Analisi – Il ritorno al potere dei talebani a Kabul determina il costituirsi di scenari particolarmente complessi. La Repubblica Popolare Cinese, maggiore potenza della regione centroasiatica, pur configurandosi come una dei principali attori disposti a dialogare con il gruppo islamista, teme soprattutto per la propria sicurezza nazionale.
LE PRIORITĂ€ CINESI DOPO IL RITIRO AMERICANO
Il ritiro delle Forze Armate statunitensi e della NATO dal teatro operativo afghano e il ritorno al potere dei talebani hanno avuto come effetto primario il disfacimento totale delle truppe regolari afghane, la definitiva scomparsa della Repubblica Islamica dell’Afghanistan e la conseguente rinascita del nuovo Emirato Islamico. Nello scenario delineatosi, caratterizzato da ampissimi margini di instabilità , la Repubblica Popolare Cinese punta a imporsi come un interlocutore privilegiato della nuova leadership talebana, a sua volta attratta dalla potenza economica del Dragone. Tuttavia, al netto della grande varietà di risorse, specialmente minerarie, presenti nel sottosuolo afghano, e dell’ipotetico inserimento di Kabul nel network della BRI, la priorità di Pechino si traduce nel mantenimento della stabilità nei propri territori più delicati e nella prevenzione di ogni fenomeno di tipo terroristico.
ARGINARE IL PERICOLO TERRORISTICO
La proverbiale presenza in Afghanistan di diversi gruppi terroristici costituisce da sempre un elemento di sostanziale instabilità . In virtù della vicinanza geografica di Afghanistan e Cina risulta chiaro come per quest’ultima il fenomeno terroristico nel suo complesso e il suo proliferare in terra afghana rappresentino un potenziale pericolo per la propria sicurezza nazionale. Nonostante l’estensione del confine sino-afghano sia piuttosto ridotta, la sua solidità costituisce un fattore di strategica importanza per i cinesi, in quanto esso rappresenta l’estremo orientale del cosiddetto Corridoio di Wakan, uno strategico lembo di terra che mette in comunicazione diretta l’Afghanistan con la regione autonoma cinese dello Xinjiang.
Nel solco delle apprensioni che Pechino nutre nei confronti del pericolo terroristico, tra le maggiori si annovera sicuramente la presenza in territorio afghano di centinaia di seguaci dell’ETIM, il Movimento Islamico per l’Indipendenza del Turkestan Orientale, che proprio nello Xingjiang si è reso protagonista a partire dagli anni Novanta di svariati attacchi di matrice terroristica. Non va inoltre dimenticato come una potenziale minaccia per la sicurezza cinese sia rappresentata dal possibile rientro in Cina dei diversi miliziani xinjianesi che in Siria hanno combattuto per ISIS, Jabat Al-Nusra e Tahrir El-Sham. A complicare ulteriormente lo scenario, giĂ di per sĂ© intricato, si aggiunge anche l’attentato avvenuto a Dasu, nella regione pakistana del Kohistan, al confine con l’Afghanistan, che ha portato alla morte di nove tra tecnici e ingegneri cinesi, e la cui responsabilità è stata attribuita ai talebani pakistani, supportati dall’intelligence di Pakistan e India.
L’instabilità afghana, evidente anche in considerazione del recentissimo attentato di Kabul rivendicato da ISIS-K, porta Pechino a considerare obiettivo prioritario l’arginamento del pericolo posto dai vari gruppi islamisti radicali presenti nella regione. Punto fondamentale sta nello scongiurare che venga compromessa la stabilità dello Xinjiang, la cui popolazione è per la maggior parte costituita da uiguri di religione musulmana. Come già messo in evidenza durante il colloquio avuto tra Wang Yi e il Mullah Baradar è necessario che i talebani interrompano ogni potenziale supporto ad attività di tipo terroristico nello Xinjiang. Sul piatto la ricostruzione dell’Afghanistan da parte cinese e l’inserimento di Kabul nel China Pakistan Economic Corridor (CPEC).
