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Ambiente e sicurezza: l’importanza dei “beni universali”

Miscela Strategica – Il XXI secolo ha segnato un passaggio importante nell’ambito della gestione della sicurezza e delle relative modalità di difesa, ampliandone il “dominio” fino ad includere le tematiche ambientali.

 

NUOVA PROSPETTIVA – Il manifestarsi  di nuove circostanze inter ed infra nazionali ha facilitato il superamento del monopolio statale dell’uso della forza a vantaggio di una dimensione sovranazionale. Questa transizione ha conferito rilievo ai cosiddetti “beni universali” svincolati da ogni giurisdizione nazionale. All’interno di questa categoria, figura l’elemento ambientale il cui degrado è sempre più associato all’esasperazione di varie forme di conflitto.

 

SICUREZZA ED INTERDIPENDENZA – La garanzia della sicurezza non più solamente offerta dal potenziale offensivo di uno Stato, include oggi alcune condizioni esogene che intervengono sul piano sociale e culturale.  Quindi, fattori come l’impoverimento, la gestione delle risorse energetiche ed alimentari ed i disastri ambientali sono considerati – in un’ottica non solo di intervento, ma anche di prevenzione – come fattori di rischio potenziale.  Non potendo più ricadere nel contesto tradizionale di protezione dei cittadini da pericoli violenti, all’interno ed all’esterno dei propri confini nazionali, nei confronti di nemici definiti e facilmente individuabili, la nozione di sicurezza si è estesa oggi anche al controllo dei cosiddetti “beni universali” (global commons) identificati con tutti quegli spazi collettivi su cui non è estesa alcuna  giurisdizione statale.

Il Dipartimento della Difesa Americano li ha recentemente classificati come “tessuto connettivo delle relazioni internazionali” in ragione del fatto che la loro esistenza proceda oltre ed indipendentemente dalla sovranità statale. Tali beni si qualificano, per loro natura, come pubblici, indivisibili, non rivali e non escludibili e si pongono a disposizione di ognuno rappresentando un interesse generale per l’umanità. Essi si identificano con gli spazi marini internazionali, lo spazio cibernetico e quello ambientale.

 Lo sfruttamento dei beni universali o collettivi sembra essere una delle più attuali ragioni di competizione militare e diplomatica fra gli Stati in quanto il loro possesso faciliterebbe l’espletamento di operazioni militari, il controllo o la sottomissione di alcune regioni e l’accesso esclusivo alle risorse energetiche.

Lo studio più noto in materia è attribuito a Garrett Hardin che, nel saggio intitolato la “Tragedia dei beni comuni” (The tragedy of the commons, 1968), descrive la situazione di conflitto che si determina in seguito all’utilizzo di una stessa risorsa per interessi privati quando i diritti di proprietà o di sovranità non sono chiaramente definiti. Più recente è, invece, il contributo di Barry Posen che ha individuato nel controllo e nello sfruttamento dei beni comuni il prerequisito indispensabile per imporre a livello internazionale l’egemonia di uno Stato.

 

AMBIENTE E SICUREZZA – Collocato nel gruppo dei beni comuni ed indisponibili, l’elemento ambientale riveste un’importanza strategica nelle relazioni fra gli Stati implicando sia il controllo delle risorse energetiche primarie che la stabilità sociale. Poiché alcune specifiche condizioni ambientali sono ritenute responsabili dell’inasprimento di conflitti sociali o tensioni regionali, le alterazioni climatiche dovute all’intervento antropico sono state incluse dalla NATO (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord), fra le nuove sfide del XXI secolo.

Le fattispecie che ricadono in questo ambito sono molteplici, eterogenee e spaziano dall’innalzamento del livello del mare, alla desertificazione fino all’indisponibilità delle risorse energetiche primarie. Inoltre, sono tali da non far percepire immediatamente il loro reale impatto sulla sicurezza. Tuttavia, la NATO, in un recente studio sull’ecoterrorismo, ha rilevato alcuni elementi di forte criticità legati alle alterazioni ambientali come ad esempio,  le brusche variazioni nei prezzi delle commodity (fenomeno catalizzatore delle proteste in Egitto ed in Tunisia) oppure il mancato accesso alle risorse idriche (causa primaria di attrito fra i Paesi dell’Asia Centrale).

La mappa UNEP delle aree a maggior "rischio ambientale" nel mondo.
La mappa UNEP delle aree a maggior “rischio ambientale” nel mondo.

 

RILEVANZA MONDIALE – Il binomio sicurezza-ambiente è stato riconosciuto anche dell’UNEP (United Nations Environment Programme), il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente che ha individuato alcune aree in cui l’aspetto economico-militare e quello ambientale si completano reciprocamente.

