In 3 sorsi – Il G7 in Canada, che ha visto il ‘battesimo del fuoco’ internazionale del nuovo Governo italiano, ha confermato le spaccature all’interno dell’Occidente, l’incurante isolamento dell’America di Trump e la sostanziale inconcludenza del formato.
1. IL SUMMIT
Venerdì 8 e sabato 9 giugno a Charlevoix, in Canada, si è tenuta la riunione annuale del G7, formato nato nel 1975 (vedi il Chicco in più) e che riunisce i capi di Stato e di Governo di quelle che erano (e in parte sono ancora) le 7 maggiori potenze economiche: USA, Germania, Francia, Regno Unito, Canada, Giappone e Italia. Il vertice è stato dominato dalla spaccatura tra il presidente USA Donald Trump e gli altri leader. Tanti i temi sul tavolo, ma i rapporti con la Russia e, soprattutto, le questioni commerciali hanno catalizzato l’attenzione e diviso i partecipanti. Il summit è poi stato il “battesimo del fuoco” internazionale per il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, appena insediatosi a Palazzo Chigi. Trump, prima della riunione, ha timidamente accennato a un possibile futuro ritorno della Russia (si tornerebbe a un G8), ma gli altri leader, con l’eccezione del premier italiano, hanno ribadito la non partecipazione di Mosca, esclusa dal vertice nel 2014, in seguito allo scoppio della crisi ucraina. Lo stesso Governo russo, comunque, non ha dimostrato grande interesse, almeno formalmente. Per quanto riguarda il commercio, una settimana prima del vertice l’Amministrazione USA aveva imposto dazi su prodotti europei e canadesi, in risposta a presunte barriere (tariffarie e non) che penalizzerebbero le imprese e i prodotti statunitensi. L’ombra di una possibile guerra commerciale all’interno dell’Occidente ha quindi inevitabilmente finito per gravare sul summit. Alla fine, gli USA hanno firmato la dichiarazione comune (contenente il solito riferimento a un ordine commerciale internazionale governato dalle regole), ma Trump, poche ore dopo e mentre si dirigeva a Singapore per incontrare il leader norcoreano Kim Jong Un, ha ritirato la firma in seguito a una schermaglia con il premier canadese Justin Trudeau.
Fig. 1 – Il G7 in Canada ha sottolineato le tensioni tra alcuni suoi importanti membri
2. IL DEBUTTO DEL NUOVO GOVERNO ITALIANO NELLA POLITICA INTERNAZIONALE
Per l’Italia e per il nostro nuovo governo questo G7 è stato particolarmente importante, non tanto (o non solo) per i temi trattati, quanto perché è stato la prima occasione per il nuovo Presidente del Consiglio di incontrare gli altri leader occidentali. Roma, pur non nascondendo la simpatia verso Washington (soprattutto sul tema Russia) ha finito per allinearsi agli altri Paesi europei nei rapporti con Mosca e nelle questioni commerciali, sebbene con alcuni distinguo. L’impressione è che la politica estera del nostro Governo sarà di volta in volta determinata dagli equilibri del momento tra le due forze di maggioranza (e i rispettivi leader) e tra esse e gli elementi tecnici presenti nell’esecutivo e nelle alte burocrazie. Di per sé questo non rappresenterebbe una novità, ma la carica anti-establishment e la spregiudicatezza delle forze politiche della maggioranza fanno prevedere che le suddette dinamiche saranno più complicate del solito. Insomma, si preannuncia un’Italia abbastanza salda nella sua collocazione europea e atlantica, ma destinata a mantenere alcune ambiguità sostanziali e a compiere alcune giravolte, anche momentanee.
Fig. 2 – Il vertice canadese è stato il ‘battesimo del fuoco’ internazionale per il nuovo premier italiano Giuseppe Conte
3. E ADESSO?
Cedere alla tentazione di addossare al solo Trump la responsabilità del sostanziale fallimento del G7 canadese sarebbe abbastanza miope, per quanto comodo e autoassolutorio (almeno per europei e canadesi). Innanzitutto, da un punto di vista generale, il formato è ormai da tempo inadeguato rispetto alle aspettative, tanto che, nel pieno della crisi finanziaria, le attenzioni (meglio, le speranze) si sono spostate sul G20, ritenuto più adatto ad affrontare le sfide del mondo globalizzato. I vertici del G7 sono sempre più l’occasione per una photo-opportunity, piuttosto che eventi diplomatici incisivi, e la loro importanza, a parte il piano simbolico e di relazione umana tra i leader, è abbastanza trascurabile. Inoltre, per quanto riguarda il tema specifico, i rilievi sollevati da Trump sul commercio non sono del tutto infondati: europei (in particolare i tedeschi) e canadesi sono tutt’altro che “innocenti” in materia. Le divergenze all’interno dell’Occidente sono destinate a permanere e (forse) a intensificarsi, ma la cruda realtà è che nessuno al momento sembra disposto ad accettare le conseguenze che una totale rottura con Washington comporterebbe, specialmente sul piano della Difesa. A parte la retorica e al di là delle apparenze, gli stessi europei sono poi profondamente divisi. Ad esempio, il surplus commerciale tedesco, principale obiettivo degli ultimi dazi di Trump (e già causa di non poche tensioni con l’Amministrazione Obama), è oggetto di forti lagnanze anche da parte di Francia, Italia e altri Paesi dell’Europa meridionale, nonostante l’anno scorso si sia registrato il primo calo dal 2009. Insomma, le strutture multilaterali dell’Occidente sono in difficoltà, ma, almeno per ora, rimangono ineludibili. Il prossimo test è fissato per metà luglio, quando si terrà il vertice annuale della NATO e l’UE dovrà assumere decisioni cruciali per i suoi rapporti con gli USA (eventuali rappresaglie commerciali e rinnovo delle sanzioni contro la Russia). Non si preannuncia un’estate facile per i rapporti transatlantici.
Davide Lorenzini
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più –
La prima riunione del G6 si tenne nel 1975 a Rambouillet, in Francia, su iniziativa franco-tedesca. L’obiettivo era quello di dare nuovo slancio all’Occidente, che all’epoca attraversava una crisi economica e psicologica. Il formato si estese poi al Canada, divenendo G7, e iniziò a riunirsi ogni anno, sia a livello di capi di Stato e di Governo, sia a livello ministeriale. Negli anni Novanta il vertice divenne G8 in seguito all’ammissione della Russia, per poi tornare al formato a sette in seguito alla crisi ucraina. [/box]