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Fracking ed Est Europa: indipendenza energetica possibile?

La rivoluzione dello shale gas americano ha suscitato notevoli appetiti e tentativi di emulazione in tutto il mondo, Europa compresa. Il fermento, in particolare nell’est, è alto così come le attese. E’ possibile per il Vecchio continente uscire dallo scacco energetico russo? Analizziamo la situazione attuale e quali reali prospettive potranno riservare all’Unione le risorse unconventional

 

 

VERSO UN NUOVO EQUILIBRIO – La svolta energetica americana degli ultimi anni, provocata dal boom delle risorse non convenzionali – sia tight oil che shale gas – sta scombinando l’intero quadro energetico mondiale, un quadro che da decenni era ben delineato e nel quale ogni Paese aveva ben chiara la propria dimensione energetica. Con l’avvento dell’unconventional, che di fatto sta rappresentando un nuovo tipo di fonte energetica, le carte si stanno rimescolando ed ogni stakeholder in gioco sta mettendo in discussione il suo status per cercare di ottenere il massimo dal nuovo equilibrio geoenergetico che si andrà a creare una volta che l’industria non convenzionale uscirà dalla fase embrionale. E’ il caso degli USA, che diventeranno nel 2020 primo produttore mondiale di petrolio (come riportato dall’IEA – International Energy Agency – nell’Energy Outlook 2013), o della Cina che ritiene di aver scoperto nel proprio sottosuolo il più grande giacimento di shale gas mondiale, o dell’Argentina che tanto confida nel gigantesco giacimento di Vaca Muerta. Lo stesso processo è in atto anche in Europa orientale: una terra ritenuta da molti un possibile Eldorado di risorse non convenzionali, che i Governi locali sperano di poter finalmente sfruttare per raggiungere la tanto agognata indipendenza energetica dalla Russia.

 

 

WORK IN PROGRESS – Il Paese che più ha spinto e avallato il ricorso a tecniche non convenzionali è sicuramente la Polonia. Il Polish Geological Institute ha identificato risorse sotterranee in grado di garantire totale indipendenza per oltre 50 anni. Secondo la US Energy Information Administration, il Paese ha la maggior quantità di shale gas recuperabile dell’Europa Orientale, con stime di oltre 180 miliardi di metri cubici di gas, una cifra addirittura superiore a quella della sterminata formazione gassosa americana di Marcellus Shale. Per supportare lo sviluppo dell’industria del fracking, il Governo polacco ha predisposto una serie di riforme sia di semplificazione nell’accesso alle concessioni che di sfruttamento delle stesse – allargando alcuni vincoli ambientali. Il risultato di questo mix è stato una pioggia di investimenti attesi: il Ministero dell’Ambiente si aspetta per quest’anno l’apertura di 39 pozzi perforativi, oltre il doppio dello scorso anno, e si prevedono investimenti in esplorazioni da parte delle multinazionali dell’oil & gas per circa 4,5 miliardi di euro entro il 2020, in primis Chevron e ConocoPhilips.

Altro precursore europeo del fracking è risultata essere l’Ucraina, che non a caso rappresenta – esattamente come la Polonia – uno dei Paesi più energeticamente legati alla Russia. Il governo ucraino, per nome del Ministro dell’Energia Eduard Stavitsky, si aspetta di raggiungere in un decennio una produzione a regime di 20 miliardi di metri cubi annui ed ha siglato con Shell un faraonico contratto da 10 miliardi di euro per le concessioni di esplorazione e produzione del gas ucraino. Un contratto a cui, dicono i rumors, potrebbero far seguito quelli con altri due giganti mondiali: ExxonMobil e Chevron.

Una analoga politica di apertura e sostegno alle pratiche di hydraulic fracking è arrivata da parte di Romania e Lituania. La prima ha garantito a Chevron lo sfruttamento di tre ricchissimi blocchi di shale gas, oltre ad aver sospeso la moratoria sulle pratiche non convenzionali, provvedimento accompagnato dall’aperto sostegno del Primo Ministro Victor Ponta verso queste tecniche. La Lituania, invece, è stimata sedere sopra riserve pari ad oltre 60 anni di consumi interni e, anche in questo caso, il presidente Dalia Grybauskaite ha pubblicamente dichiarato di essere favorevole a uno sfruttamento intensivo delle risorse interne.

L’unica voce fuori dal coro che sta emergendo è quella della Bulgaria, che ha vietato il fracking dal gennaio di quest’anno, ritirando tutte le licenze precedentemente concesse a Chevron, a seguito di numerosissime proteste per le attività della multinazionale nella fertile regione di Dobrudja.

 

 

I principali giacimenti di shale oil and gas in Europa
I principali giacimenti di shale oil and gas in Europa

UN FUTURO DA SCRIVERE – Dai casi analizzati è evidente come il fermento intorno alla regione est-europea sia molto alto, come molto alte sono le attese sia da parte dei singoli Stati sia da parte delle majors che credono fortemente in una seconda rivoluzione non convenzionale, sul modello di quella statunitense. Qualora queste speranze dovessero trovare effettivo riscontro, le conseguenze geopolitiche che andrebbero a profilarsi sarebbero probabilmente più pesanti e significative di quelle finora registrate. Con un’Europa orientale forte energeticamente, il ruolo strategico della Russia nello scacchiere geopolitico verrebbe notevolmente ridimensionato, il modello economico russo degli ultimi venti anni basato sull’export di materie prime – soprattutto verso l’Europa – e sulla rendita energetica sarebbe messo in crisi e gli effetti per il gigante ex-sovietico rischierebbero di essere gravi. Per cautelarsi da questa potenziale perdita di influenza nei confronti del Vecchio continente – associata alla stagnante situazione economica europea – Putin ha messo al centro della sua agenda geopolitica lo sviluppo delle relazioni sino-russe e,più in generale orientali, senza però avere alcuna garanzia certa di poter sostituire adeguatamente le vecchie partnership con le nuove.

In conclusione, si può affermare che dalla nuova ondata non convenzionale l’Europa potrebbe trarre giovamento sia economico che strategico, rafforzando un’unione ancora troppo precaria e permettendo alla sua componente periferica orientale di ritagliarsi un ruolo di importanza cruciale: quello di motore energetico.

 

Giorgio Giuliani

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Giorgio Giuliani
Giorgio Giuliani

Sono nato a Roma, dove mi sono laureato in Ingegneria Gestionale prima di intraprendere un Master in Geopolitica, culminato con una tesi sul fracking e le risorse non convenzionali. Da sempre appassionato di questi temi, ho accumulato molteplici esperienze di diplomazia giovanile: ho preso parte a numerose MUN (Model United Nations) sia come Delegato che come Chairperson, ed ho rappresentato il Governo Italiano al G20 Youth 2012 in Messico. Per Il caffè geopolitico mi occupo di geopolitica energetica.

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