Analisi – Il Carbon Border Adjusment Mechanism è parte integrante del piano per il clima presentato dalla Commissione il 14 luglio scorso. La misura potrebbe avere enormi ripercussioni sul commercio internazionale ma è considerata necessaria dai vertici dell’UE.
COS’È IL CARBON BORDER ADJUSTMENT MECHANISM (CBAM)
Il 10 marzo 2021 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione per l’introduzione del Carbon Border Adjusment Mechanism (CBAM). Questa misura rappresenta la nuova frontiera del Carbon Pricing in Europa: consiste in un meccanismo da applicare alla frontiera europea che adegui il prezzo dei prodotti importati al quantitativo di emissioni di CO2 in essi incorporato. La proposta è parte integrante del Green Deal ed è considerata dai vertici della Commissione Europea una delle iniziative chiave del 2021. Il commissario al Green Deal Franz Timmermans a gennaio aveva evidenziato che l’introduzione di tale misura rappresenta “una questione di sopravvivenza” per l’industria e il mercato interno europeo. A tal proposito i nuovi obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030 e il 2050 dall’UE, l’inasprimento delle misure per il clima e l’incremento del prezzo della CO2 sotto il sistema dell’Emissions Trading System (ETS) accresceranno i rischi di “carbon leakage”. Questo fenomeno, basato sulle differenze di prezzo determinate da processi produttivi più inquinanti e poco rispettosi dei requisiti ambientali, alimenta la competizione sleale, la delocalizzazione delle aziende europee e la sostituzione dei prodotti europei con prodotti importati. La Commissione per l’Ambiente, la Sanità Pubblica e la Sicurezza Alimentare del PE ha osservato a riguardo che se le emissioni prodotte all’interno dell’UE sono diminuite negli ultimi anni, le emissioni di gas serra aggregate alle importazioni sono in costante crescita. È quindi fondamentale creare dei presupposti perché le industrie straniere inizino un processo di decarbonizzazione al pari di quelle europee. Il CBAM potrebbe rappresentare il giusto stimolo in questa direzione. Il meccanismo entrerà completamente in funzione nel 2026 e dovrebbe contribuire al bilancio europeo con un gettito che oscilla dai 5 ai 14 miliardi all’anno. I guadagni verrebbero investiti per facilitare il raggiungimento degli obiettivi prefissati nel Green Deal, aumentare il sostegno europeo verso i Paesi meno sviluppati e più esposti ai rischi del cambiamento climatico e infine, per ripagare i prestiti del Recovery Plan.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Yannick Jadot, deputato dei Verdi promotori del CBAM, Parigi 2021
LE CARATTERISTICHE DEL CBAM E LA COMPATIBILITÀ CON LE REGOLE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE
La Commissione identifica nel CBAM lo strumento in grado di salvaguardare la competitività delle imprese europee nel percorso di transizione verso un’economia decarbonizzata. Tuttavia una serie di ostacoli legali, tecnici e politici complicano l’adozione di questo strumento. In primis, per evitare contenziosi internazionali o rappresaglie dei partner commerciali è necessario assicurare la compatibilità della proposta di CBA con le regole del commercio internazionale stabilite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Difatti, se il CBAM venisse semplicemente affiancato all’attuale ricollocamento delle quote gratuite di emissioni di carbonio sotto il sistema dell’ETS, si giungerebbe a una eccessiva e ingiustificata protezione delle industrie europee. Proprio per scongiurare il fenomeno del carbon leakage, oggi il sistema ETS attribuisce quote gratuite di CO2 alle industrie europee più “energivore”, in particolare del settore energetico e siderurgico. Se, come sembra, il meccanismo prevedesse l’imposizione alla frontiera europea di una tassa da applicare ai prodotti di questi settori energivori provenienti da Paesi esteri, i prodotti europei beneficerebbero di un duplice scudo sul mercato, andando a ledere sia il benessere dei consumatori all’interno dell’UE che le regole concorrenziali di mercato. L’orientamento della Commissione Europea risulta piuttosto chiaro a proposito, dato che il commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari Paolo Gentiloni, incaricato di vagliare la proposta, ha chiarito la necessità di abolire gradualmente l’assegnazione di quote di emissioni gratuite in concomitanza con l’avanzare del CBAM.