LA PARTECIPAZIONE DI KABUL ALLA BRI
La partecipazione afghana alla BRI ha una declinazione ricca di sfaccettature. Già prima della presa del potere da parte dei talebani Pechino aveva direttamente proposto a Kabul di partecipare al CPEC. Concepito per mettere in comunicazione lo Xinjiang e il porto pakistano di Gwadar, tale rete infrastrutturale ha una connotazione altamente strategica per la Repubblica Popolare. Sfruttandola, infatti, sarebbe possibile risolvere il cosiddetto “Dilemma di Malacca”, e verrebbe consentito alla Cina di disporre di una porta direttamente affacciata sull’Oceano Indiano, senza necessità di dover passare per gli stretti del Sud-est asiatico. Particolarmente importanti sono però anche i ricchi giacimenti minerari afghani. Non è escluso che possa essere ultimata la miniera di Mes Aynak, né che il settore minerario afghano, utile nella competizione strategica avviata con gli Stati Uniti, possa ricevere in futuro nuova linfa proprio grazie agli investimenti cinesi. Condizione sine qua non affinché questo si verifichi rimane, tuttavia, la capacità dei talebani di garantire una maggiore stabilità nel Paese, opzione tutt’altro che scontata.
SCENARI PREVISIONALI
Delineare uno scenario previsionale che descriva con precisione come sarĂ declinata l’azione della Repubblica Popolare Cinese in Afghanistan è, in realtĂ , piuttosto complesso. Se per vent’anni Pechino ha potuto beneficiare di una relativa stabilitĂ garantita dalla presenza statunitense a Kabul, risulta chiaro come la completa evacuazione delle forze americane da questo teatro sia tanto benefica quanto pericolosa per gli interessi cinesi nella regione. Pechino è stata in grado di sfruttare pienamente la ritirata USA, giudicata disordinata e frettolosa, traendone vantaggi di tipo politico. La Repubblica Popolare ha criticato aspramente la politica statunitense in Afghanistan, giudicandola fallimentare. Addirittura, in un recente tweet pubblicato dall’account Twitter ufficiale della testata filo-governativa Global Times, la ritirata statunitense è stata dipinta non solo come una disfatta militare, ma anche come una “sconfitta” dei valori occidentali. Ma Il ritiro americano è stato strumentalizzato ad hoc anche per lanciare un messaggio diretto a Taiwan: se gli Stati Uniti hanno abbandonato le Forze Armate afghane al loro destino, lasciandole in balia dei talebani, anche Taiwan potrebbe subire la stessa sorte ed essere abbandonata a se stessa. Tuttavia al vantaggio retorico cinese si contrappongono, inevitabilmente, le oggettive problematiche che è proprio la manovra statunitense a mettere in evidenza: in primis instabilitĂ cronica e terrorismo, fattori di primaria importanza per Pechino, e che ne minano la sicurezza nazionale; in secundis la necessitĂ cinese di proteggere i propri interessi nella regione, non potendo piĂą contare sulla presenza militare di Washington. Se è plausibile che, a causa della mancata stabilitĂ interna afghana, la Cina non si farĂ promotrice di interventi economici corposi nel breve e medio periodo, è pur tuttavia vero che la volontĂ cinese di includere anche Kabul nel CPEC sarĂ necessariamente vincolata a una maggiore stabilitĂ in Afghanistan. In relazione a ciò, nonostante un intervento militare diretto della Repubblica Popolare in territorio afghano sia da ritenersi altamente improbabile, non è comunque da escludersi la possibilitĂ che la Cina faccia uso di contractor privati.
In aggiunta, nel medio periodo, potrebbero verificarsi condizioni tali per cui risulti necessario lanciare nel Paese un’operazione internazionale sotto il mandato delle Nazioni Unite. Questa eventualità , data la posizione cinese di preminenza nelle missioni di peacekeeping ONU, farebbe di Pechino l’attore privilegiato nel caso in cui si configurasse un intervento di questo tipo.
Per concludere, se è vero che la manovra di evacuazione americana ha offerto a Pechino ampie possibilità di critica – per altro ampiamente colte – è pur vero che il disimpegno statunitense dall’Afghanistan permetterà a Washington di evitare che un teatro operativo secondario, quale quello afghano, possa continuare a drenare risorse utili al perseguimento di obiettivi strategici più importanti. In tal senso la fine dell’impegno a Kabul permetterà agli USA di dispiegare maggiori forze nell’Indo-Pacifico per il contenimento della Repubblica Popolare Cinese, loro principale avversario strategico.
Francesco Lorenzo Morandi
“Giant standing Buddhas of Bamiyan still cast shadows [Image 2 of 8]” by DVIDSHUB is licensed under CC BY