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Partenza falsa

Le truppe statunitensi hanno iniziato il ritiro dalle città irachene. In realtà Washington non ha nessuna intenzione di lasciare il Paese, situato in una posizione di assoluto privilegio strategico fra Turchia, Iran e Caucaso

VIA IL GATTO… I “TOPI” BALLANO’? – Come deciso durante i negoziati per l’accordo SOFA siglato dall’amministrazione Bush, le truppe statunitensi hanno iniziato il ritiro dalle città irachene. Stazioneranno nelle basi militari rurali come quella di Balad, a trenta chilometri da Baghdad, in attesa di lasciare il paese entro il 2011 per fare ritorno in patria. L’allontanamento delle truppe statunitensi è stato festeggiato nelle maggiori città con manifestazioni di piazza ed il premier iracheno Nuri al Maliki ha già dichiarato che il paese considererà questa giornata una Festa Nazionale. Il così detto “giorno della sovranità nazionale” potrebbe segnare un nuovo inizio per il futuro del paese, ma rischia di portare nel breve termine una situazione di anarchia difficilmente gestibile da forze di polizia che, nel migliore dei casi, possono essere definite impreparate. Bande armate e cellule di terroristi legati ad Al Qaeda e a formazioni vicine al fondamentalismo islamico potrebbero presto portare nelle città il terrore e l’instabilità. Forse nemmeno un governo iracheno duro nelle iniziative e attento alle questioni di sicurezza riuscirà a liberare il paese da un flagello che potrebbe colpire sempre più una regione già percorsa da idiosincrasie sociali difficilmente superabili. 

IL VANTAGGIO DI STARE IN IRAQ – Il futuro iracheno appare quindi pieno di incognite mentre i tank statunitensi lasciano le città per controllare la zona dalle basi militari rimaste sul territorio e da cui probabilmente non se ne andranno tanto presto. Il Presidente Barack Obama ha dichiarato infatti nei mesi scorsi che in Iraq potrebbero permanere tra i 30.000 e i 50.000 uomini per assicurare la sicurezza delle istituzioni irachene. In realtà alla Casa Bianca ed al Pentagono conoscono bene il valore strategico di un’eventuale permanenza di truppe nel paese mediorientale. Collegato alla Turchia, vicino all’Iran e possibile testa di ponte per la proiezione della potenza militare nella zona del Caucaso e dell’Asia Centrale, l’Iraq potrebbe essere un punto di osservazione e di intervento fondamentale per gli Stati Uniti. Per questo è probabile che, con il pragmatismo che lo contraddistingue, Barack Obama decida di firmare il prolungamento della missione sul territorio iracheno, contrattando con il Governo di Baghdad aiuti economici in cambio della possibilità di stazionare entro i confini nazionali. Le pressioni politiche da Washington infatti, come quelle militari della Turchia, possono assicurare all’esecutivo iracheno il controllo sulle regioni del nord del paese che si trovano ora sotto governatorati curdi. La Casa Bianca si è sempre dichiarata contraria ad un Iraq federale e potrebbe far valere questa sua posizione durante eventuali colloqui con il premier iracheno al Maliki.

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ACCETTARE LE OFFERTE? – Resta ora da capire come intende porsi il Governo di Baghdad di fronte alla possibilità di permanenza di truppe statunitensi su suolo iracheno. Difficilmente l’esecutivo guidato da al Maliki riuscirà a rifiutare offerte da Washington sia di tipo economico che politico, l’oltranzismo in questi casi non paga mai. Il premier potrebbe avere problemi con la nascente opinione pubblica irachena? Difficile da pensare se, come già detto prima, il paese rischierà di cadere nell’anarchia e la sicurezza per le strade sarà frutto di una guerra tra le forze di polizia e i criminali locali. Per il momento alcuni addestratori statunitensi stanno preparando le forze di polizia irachene nella lotta al crimine, ma i risultati che queste otterranno saranno sicuramente frutto di un lungo, e forse sanguinoso, processo di estirpazione di bande armate e cellule terroristiche. 

Simone Comi [email protected]

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