Con la vittoria del 4 febbraio si apre una nuova era politica in Ecuador. Moreno ora affronta la sfida più difficile: trasmettere a un Paese diviso la sua impronta di unione e dialogo.
UNO SCONTRO POLITICO E PERSONALE
È durata solo un mese, ma quella ecuadoriana è stata una campagna elettorale molto difficile, che è sfociata in durissimi attacchi verbali e fisici. Avevamo lasciato Rafael Correa all’aeroporto di Tababela, diretto in Belgio, già in rotta di collisione con l’attuale Capo dello Stato. L’avevamo poi seguito tramite il suo enlace digital: un collegamento digitale con l’Ecuador, attraverso il quale intendeva rispondere agli attacchi e alle accuse ricevuti dal nuovo esecutivo. Alla fine, però, l’uomo forte ha deciso di tornare temporaneamente in patria, in vista della consultazione popolare del 4 febbraio. Nel mentre, Lenín Moreno è stato destituito dalla guida di Alianza País (AP). Ha ripreso le sue funzioni di presidente due settimane dopo, grazie alla decisione del Tribunal Contencioso Electoral (TCE). Il partito, che sotto Correa aveva dato una fortissima spinta al socialismo del XXI secolo, si è definitivamente spaccato.
È in questo clima di accuse e scontri che si è costruita la campagna elettorale. Il voto del 4 febbraio si è trasformato in una divisone socio-politica netta: da una parte i correistas, fedeli alla linea originale della Revolución Ciudadana, dall’altra gli oficialistas, conquistati dalla linea dialogante di Lenín Moreno. Ha vinto l’attuale inquilino del Carondelet, che ha portato a casa una media del 64% per il SI sul totale delle sette domande proposte agli elettori. Correa, con il suo 36%, ha subito una sconfitta netta.
Fig.1 – La vicinanza personale e politica dei due leader ecuadoriani il giorno dell’insediamento di Moreno.
VITTORIA: ARMA A DOPPIO TAGLIO
Il Presidente Moreno può festeggiare la chiara vittoria del 4 febbraio ma per lui è arrivato il momento decisivo: superare la fase di distacco dal correismo e iniziare ad ottenere risultati concreti. Il rischio, infatti, è che il capitale politico acquisito con la vittoria al referendum vada disperso o che venga eroso progressivamente da Correa e la sua nuova formazione politica, il Movimiento Revolución Ciudadana. Moreno deve guardare avanti con decisione, ma è costretto a guardarsi le spalle sia a destra sia a sinistra. Oltre la figura ingombrante del suo predecessore, la destra del Paese s’infila nelle crepe della sinistra di governo: accetta la postura dialogante del presidente e appoggia il SI alla consultazione popolare, in attesa di riscuotere il proprio credito. Durante gli ultimi mesi, Moreno ha dovuto affermare più volte che la sua identità politica è rimasta a sinistra, dichiarando che i punti d’incontro con la destra esisteranno solo per il bene del Paese.
SCONFITTA: CORREISMO AZZOPPATO MA VIVO
Rafael Correa è il grande sconfitto di questo referendum. Con il 64.29% dei voti a favore del SI nel quesito numero due, l’Ecuador ha difatti proibito al suo ex-presidente di ripresentarsi alle elezioni presidenziali del 2021. Correa, tuttavia, ha tempo e risorse politiche che sul medio periodo potrebbero farlo tornare alla ribalta della scena politica del suo Paese. Se la strada delle presidenziali è sbarrata, l’ex presidente può ristrutturare la sua azione politica dal basso, confortando e facendo crescere il nocciolo duro del 36% con un lavoro territoriale assiduo. Che Correa sia momentaneamente fuori dai giochi non significa che il correismo sia finito. La sinistra meno moderata, che considera il Dialogo Nazionale un tradimento nei confronti del popolo e della sua revolución, scommette sul fallimento delle politiche oficialistas e lavora già alla ricostruzione del proprio fronte. Un’operazione difficile, ma non impossibile.
