In 3 sorsi – Le elezioni legislative che si sono appena tenute in Colombia hanno mostrato l’impopolarità del presidente Santos e la contrarietà del popolo verso le nuove FARC.
1. LA SFIDA TRA SANTOS E URIBE ALLE ELEZIONI LEGISLATIVE
Lo scorso 11 marzo i cittadini colombiani sono stati chiamati alle urne per rinnovare le due camere di cui si compone il Congresso. Queste votazioni, che precedono di soli due mesi le elezioni presidenziali, previste per il 27 di maggio, sono state intese come un banco di prova dei vari candidati in vista di queste ultime e come esame dell’operato del presidente Juan Manuel Santos, in carica dal 2010. Il Capo di Stato ha legato la sua reputazione e il suo lascito principalmente all’accordo di pace con il gruppo guerrigliero delle FARC-EP, firmato nel 2015, che ha messo fine a una guerra durata più di cinquant’anni. Nonostante l’indubbio successo di far tacere le armi, buona parte dei Colombiani ha rifiutato l’accordo e le ampie garanzie concesse agli ex guerriglieri (tra cui l’amnistia politica per quasi tutti i combattenti e possibilità di partecipare alla vita politica del Paese) bocciando il testo nel referendum del 2016, solo per poi vederlo ratificato dal Congresso dopo qualche mese con alcune minime modifiche. Altrettanto controversa è l’eredità dell’amministrazione Santos in campo economico: se da un lato l’economia è cresciuta e la disoccupazione si è ridotta, dall’altro molti Colombiani criticano la corruzione pervasiva e la disuguaglianza in costante crescita (secondo le stime della Banca Mondiale, infatti, la Colombia è il Paese dell’America latina con il più alto tasso di disuguaglianza dopo l’Honduras). Altri invece rimproverano all’amministrazione di non aver fatto abbastanza per diversificare l’economia e ridurre la dipendenza dall’esportazione di petrolio e carbone; al contrario, la recente decisione del Ministero dell’Ambiente di autorizzare attività di ricerca ed estrazione con il metodo del fracking mostra quanto questo settore sia ancora fondamentale per l’economia del Paese caraibico. Infine, la reputazione di Santos è stata gravemente danneggiata dalle indagini sulle diramazioni internazionali della compagnia Odebrecht, che hanno colpito sia alcuni importanti membri della sua squadra di governo sia il presidente stesso, che è stato accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti per la sua campagna presidenziale del 2014.
In base a questa chiave di lettura, con queste elezioni i Colombiani hanno espresso un chiaro verdetto negativo sull’operato di Santos il cui partito, il Partido de la U, ha ottenuto solo il 12% dei voti. Meglio sono invece andati i partiti di centro sinistra che compongono la coalizione del governo Santos, ovvero il Partido Liberal e il Partido Cambio Radical, che grazie ai loro voti permettono alla coalizione di Santos di conservare la maggioranza relativa in entrambe le Camere. Vero vincitore della battaglia elettorale è invece l’ex presidente Álvaro Uribe, che ha impostato la propria campagna su posizioni fortemente critiche nei confronti dell’accordo di pace della gestione Santos, il cui partito Centro Democrático ha vinto il 16% dei voti attestandosi come primo partito al Senato e secondo alla Camera.
Questi risultati si rispecchiano anche nelle ultime intenzioni di voto per l’elezioni presidenziali. Se infatti i candidati favorevoli agli accordi con le FARC German Vargas Lleras e Humberto de la Calle hanno visto il loro sostegno sfumare bruscamente, il candidato del fronte unito dei partiti di destra, il senatore Iván Duque, al momento primeggia nelle intenzioni di voto e sembra essere il favorito per l’alto seggio.
Fig.1 – Iván Duque, candidato presidente del polo conservatore.
2. LA SCONFITTA DELLE FARC ALLE ELEZIONI LEGISLATIVE
Oltre che sulla contesa tra Uribe, Santos e i loro successori, gli occhi di molti analisti in Colombia e soprattutto all’estero erano concentrati su un nuovo attore, entrato da pochissimo sullo scenario politico colombiano: le FARC.
In base al già discusso accordo di pace tra lo Stato Colombiano e le FARC, ai guerriglieri è stato concesso il diritto di costituirsi come forza politica e correre liberamente alle elezioni. Questa misura, che si basa sul vecchio adagio di scambiare “bullets for ballots”, è stata adottata con l’intento di coinvolgere le FARC nel sistema democratico del Paese, riducendo così la tentazione di tornare a imbracciare le armi come già successo in passato. Nonostante il condivisibile fine, tuttavia, questa decisione è stata accolta negativamente da ampi strati della popolazione e ha concorso non poco alla bocciatura del piano di pace nel referendum. Gli ex guerriglieri, da parte loro, hanno contribuito a questo clima di sfiducia nei loro confronti con alcune scelte poco felici, una su tutte quella di mantenere l’acronimo FARC come nome del nuovo movimento (questa volta con il significato di Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común). Anche di fronte a queste premesse non molto incoraggiati, i vertici del movimento hanno cercato di trasformare le nuove FARC in un interlocutore politico credibile, candidando inoltre l’ex comandante Rodrigo Londoño, alias Timochenko alle prossime elezioni presidenziali. Per cercare di legittimarsi agli occhi dei Colombiani, le FARC si sono presentate con un programma fortemente innovativo, annunciando di rivolgersi, in maniera così esagerata da risultare artificiosa, alle donne, ai giovani, agli studenti, ai lavoratori, agli indigeni, ai contadini e alla comunità lgbt. Particolare attenzione era inoltre data alla proposta di varare una riforma agraria e alla pretesa di essere una forza completamente nuova e “rivoluzionaria” nei confronti della vecchia e disprezzata classe politica del Paese.
