica è stato di favorire l’armonia razziale per evitare che una comunità etnica dominasse sull’altra e impedire la formazione di veri e propri ghetti nel piccolo contesto urbano. Fondata nel 1960, l’Housing Development Board (HDB) è l’autorità pubblica deputata alla costruzione e alle vendità di unità abitative di edilizia convenzionata alle famiglie meno abbienti. Attualmente esistono circa un milione di case popolari, vendute dal Governo a un prezzo più basso di quello applicato dal mercato o, in alternativa, concesse in affitto per 99 anni. L’acquirente ottiene un prestito statale o un’agevolazione governativa (grant, concessa sulla base di requisiti quali l’età e il reddito) che gli consentono di acquistare o prendere in affitto un immobile (un trilocale, ad esempio, può arrivare a costar mediamente 217 mila dollari statunitensi). I risultati sono che a Singapore non esistono senzatetto. Acquistare o affittare un appartamento è più conveniente qui che in altre metropoli asiatiche. Tra il 2015 e il 2016 l’HDB ha messo a disposizione 1,8 miliardi di dollari di Singapore per il sistema abitativo, corrispondente al 2,4% del budget nazionale. Dall’avvio del programma, il Governo ha finanziato 28 miliardi di dollari singaporiani di grants e ha venduto o concesso in affitto 54 mila appartamenti riuscendo a coprire all’80% la platea di aventi diritto.

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Fig. 3 – Tharman Shanmugaratnam, Vice-Primo Ministro di Singapore, parla durante il World Economic Forum di Dalian del giugno 2017. Di origini tamil, Shanmugaratnam rappresenta perfettamente il carattere multietnico e multiculturale del suo Paese

UN MODELLO PER IL SUD-EST ASIATICO?

Singapore è un modello di successo per il Sud-est asiatico? Nel diciannovesimo secolo John Stuart Mill scriveva, in merito al rapporto tra Stato e nazionalità, che le istituzioni rappresentative mal si conciliavano con un Paese al cui interno interagivano comunità etniche differenti. Infatti, affinché tali istituzioni liberali esercitassero il proprio potere sul territorio, era necessario che i confini di uno Stato coincidessero con quelli della nazionalità. Sulla base dell’esperienza di Singapore, è possibile affermare che lo Stato multirazziale abbia garantito stabilità e sviluppo alla piccola isola asiatica ma, dall’altro lato, è altrettanto evidente che il multiculturalismo di Stato abbia a volte soffocato le aspirazioni individuali.

Raimondo Neironi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Si dice che uno scandalo politico scaturisca spesso da motivazioni private che disvelano dissapori famigliari: anche Singapore non è rimasta immune a una tendenza che si è sviluppata in molti altri Paesi. Dalle pagine di un lungo comunicato – “What has happened to Lee Kuan Yew’s values” – pubblicato su Facebook nel giugno di quest’anno, Lee Wei Ling e Lee Hsien Yang hanno accusato il fratello Lee Hsien Loong di abusare della posizione di Primo Ministro per tornaconto personale. L’intricata vicenda ha radici lontane e riguarda l’eredità della casa natale del padre, situata al numero 38 di Oxley Road. Prima di morire, Lee Kuan Yew espresse la volontà di far demolire l’immobile perché temeva avrebbe sviluppato il culto della sua personalità. Contrario a qualsiasi forma di adorazione, il vecchio leader del PAP sarebbe stato al massimo disposto a destinare l’alloggio a fini caritatevoli, tuttavia il figlio maggiore Hsien Loong si oppose e, anzi, nell’ottobre 2011 fece votare dal suo gabinetto di Ministri un decreto che dichiarava l’abitazione come “patrimonio comune della nazione”. I due fratelli minori sono convinti che, per il Primo Ministro, “the preservation of the house would enhance his political capital” poiché permetterebbe di presentare se stesso e il suo primogenito come gli unici discendenti diretti dell’eredità politica del padre. [/box]

Foto di copertina di L.Cheryl Licenza: Attribution-NoDerivs License

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Raimondo Neironi
Raimondo Neironi

Dottorato di ricerca in Storia internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per il “Caffè”, mi occupo di tre temi: politica, economia e ambiente; e due aree del mondo: Sud-est asiatico e Australia.

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