La diffusione delle tecniche di estrazione non convenzionali sta facendo emergere tutti i limiti del modello economico russo. Dopo anni di dominio quasi monopolistico in Europa, la Russia si trova a fare i conti con potenziali competitors. Paure e reazioni di un colosso energetico mondiale alla prima vera sfida dall’avvento dell’era Putin.
IL MODELLO – Il gas naturale è il principale carburante del motore economico russo e Gazprom, l’onnipotente controllata statale produttrice di gas, è il più grande fornitore mondiale della commodity con una quota di mercato superiore al 15%. Questi due semplici dati fanno comprendere quanto potente sia, nel mercato energetico mondiale, il Paese guidato da Vladimir Putin.
Alla base di questa posizione dominante c’è un fortissimo legame commerciale con l’Unione Europea che importa oltre il 70% del suo fabbisogno di gas dal gigante russo, con punte in alcuni stati – in primis nell’est Europa – che si aggirano attorno al 90%.
La struttura-tipo dei legami commerciali tra Gazprom e i propri Stati clienti prevede contratti decennali, con i prezzi del gas indicizzati (collegati) a quelli del petrolio e totalmente indipendenti dal prezzo a cui viene scambiato nel mondo il gas stesso.
In molti hanno provato a mettere in discussione questo modello contrattuale ma sempre con scarsissimi risultati, data la forza contrattuale della Russia che non ha mai perso occasione per mostrare i muscoli e far vedere ai propri “partner” chi fosse il giocatore forte al tavolo.
South Stream vs. Nabucco: la dipendenza energetica dalla Russia passerĂ anche da questi gasdotti
LE MINACCE – Questo modello, fino a qualche anno fa considerato inattaccabile, è però oggi messo sotto pressione da numerosi punti di vista.
La prima minaccia arriva direttamente da Bruxelles dove l’autorità antitrust della Commissione ha aperto una procedura nei confronti di Gazprom per la sua posizione dominante nel mercato del gas dell’Europa centrale e orientale. Nel dettaglio, la commissione accusa Gazprom di impedire ai singoli Stati una diversificazione dei fornitori di gas: contratti molto lunghi, senza flessibilità e con altissimi livelli minimi di acquisto, oltre che una garanzia di prezzi ribassati solo in cambio del supporto al progetto del gasdotto South Stream (che collega Russia ed Europa) piuttosto che a quello Nabucco, supportato dall’UE.
Il secondo fronte aperto, probabilmente il più delicato, è quello della diffusione delle risorse non convenzionali in primis in Nord America, ma con potenziali interessanti sviluppi altrove (clicca qui per leggere i precedenti articoli del Caffè Geopolitico sul tema). Lo shale gas americano ha finora determinato solo l’annullamento delle forniture russe via mare verso gli Stati Uniti ma, in una possibile fase 2, qualora gli USA decidessero di esportare il loro NLG, si andrebbero a proporre come un nuovo forte competitor per i russi proprio nel Vecchio continente, il loro mercato strategico per eccellenza. A ciò va sommato il tentativo di sviluppo estensivo delle tecniche estrattive non convenzionali in Europa, testimoniato dai pesanti investimenti Shell e Chevron in Ucraina, Romania, Lituania e Polonia.
Da un quadro del genere potrebbe uscire uno scacchiere energetico ribaltato rispetto a quello attuale e in un senso non certamente positivo per la Federazione Russa.
EXIT STRATEGY – Quella che Gazprom e il governo russo si trovano oggi a fronteggiare, è di fatto una palude decisionale, una conseguenza della loro sottovalutazione del fenomeno fracking e di tutti i suoi successivi sviluppi.
Dopo una iniziale minimizzazione e denigrazione, negli ultimi mesi lo stesso presidente Putin ha ammesso la portata del fenomeno e ha garantito il suo sostegno alle tecniche non convenzionali. Le applicazioni di queste ultime in una terra energeticamente ricca come la Russia potrebbero sia rivitalizzare numerosi pozzi considerati quasi esauriti, sia riuscire a valorizzare quello che è considerato unanimemente uno dei più ricchi giacimenti mondiali di risorse non convenzionali: il Bazhenov.
Accanto a questa apertura al fracking, il presidente Putin sta tentando di diversificare i propri partner commerciali così da avere maggiori sbocchi per l’immenso patrimonio gasifero russo. Il primo potenziale partner strategico a cui bussare non poteva essere che la Cina e proprio nell’ottica di una vera partnership di lungo periodo con il vicino asiatico sono stati firmati numerosi trattati di cooperazione tra aziende petrolifere di stato (CNPC – Rosneft) e si stanno aprendo una serie di nuove rotte artiche verso l’oceano Pacifico.
Anche però su questa nuova possibile alleanza, grava la spada di Damocle dell’unconventional: dopo la scoperta di enormi giacimenti di gas sul proprio territorio, il Governo cinese ha raffreddato la pista facendo saltare un accordo per una grossa fornitura di gas già praticamente fatto. La maledizione del fracking continua a perseguitare la Russia.
Giorgio Giuliani