Che cosa sta succedendo in Turchia? Le proteste che stanno attraversando il Paese, avviate a Istanbul, sono state da piĂą parti interpretate quali rivolte contro l’islamizzazione imposta dal premier Erdogan. Eppure, forse il movimento di piazza Taksim è piĂą vicino alla rete occidentale di “Occupy” che alle controverse “Primavere arabe”.
I FATTI – Durante il fine settimana, l’argomento principale nella pagina estera di giornali e telegiornali è stato la serie di dure proteste che hanno attraversato la Turchia. Cerchiamo di riproporre rapidamente la vicenda: a innescare la scintilla è stata la decisione da parte delle Autorità locali (guidate dall’AKP di Erdogan) di abbattere seicento alberi nel parco di Gezi, cuore verde di Istanbul, per far posto a un enorme complesso commerciale e a una moschea.
Contro questa misura – ritenuta del tutto anti-democratica – era stata organizzata una manifestazione in piazza Taksim, ma la reazione del Governo è stata particolarmente dura, al punto che, oltre a più di 1500 arresti (in varie città ), secondo Amnesty International ci sarebbero stati anche due morti e almeno quattro persone con lesioni irreparabili agli occhi. Una delle interpretazioni attraverso le quali si è tentato di riflettere sugli avvenimenti è la rivolta del popolo turco contro l’islamizzazione del Paese imposta dal premier Erdogan – non a caso i manifestanti sventolavano immagini di Ataturk, il grande modernizzatore laico.
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SVILUPPO, IDENTITÀ E CONTRADDIZIONI – Da un decennio l’AKP domina la scena politica in Turchia, avendo la capacità di attirare un elettorato islamico conservatore, ma non necessariamente estremista. Erdogan ha impostato il proprio mandato sull’ampliamento della base elettorale del partito, operando nelle relazioni internazionali al fine di rendere la Turchia un modello di Paese musulmano moderato e dinamico per gli altri Stati del Vicino Oriente e dell’Africa (il “neo-ottomanesimo”), mentre in politica interna ha concesso campo libero alle forze in precedenza inespresse dell’economia capitalistica. Le contraddizioni dello sviluppo sono emerse drammaticamente, soprattutto nella gestione dell’opinione pubblica.
Erdogan ha attuato alcune misure certo sgradite ai laici, quali la possibilità per i dipendenti pubblici di tornare a indossare simboli religiosi, oppure, recentemente, la restrizione alla vendita di alcolici. Tuttavia, probabilmente, le manifestazioni in corso non sono da imputarsi alla reazione del popolo contro il rischio di islamizzazione del Paese, quanto contro il metodo di Erdogan, il quale, con l’accrescere del consenso elettorale, si è posto come un nuovo sultano, sprezzante nei confronti delle istanze degli altri gruppi politici e insofferente alle dinamiche del confronto democratico, spesso arrogante e autoritario («Twitter è un nemico!», ha gridato in queste ore). Considerata la Turchia contemporanea, sospesa tra vecchie e nuove identità e con le turbolenze di una società dinamica in pieno sviluppo, però di fatto democratica nei processi e nei sentimenti, le proteste di questi giorni sono molto più simili ai vari movimenti occidentali della rete “Occupy” che alle controverse “Primavere arabe”.
Beniamino Franceschini