IL MECCANISMO NEI DETTAGLI: I PRIMI SETTORI A CUI SI APPLICHERÀ IL CBAM E L’AUTORITÀ DI CONTROLLO
Il 14 luglio la Commissione ha presentato la proposta di legge, compresa nel pacchetto “Fit for 55“, che verrà sottoposta a Parlamento e Consiglio. I settori coinvolti saranno inizialmente quelli più a rischio di carbon leakage, ovvero l’acciaio, il ferro, il cemento, i fertilizzanti, l’alluminio e l’elettricità. Sarà sviluppato poi un metodo per calcolare le emissioni di CO2 (sia quelle dirette cioè derivanti dai processi di produzione, sia quelle indirette) incorporate nei prodotti importati. Nella proposta si fa riferimento anche alla creazione di un’Autorità incaricata di supervisionare il meccanismo che dovrebbe entrare in funzione nel 2023 (anno di inizio della fase transitoria che durerà fino al 2025). La carbon tax non verrà applicata ai Paesi facenti parte l’Unione doganale dell’UE ovvero Islanda, Norvegia, Liechtenstein e Svizzera e nemmeno ai territori europei oltreoceano. Lo stesso discorso non vale invece per Stati Uniti e Regno Unito, ai quali non verranno fatti sconti senza un adeguamento delle proprie politiche commerciali.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – I commissari Timmermans e Gentiloni, Bruxelles, 15 luglio 2021
LE REAZIONI DEI PARTNER COMMERCIALI
Nelle intenzioni della Commissione il fine ultimo del CBAM è quello di instaurare una collaborazione con i partner internazionali al fine di migliorare i parametri climatici mondiali. L’introduzione di questo strumento mira a spingere gli Stati che hanno cospicui scambi commerciali con l’UE ad adeguare le proprie politiche ambientali, evitando allo stesso tempo il cosiddetto dumping climatico (quando le imprese eludono le norme sul clima spostando la produzione in Stati più permissivi). Tuttavia il CBAM rischia di minare i rapporti con alcuni attori chiave, a cominciare da Russia e Cina, i cui standard sono ben al di sotto di quelli europei. Le accuse di “protezionismo verde” e di “unilateralismo” nell’elaborazione di tale misura si sono fatte sentire da più parti. Il Primo ministro russo Alexander Novak ha dichiarato a proposito che potrebbero esserci gravi conseguenze economiche per il mercato russo, il quale esporta grandi quantità di risorse energetiche verso l’Europa. Il governo di Pechino invece ha lamentato una scarsa collaborazione da parte delle Istituzioni europee nel percorso che ha condotto all’elaborazione della carbon tax. Forse Xi Jingping si aspettava una maggiore apertura alla luce dei passi avanti mossi dalla Repubblica Popolare in termini ambientali – come il lancio del mercato nazionale per le emissioni di carbonio delle aziende cinesi, un sistema simile all’ETS europeo.
DISCORSO USA
Un discorso a parte meritano invece gli Stati Uniti. Il passaggio da Donald Trump a Joe Biden ha mutato profondamente le prospettive americane. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha subito disposto il rientro degli Stati Uniti negli Accordi di Parigi sul clima dando un chiaro segnale di contrapposizione rispetto all’Amministrazione precedente. Biden stesso aveva avanzato la proposta di una tassa alle frontiere sul carbonio durante le primarie, un discorso tuttavia mai riaffrontato dopo l’elezione. Nella sua visita in Europa lo scorso marzo il rappresentante speciale per il Clima John Kerry aveva invitato i vertici europei a rimandare la decisione finale sull’adozione del meccanismo dopo le consultazioni che avverranno alla COP26 il prossimo novembre a Glasgow. Il membro dello staff presidenziale aveva specificato in quell’occasione che il ricorso a tale misura dovrebbe avvenire solo in caso di emergenza, poiché altamente rischioso per i mercati. A giugno tuttavia, Kerry, in visita a Roma, Berlino e Londra ha dichiarato che la tassa sul carbonio potrebbe giovare all’Alleanza atlantica nello scontro commerciale con la Cina. La posizione di Washington sembra quindi in continua variazione.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – John Kerry, Rappresentate Speciale per il Clima degli Stati Uniti, Washington 2021
IN PROSPETTIVA
In aprile i Paesi del gruppo BASIC (Brasile, Sud Africa, India e Cina) avevano rilasciato una dichiarazione congiunta che disapprova la politica protezionistica messa in atto dall’UE. I Paesi emergenti si appellano al principio (enunciato nel Trattato UNFCCC del 1992) per cui ci sono responsabilità comuni nella lotta al cambiamento climatico, ma che esse debbano essere commisurate alle rispettive economie. Nonostante le opposizioni a livello internazionale, la Commissione europea è fortemente intenzionata ad azionare il CBAM per raggiungere gli obiettivi prefissati nel Green Deal. Il commissario Timmermans ha assicurato che le criticità dei Paesi più fragili verranno tenute in considerazione dall’UE, ma l’applicazione del meccanismo rimane fondamentale per far sì che tutti gli attori globali facciano la propria parte in ottemperanza agli Accordi di Parigi.
Matteo Camporese e Alice Minati
Nato nel 1995. Padova-Roma è il tragitto che ho percorso più volte in assoluto, con qualche deviazione a Pristina e Bordeaux. Laureato in Global Studies alla Luiss Guido Carli, vorrei approfondire e divulgare questioni legate al cambiamento climatico e alla transizione energetica. Il caffè della moka è più buono delle capsule!
Curiosa e entusiasta della vita, mi emoziona parlare di politica internazionale e geopolitica. In particolare, sono affascinata dalle sfide che la transizione energetica ci pone di fronte, trasformando il nostro quotidiano. Il caffè? Macchiato o con panna nei giorni di festa!