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Settant’anni di minacce nucleari


Le minacce della Corea del Nord hanno riportato alla ribalta il problema ben piĂą ampio dell’aumento delle potenze che si son dotate di armamenti nucleari negli ultimi sessantotto anni. Quel che è certo è che da quel tragico agosto del 1945 di Hiroshima e Nagasaki non è certo la prima volta che l’utilizzo del nucleare a scopi bellici è motivo di preoccupazione per la comunitĂ  internazionale.



 

 

LA GUERRA FREDDA –  Negli oltre cinquant’anni di durata della cosiddetta Guerra Fredda, la sfida tra superpotenze si è giocata sul fatto che i due principali attori sulla scena internazionale fossero anche i principali protagonisti della deterrenza nucleare. Pertanto il riconoscimento reciproco dei rischi dell’irrazionalitĂ  di una guerra nucleare ha portato a un confronto in piccole guerre tradizionali, per lo piĂą gestite indirettamente attraverso paesi satelliti in varie parti del Globo.  Ciò non impedì tuttavia ad altre potenze di dotarsi di armamenti nucleari e, lungi dall’essere un club esclusivo, al giorno d’oggi si contano ben nove Stati che utilizzano il nucleare per scopi militari.  Fino agli anni Settanta, il gioco risultò ristretto a quelli che erano i cinque Paesi vincitori della Seconda Guerra Mondiale, nonchĂ© membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: USA, URSS, Regno Unito, Francia e Repubblica Popolare Cinese. Il possesso dell’atomica dunque si ridusse ad una sorta di “concerto mondiale” a cinque, in cui il peso preponderante era comunque quello esercitato dalle due superpotenze.


 


L’ATOMICA INDIANA – Il primo vero e proprio cambiamento di rotta si ebbe  con l’atomica indiana, con cui New Delhi di fatto si imponeva come una potenza regionale in un momento in cui le tensioni della guerra fredda in area asiatica raggiungevano il loro apice. L’India aveva un contenzioso con il Pakistan dal 1947, culminato nella guerra per il Bangladesh del 1971, e un ingombrante vicino settentrionale come la RPC col quale non erano mancati motivi di attrito. Il test indiano giunse in un momento in cui le due superpotenze erano impegnate nei colloqui sulla riduzione degli armamenti e dopo che USA, Regno Unito e URSS si erano impegnati a sottoscrivere il trattato di non proliferazione nucleare nel 1968 e anche per questo fu visto con piĂą di un sospetto.


 


…E QUELLA PAKISTANA – I timori, riguardo all’impossibilitĂ  da parte delle cinque potenze di poter regolare l’accesso di altri attori al nucleare per scopi militari, divennero una seria preoccupazione quando, dopo il test indiano (il cui nome in codice era “Smiling Buddha”), il Pakistan impresse un’accelerata al proprio programma nucleare. Iniziato nel 1972 per volere di Ali Bhutto, subito dopo la sconfitta nella guerra di liberazione bengalese, il programma proseguì per oltre vent’anni sino a giungere nel 1998 all’esperimento di Chaga-i, ovvero cinque test nucleari sotterranei nella provincia del Balochistan.

La corsa alle armi di distruzione di massa nel subcontinente indiano però non fu l’unico fattore destabilizzante per gli equilibri della Guerra Fredda.


 


IL SUDAFRICA E ISRAELE – Negli anni Settanta altre due nazioni, che non godevano di un’ottima reputazione internazionale, procedevano nella stessa direzione. Il primo era il Sudafrica di Balthazar J. Vorster, in pieno regime di apartheid, che avviò i primi esperimenti nel 1974 quando i movimenti indipendentisti africani dei paesi confinanti si inserirono nel piĂą complesso gioco di equilibri tra le due superpotenze. L’avvio del programma fu la risposta sudafricana al sostegno di URSS e Cuba alle lotte di liberazione in Angola e Mozambico. Nel 1977 i Sudafricani realizzarono un centro di ricerca nucleare a Pelindaba e un sito per gli esperimenti a Kalahari.  La notizia di un eventuale test atomico del Paese metteva però in cattiva luce anche gli USA, il loro piĂą importante alleato. Inoltre il Presidente USA Jimmy Carter aveva lavorato intensamente sulla strada della non proliferazione nucleare e se fosse stato accertato che un paese di ambito USA avesse effettuato un test a scopi militari ci sarebbe stata una vigorosa protesta internazionale.  Nel 1979 il famoso “incidente di Vela“, e cioè una presunta esplosione nucleare tra l’Atlantico meridionale e l’Oceano Indiano,  fu secondo molte ipotesi un test segreto sudafricano in collaborazione con Israele. Gli spettri del nucleare sudafricano furono però definitivamente sopiti con il crollo del regime dell’Apartheid quando la Nazione Arcobaleno decise spontaneamente di rinunciare al suo programma nucleare.

