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Ecuador, giornalisti sequestrati e uccisi dai dissidenti delle Farc

In 3 sorsi – Sono momenti di tensione tra Colombia ed Ecuador a causa della barbara uccisione di tre reporter e del terribile balletto di responsabilità tra i due Paesi. E intanto si registra l’ennesimo attentato all’informazione. 

1. GIORNALISTI SEQUESTRATI, INFORMAZIONI DISCORDANTI E CONFUSE

Un continuo passarsi di responsabilità tra i ministri degli Interni di Ecuador e Colombia: chi come il colombiano Guillermo Rivera Flórez diceva che i giornalisti sequestrati a fine marzo fossero in Ecuador, chi al contrario, come il suo omologo ecuadoriano Cesar Navaz, diceva fossero in Colombia. Poi l’inizio della Cumbre di Lima, da dove la notte del 13 aprile Lenin Moreno, presidente dell’Ecuador, prende senza preavviso un volo di ritorno per Quito. Motivo? Emettere un comunicato.
Pare che l’emittente televisiva colombiana RCN abbia ricevuto le foto dei presunti reporter ormai uccisi. Il Presidente quindi emette un comunicato in cui richiede ai sequestratori di dare prova di vita degli ostaggi entro e non oltre 12 ore. Trascorso il termine, il Governo comunica la morte ufficiale dei sequestrati. Iniziano così le trattative tra rapitori e Stato per il rientro delle salme, ma qualcosa si inceppa ancora una volta e i criminali decidono di non restituire le salme, perché la zona risulterebbe essere stata militarizzata dagli eserciti ecuadoriano e colombiano, nonché dalla DEA degli Stati Uniti.
La mancanza di comunicazione ai media sembra essere la colpa primaria di entrambi i Governi secondo l’opinione pubblica, ma nella realtà, come spiegato dai Presidenti e dai ministri degli Interni dei Paesi coinvolti, spesso occorre non dare informazioni per evitare il danneggiamento delle operazioni. Ma sono più i dubbi che le certezze sull’operato diplomatico e militare. I giornalisti potevano essere salvati? Non lo sappiamo.

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Fig. 1 – Immagini di lutto per i tre giornalisti assassinati

2. GIORNALISTI SEQUESTRATI, COME SONO ANDATI I FATTI?

Chi ha ragione e chi ha torto? La realtà che balza all’occhio è riscoprire come la frontiera tra Ecuador e Colombia sia un’area mai esplorata dai rispettivi Stati, in mano ai dissidenti delle Farc oggi, e dove da sempre i traffici di narcotici avevano avuto ruota libera anche sotto l’avallo dell’ex presidente Correa, come ha riferito neanche tanto velatamente l’attuale Presidente. Ma chi sono i dissidenti? A spiegarlo velocemente è il Presidente colombiano: sono coloro che non hanno accettato il  trattato di pace, sono coloro che perpetuano nel narcotraffico per la facilità di guadagno. Poche settimane fa nella provincia ecuadoriana di Esmeralda è esplosa un’autobomba che ha raso al suolo un’intera stazione di polizia senza lasciare morti, per fortuna.
È seguita una seconda autobomba e immediatamente il sequestro dei reporter che indagavano sui fatti. La provincia di Esmeralda è da sempre il crocevia dei traffici tra Ecuador e Colombia, la rotta preferita per il traffico di cocaina verso gli Stati Uniti. Dal suo arrivo il presidente Lenin Moreno ha iniziato operazioni di controllo, pattugliamento e lotta contro i gruppi dissidenti, ospitando al tempo stesso le riunioni per il trattato di pace tra Colombia ed ELN (altro gruppo armato, l’Esercito di Liberazione Nazionale) a Quito (già iniziate sotto il Governo Correa).
La lotta sia diplomatica che militare su fronti diversi ha creato astio e risentimento da parte di quei dissidenti che hanno visto precipitosamente rovinato il proprio business, anche dopo varie e imponenti confische di cocaina e armi nelle settimane precedenti. Ma perché questo rimpallo di responsabilità? Emanuel Santos in un’intervista video lo chiarisce: trattandosi di una zona di confine, i dissidenti trasportavano ogni giorno i sequestrati da un lato e poi dall’altro della frontiera, per evitare di farsi scoprire rimanendo sempre nella stessa area. Chi investigava e chi riceveva informazioni o soffiate inviava quindi molteplici informazioni a entrambi i Governi su multiple destinazioni. Almeno inizialmente i due Paesi non si sono coordinate adeguatamente e le comunicazioni avvenivano su fronti differenti: Ecuador e Colombia avevano ciascuno le proprie informazioni, senza condividerle. Ma queste, al momento, rimangono supposizioni.

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Fig. 2 – Conferenza stampa del presidente Lenìn Moreno 

2. GIORNALISTI SEQUESTRATI, COME SONO ANDATI I FATTI?

Al momento tutto resta avvolto nel mistero: dei corpi di Javier Ortega (32 anni, reporter), Paùl Rivas (46 anni, fotoreporter) ed Efraìn Segarra (60 anni, autista) ancora nessuna traccia. Non si hanno notizie nemmeno di trattative specifiche con un interlocutore qualificato. I due Presidenti asseriscono che la comunicazione risulta chiara, spedita e condivisa tra i Governi. I familiari pretendono risposte, ma il capo di Stato ecuadoriano ha già più volte ricevuto nel palazzo presidenziale tutti i familiari e al momento si sta preparando alla militarizzazione della provincia di Esmeralda, per una caccia coordinata con il ministro colombiano, che ora ha base a Quito per lavorare più facilmente con il suo omologo.
Le cause dell’uccisione non si conoscono. Del resto la prima regola di un sequestro è mantenere in vita l’unico asset che ti possa permettere un negoziato, ovvero gli ostaggi. La mente del rapimento, operato dal gruppo Oliver Sinisterra di Walter Artízala, alias Gaucho, asserisce che i reporter siano stati uccisi mentre l’esercito ecuadoriano stava per lanciare un blitz per liberare gli ostaggi. Impossibile sapere se in effetti l’esercito, e quindi l’intelligence, fossero stati capaci di scoprire dove si nascondesse la banda. Comprendere se la morte sia dovuta a colpe o negligenze politiche e militari piuttosto che all’inutile violenza di questi dissidenti al momento è impossibile da sapere.

Ivan Memmolo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Purtroppo il 17 aprile 2018 è stata rapita anche una coppia di fidanzati ecuadoriani e nuovamente el Gaucho si è fatto vivo con un video, specificando di esserne il responsabile. La situazione sta scappando di mano alle Autorità: è in atto una guerra per il controllo del territorio tra Stato e narcotrafficanti. Da parte sua, il 18 aprile Lenin Moreno si è ritirato dal ruolo di garante del dialogo di pace tra Colombia ed ELN. [/box]

 

Foto di copertina di SMORENO2007 Licenza: Attribution-NoDerivs License

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Ivan Memmolo
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Laureato in Farmacia e Chimica Industriale, con la passione dei viaggi e della cultura latino americana, decido di lasciare tutto e intraprendere la mia strada verso un mondo, una cultura e una esperienza di vita emozionante e culturalmente effervescente.Vivo in America Latina da anni, amo la medicina, le immersioni nell’oceano, le scalate sulle Ande e il mio motto riprende quello della giornalista della CNN Amanpour “Soy Veraz, No Neutral”.

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