Come ampiamente prevedibile, i risultati delle ultime elezioni tuttavia non hanno premiato le nuove FARC, che hanno collezionato solo 52.000 voti, pari ad un irrisorio 0,34%. Prevedendo la mala parata, qualche giorno prima il leader Timochenko aveva annunciato il proprio ritiro dalla corsa alla presidenza, motivandola con motivi di salute. Nonostante ciò, gli ex guerriglieri avranno comunque 10 seggi al Congresso, equamente ripartiti tra Camera e Senato, come garantito dall’accordo di pace.
Fig.2 – L’ex comandante Timochenko.
3. GUSTAVO PETRO, L’ANTISISTEMA ALLE ELEZIONI LEGISLATIVE
Al contrario di gran parte dell’America latina, per decenni la Colombia si è mostrata immune al fascino di movimenti o partiti “populisti”, e il Paese ha conosciuto fin dagli anni ’60 una (quasi) costante alternanza tra partiti conservatori e partiti liberali. Negli ultimi tempi tuttavia, come in molti altri Paesi dagli USA all’Italia stessa, l’insoddisfazione e l’insofferenza verso una classe politica ritenuta corrotta e ripiegata su se stessa hanno portato alla ribalta un politico “antisistema” e di rottura verso il passato. Il personaggio in questione si chiama Gustavo Petro: ex sindaco di Bogotá ed ex senatore con un passato di guerrigliero nell’organizzazione di sinistra Movimiento del 19 de Abril, Petro si è candidato alla presidenza colombiana con un programma fortemente innovativo. Nei suoi discorsi infatti il candidato promette non solo di combattere la corruzione e ridurre le disuguaglianze del Paese, ma anche di cambiare totalmente il sistema economico colombiano, limitando la dipendenza dal petrolio e dal carbone e agendo sui grandi latifondi improduttivi attraverso una riforma agraria. Queste proposte sono state accolte con molti dubbi e hanno suscitato molti timori in un mercato, come quello colombiano, che è sempre stato caratterizzato da un elevato grado di liberismo. Inoltre, le numerose espressioni di simpatia e supporto nei confronti dell’ex presidente venezuelano Chávez e del suo operato hanno inquietato molti sia in patria che negli USA, di cui la Colombia è uno degli alleati più fedeli sul continente. Nonostante i dubbi sulla sua figura e sulle sue opinioni, Petro ha primeggiato a lungo nei sondaggi sulle intenzioni di voto, distaccandosi di molti punti dagli altri rivali e arrivando testa a testa con il candidato Iván Duque. Eppure, nelle ultime elezioni amministrative il suo movimento, chiamato in maniera molto evocativa Lista della Decenza, ha ottenuto solamente il 3,41% dei voti, posizionandosi all’ottavo posto tra i partiti della Colombia. Al deludente risultato ha contribuito con tutta probabilità anche il grande flusso di Venezuelani che si è rifugiato in Colombia in fuga dalla disastrosa situazione del Venezuela, le cui scelte economiche Petro ha più volte lodato. La disfatta si rispecchia anche nei sondaggi elettorali, secondo i quali Petro, in caso di ballottaggio con il candidato della destra Iván Duque, rimedierebbe una secca sconfitta.
Nonostante la sconfitta però l’ex sindaco è stato confermato nelle primarie a lato delle votazioni come candidato unico del movimento di sinistra Colombia Humana, ricevendo l’investitura ufficiale a correre alle elezioni presidenziali.
Fig.3 – L’ex alcalde e candidato presidente Gustavo Petro.
In definitiva, il voto ha ribadito la contrarietà della maggior parte del popolo colombiano nei confronti dell’accordo di pace con le FARC e della gestione economica e politica del governo Santos, ponendo in dubbio i progressi compiuti durante il suo mandato. Solo in seguito allo scontro che si prospetta tra il candidato di destra Duque e il candidato di sinistra Petro si potrà comprendere il cammino che la Colombia seguirà nei prossimi anni.
Umberto Guzzardi
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Le elezioni presidenziali in Colombia seguiranno di solo una settimana le elezioni nel vicino Venezuela, fondamentali per il futuro del Paese. Per maggiori informazioni su queste ultime, si rimanda al seguente articolo.[/box]
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