Fig. 2 – Moreno vota al referendum del 4 febbraio.
COME SI MUOVE MORENO?
In politica interna, Moreno punta sul piano Toda una Vida, pensato per accompagnare il cittadino in ogni fase della vita. Per finanziarlo, però, il presidente avrà bisogno di spingere l’economia del Paese, che ha rallentato negli ultimi anni. Stimolo all’economia significa anche rimettere in ordine i conti pubblici dello Stato. Uno dei motivi di grave attrito con l’ala correista durante gli ultimi mesi è stato proprio il debito pubblico. Correa aveva lasciato l’Ecuador affermando di consegnare “la tavola apparecchiata” al futuro Governo. Poco dopo essersi insediato, il nuovo esecutivo ha scoperto di dover fare i conti con un debito doppio rispetto ai calcoli precedenti. Il motivo di questa differenza risiederebbe nel metodo di calcolo: l’amministrazione Correa non ha considerato i debiti dello Stato con le sue istituzioni ed enti pubblici, cioè con se stesso. Tuttavia, si registrano pesanti debiti con la previdenza sociale statale e con le aziende petrolifere. I primi saranno saldati dal 2019, mentre con le aziende petrolifere si è aperto un tavolo per rinegoziare i termini dei contratti e migliorarne le condizioni per lo Stato.
In campo internazionale, il nuovo esecutivo ha indicato linee guida e obiettivi per il periodo 2017-2021 nell’Agenda di Politica Estera. La linea estera ricalca quella interna: il dialogo e l’interesse nazionale al centro. Moreno ha incontrato i presidenti di Perù e Colombia durante il suo primo tour internazionale, e ha successivamente incontrato Michelle Bachelet, Capo dello Stato cileno uscente. L’avvicinamento a questi Paesi mostra l’interesse che l’Ecuador inizia a manifestare per l’Alleanza del Pacifico. Nell’Agenda, l’esecutivo conferma l’interesse verso quest’organizzazione ma non le conferisce un carattere prioritario. Se l’avvicinamento dovesse intensificarsi, è probabile che nel 2021, l’Ecuador sarà più vicino al Perù di Pedro Pablo Kuczynski che al Venezuela di Maduro (sempre che questo rimanga al potere a Caracas).
Nel dicembre 2017, Moreno si è recato in Spagna e Italia, Paesi europei con la più alta emigrazione ecuadoregna, per convincere i suoi connazionali ad appoggiare il SI. A Roma, ha approfittato dell’occasione per incontrare il papa, con il quale ha discusso, tra le altre cose, dell’importanza del dialogo nella risoluzione dei conflitti sociali.
La missione spagnola era più delicata di quella italiana. Moreno e la sua diplomazia dovevano ricucire un recente strappo provocato dalle dichiarazioni di Julian Assange sull’indipendenza catalana. In seguito alle proteste spagnole, Moreno ha richiamato all’ordine il rifugiato politico: l’ingerenza negli affari interni di altri Paesi non corrisponde allo status che lo Stato latinoamericano ha generosamente concesso all’australiano. Strappo internazionale ricucito, dunque, e vittoria referendaria in Italia, mentre in Spagna l’ex presidente è riuscito a far passare la sua linea per le tre domande (numero 2, 3 e 6) alle quali si opponeva così duramente.
Fig. 3 – Un momento dell’incontro tra Moreno e Rajoy, il 18 dicembre 2017.
Julian Assange crea attriti anche con Londra. Per liberarsi della scomoda presenza dell’australiano, a dicembre l’Ecuador gli ha concesso la cittadinanza ecuadoriana e avrebbe chiesto a Londra di riconoscerlo come agente diplomatico. Così facendo, Assange avrebbe potuto lasciare l’ambasciata senza temere ripercussioni. Il Regno Unito ha negato categoricamente questa possibilità.
Elena Poddighe
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più –
La battaglia politica di Rafael Correa non si ferma. Vari ricorsi sono stati presentati di fronte agli organi regionali, i cui pronunciamenti hanno provocato attriti con l’esecutivo.
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