Riguardo all’incidente di Vela, diverse fonti hanno parlato di un esperimento congiunto tra lo stato ebraico e il regime sudafricano, ma ciò non è stato mai chiarito del tutto. Quel che è certo, nella presunta assistenza israeliana al governo di Pretoria, è la consapevolezza che Israele giĂ  negli anni Settanta avesse il know-how sufficiente per potersi dotare di armamenti nucleari. Tuttora il Governo israeliano non ha nĂ© negato nĂ© confermato ufficialmente di possedere armi nucleari: questa politica di “ambiguitĂ  strategica” è servita al Paese per mantenere un livello di deterrenza nucleare al prezzo del minimo costo politico possibile. E’ certa la creazione di un centro  di ricerca nucleare a Dimona che fu ispezionato dagli esperti nucleari statunitensi nel 1968, anno in cui sembra che gli israeliani abbiano avviato il loro programma militare nucleare. Se si esclude l’ipotesi dell’ “incidente di Vela”, Israele non ha mai condotto test nucleari ufficiali, ma le stime sul numero di ordigni in dotazione al Governo israeliano parlano di cifre che oscillano tra le ottanta e le cento testate (c’è da dire che l’ex presidente statunitense Jimmy Carter dichiarò nel 2008 che Israele fosse in possesso di 150 ordigni e l’ex tecnico nucleare Mordechai Vanunu parlò nel 1986 di oltre cento ordigni prodotti a Dimona).


 




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Kim Jong Un e alcuni ufficiali dell’esercito nord coreano

OGGI – Infine giungiamo alle odierne preoccupazioni per le ventilate minacce di Kim Jong Un. E’ il punto terminale di una strategia che la Corea del Nord ha inaugurato all’inizio degli anni Sessanta, periodo a cui risale la costituzione del centro di ricerca nucleare di Yongbyon. Il programma nucleare militare vero e proprio però fu avviato solo nel 1980 e nonostante numerosi freni imposti dalla comunitĂ  internazionale (come la firma e la ratifica del Trattato di Non Proliferazione nucleare nel 1987;  la sigla di un trattato con la Corea del Sud nel 1991 volto a vietare la sperimentazione, lo sviluppo e il possesso di armi nucleari nella penisola coreana e l’accordo quadro tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord volto ad arrestarne il programma nucleare in cambio di combustibile americano) non si riuscì mai a bloccare la prosecuzione del programma nucleare nordcoreano. Pyongyang infatti uscì definitivamente dal TNP nel 2003, dopo vani tentativi della comunitĂ  internazionale di ridimensionarne le ambizioni nucleari, e nel 2006 giunse al primo test nucleare sotterraneo nella Contea di Kilju seguito da un secondo test nel 2009.

Nel gioco di forza con Pyongyang, gli Stati Uniti non sono immuni da altri timori, primo fra tutti la paura che anche l’Iran possa avanzare nel proprio programma nucleare con scopi bellici. Il programma di arricchimento dell’uranio per usi civili messo in atto dal Paese degli Ayatollah non è altro che la coda di quel programma nucleare civile voluto dallo Scià di Persia e fortemente sostenuto da Washington. La costituzione di un centro di ricerca sul nucleare a Teheran cominciò sul finire degli anni Cinquanta, mentre il primo reattore nucleare a Busher, ora in via di accensione, fu costruito poco prima della deposizione dello Scià, sul finire degli anni Settanta. La rivoluzione khomeneista bloccò lo sviluppo del nucleare e bisognava attendere la metà degli anni Novanta perché l’Iran potesse proseguire su questa strada. Nel frattempo gli Stati Uniti cominciarono ad avanzare  sospetti che il programma nucleare iraniano nascondesse propositi militari, e a tale scopo diversi Stati si fecero promotori di colloqui diplomatici con le autorità iraniane per portare ad una sospensione del programma nucleare, l’ultimo dei quali (i cosiddetti colloqui 5 + 1) risale a un mese fa.

 

Luca Cavaliere

 

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Luca Cristiano Cavaliere
Luca Cristiano Cavaliere

Ho 32 anni e sono pugliese, attualmente mi occupo di progettazione comunitaria. Mi sono laureato in Scienze internazionali e diplomatiche a Napoli nel 2006 con una tesi sui rapporti tra Stati Uniti e Cina negli anni settanta. Sono un grande appassionato di storia contemporanea e di relazioni internazionali, con un particolare interesse per il continente africano, la Cina e il Medio Oriente. Ho avuto la fortuna di visitare il Ghana per un progetto di cooperazione internazionale quattro anni fa, ma tuttora sto cercando una cura per il “maldafrica”. Nel frattempo ho fatto esperienze nel giornalismo, nel terzo settore e ho fatto anche tantissime telefonate… fino a che non ho deciso che fosse il momento di tornare a casa, ma neanche di questo sono troppo sicuro.

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