La prima area si riferisce alla scarsità delle risorse energetiche primarie, frequentemente associata all’indisponibilità delle risorse idriche. Infatti, il degrado delle condizioni ambientali tende a modificare il regime delle precipitazioni che – si stima –  ridurranno dal 20 al 30% la disponibilità di acqua dolce in talune regioni. Ciò potrebbe determinare un conseguente decremento della produttività agricola ed una maggiore insicurezza alimentare, rendendola insostenibile in alcuni Paesi meno sviluppati. La carenza idrica, in particolare, ha il potenziale di causare disordini civili e comportare perdite economiche molto forti.  In Afghanistan, ad esempio, dove oltre l’80% delle risorse idriche è condizionato dalle nevi delle montagne dell’Hindu Kush, poste ad altitudini superiori ai 2.000 mt, il cambiamento climatico rappresenta un serio rischio per la sicurezza idrica del Paese.  La scarsità delle risorse energetiche da un lato e la condivisione di alcune risorse dall’altro acuisce la competizione intra-statale per l’estensione del dominio riservato. La rivalità per l’accesso ed il controllo esclusivo di alcune risorse figura oggi fra le cause maggiori di conflitto internazionale, in particolare laddove la crescita demografica risulti eccessiva rispetto alle risorse disponibili. Fra i conflitti più rilevanti per la gestione delle risorse idriche, ad esempio, figurano quello nella Valle del Nilo fra l’Egitto, il Sudan e l’Etiopia e quello in corso da tempo fra gli Stati dell’Asia centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) per il monopolio delle acque del bacino del lago di Aral e dei due fiumi, l’Amu Darya e il Syr Darya. Altrove, l’impossibilità giuridica e politica di determinare un utilizzo esclusivo unita ad importanti cambiamenti che potrebbero avvenire sulla morfologia del territorio ha acuito la competizione fra gli Stati che affacciano sulla calotta artica nella prospettiva che eventuali modifiche del paesaggio causate dal surriscaldamento della temperatura globale possano favorire l’imposizione di una giurisdizione nazionale.

La seconda area individuata dall’UNEP si riferisce ai fenomeni migratori esacerbati dalle degradate condizioni ambientali. Il Programma delle Nazioni Unite ha stimato che nel 2050 il flusso migratorio potrebbe interessare circa 350 milioni di persone, mentre la desertificazione, la perdita o l’arretramento nel territorio potrebbe avviare un circolo vizioso di degrado e conflitti per il possesso della terra ed il controllo delle frontiere.

La terza area, infine, è relativa alla vulnerabilità delle coste agli eventi climatici estremi. Questo fenomeno attualmente colpisce circa un terzo della popolazione mondiale mettendo a repentaglio non solo gli insediamenti, ma anche le economie locali e le infrastrutture critiche dello Stato. E’ stato calcolato che uno scenario di inazione rispetto al degrado ambientale potrebbe costare all’economia mondiale fino al 20% del PIL/anno, mentre il costo di un’azione concertata efficace sarebbe limitato ad un costo dell’1%.

 

FACCIAMO IL PUNTO – L’intima connessione fra la radicalizzazione di fattori di crisi ed il fattore ambientale dimostra quanto quest’ultimo possa aumentare in maniera significativa l’instabilità degli Stati meno strutturati e sottoporli ad una eccessiva sollecitazione politica. Per tale ragione, si impone la necessità di affrontare il tema della protezione ambientale parallelamente alle sfide poste alla sicurezza attraverso interventi di prevenzione e di  governance ambientale dedicati alla risoluzione delle dispute per il controllo e la gestione comune delle risorse. La governance ambientale dovrebbe inoltre basarsi su una visione dinamica integrata che tenga conto delle norme internazionali e della loro implementazione a livello nazionale con il coinvolgimento delle autorità locali e della società civile.

 

Emanuela Sardellitti

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Emanuela Sardellitti
Emanuela Sardellitti

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo politico internazionale, ho conseguito varie specializzazioni in tema diritto internazionale e diplomatico e gestione delle risorse energetiche presso la SIOI, l’Università degli Studi di Roma Tre e l’UNEP. Lavoro come policy advisor presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, mi occupo di affari regolatori e politiche di natura ambientale. Sono parte delle delegazioni italiane per i negoziati sui cambiamenti climatici e le sostanze ozono lesive in ambito Nazioni Unite. Dal 2005, ho intrapreso varie collaborazioni con riviste come Equilibri, “Asia Times”,  Power and Interest News Report su temi legati alla sicurezza o con editoriali specialistici come Quotidiano Energia sulle dinamiche energetiche.

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