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Hollande un anno dopo: il Presidente è solo

‘Bandiere rosse, musica e stendardi socialisti: è il 6 maggio 2012, in Place de la Bastille intellettuali, lavoratori e studenti celebrano, lacrime agli occhi, il ritorno della sinistra al potere’. Così Stefan Simons, dalle pagine di ‘Der Spiegel’, saluta l’elezione di François Hollande, secondo Presidente socialista della Repubblica francese. Un anno dopo, ecco cosa è cambiato

 

UN ANNO PIÙ TARDI, STESSO LUOGO – Front de gauche, comunisti e attivisti, probabilmente gli stessi esultanti protagonisti della festa dell’anno prima, riempiono le strade manifestando contro il loro Presidente. «Hollande non ha nulla da festeggiare»: è il 6 maggio 2013 e il titolo di Stefan Simons ha tutt’altro significato.  Al suo pessimismo fanno eco i titoli di tutte le testate internazionali. «Un anno di presidenza Hollande: un sentimento di deriva» sul “New York Times”; «La defezione presidenziale» per “The Telegraph”; «Un anno nella tormenta» secondo “La Razon”, solo per citarne alcuni. Abbandonato dai mezzi di stampa dell’intero globo e dai propri cittadini, Hollande si riscopre solo.

 

Il cambiamento, ora. Entusiasmo dilagante per François Hollande in campagna elettorale.
Il cambiamento, ora. Entusiasmo dilagante per François Hollande in campagna elettorale

LA DELUSIONE DELLA NORMALITÀ – «Sarò il Presidente del cambiamento, dei giovani e della riconciliazione». Doveva essere la Presidenza del consenso, e in un certo senso lo è stata: secondo gli ultimi dati raccolti dall’Institut français d’opinion publique (Ifop) nel corrente mese di giugno il 74% dei francesi si dichiara «malcontento» dell’operato del capo di Stato. Un dato impietoso, specialmente se paragonato a quello dei suoi predecessori. L’anno successivo all’insediamento all’Eliseo, solo il 33% dei francesi tolse il sostegno popolare a Valéry Giscard d’Estaing; il 35% a François Mitterrand; il 49% a Jacques Chirac e il 64% a Nicolas Sarkozy. «È sempre difficile avventurarsi in comparazioni di questo tipo. – Ammonisce Jean Luc Parodi, direttore di ricerca emerito al Centro di studi della vita politica francese (Cevipof). – Il riguardo che portiamo nei confronti del passato ci condiziona: è il tempo a rendere migliori le esperienze presidenziali».

 

DIFFERENZE E CONTINUITÀ – L’analisi comparata degli esordi presidenziali ci permette di cogliere gli elementi distintivi di ciascuno di essi e gli elementi di continuità, a partire dal relativo peso riformista del primo anno di mandato. Secondo Jean Luc Barré, importante autore francese e memorialista di Chirac, «si avverte la tendenza ad aggirare le riforme strutturali, le decisioni dolorose». Ma se i suoi predecessori hanno avuto la fortuna di vivere in tempi clementi, lo stesso non vale per Hollande. La crisi economica inaugurata durante il quinquennio Sarkozy è lontana dall’essere superata; in dodici mesi la disoccupazione è aumentata di 300mila effettivi frantumando il precedente record del 1997; il debito pubblico ha superato la soglia psicologica del 90% del Pil; il deficit è tanto lontano (4,8%) quanto non allineabile nel breve periodo al tasso richiesto da Bruxelles (3%), così da costringere l’esecutivo a chiedere una dilazione di 24 mesi per riavvicinarsi ai partner europei. Un contesto simile non spiega, né tantomeno giustifica, l’attuale immobilismo. Paradossalmente, i primi anni dei mandati di d’Estaing, Mitterrand e, anche se in misura minore, Chirac contano più riforme di quelli di Sarkozy e Hollande, entrambi condizionati dalle contingenze di un’Europa irrequieta e dalla schizofrenia della moneta unica.

 

UN IMPIETOSO PARAGONE – Il bilancio di Hollande, modesto e deludente in termini assoluti, esce addirittura ridicolizzato dal confronto con quello del suo unico predecessore socialista: François Mitterrand. La «force tranquille», slogan comunicativo di Mitterrand, produsse, nei primi 365 giorni, riforme su riforme: instaurazione della quinta settimana di ferie pagate; settimana lavorativa di 39 ore; aumento di 25 punti percentuali dello Smic (salario minimo interprofessionale di crescita); riforma delle pensioni; imposta sui grossi capitali; nazionalizzazioni; raddoppio dei fondi destinati alla cultura e, in ultimo, abolizione della pena di morte. «Sarebbe impossibile riproporre il momento riformista del 1981», scrive Béatrice Gurrey sulle pagine di “Le Monde”. «In un contesto che ha visto sparire le grandi ideologie strutturanti, l’accelerazione dei tempi politici provocata dalla sostituzione dei settennati con i quinquenni presidenziali e la proliferazione dei mezzi d’informazione hanno reso la posizione del Presidente sempre più delicata», spiega Emmanuel Todd, ricercatore all’Institut National d’études démographiques. Hollande non sembra ancora riuscito a compiere la necessaria metamorfosi richiesta dal potere. Vittima del suo stesso successo, il “Presidente normale”, propostosi a suo tempo come ristrutturatore delle casse francesi e della grandeur, si è trasformato, a detta dell’opinione pubblica, in “Monsieur Faible, incapace di prendere decisioni nonostante i favori numerici accordatigli dall’Assemblée Nationale e dalla Costituzione.

 

LE CHANGEMENT, C’EST MAINTENANT – «Il cambiamento è ora», promise Hollande una volta avuta l’ufficialità dell’elezione. Un anno dopo il suo arrivo al potere il malcontento dilaga, solo parzialmente stemperato dal successo sociale della legge sul “Marriage pour tous” e dagli esiti della guerra in Mali. Il governo del fido scudiero Jean-Marc Ayrault non sembra per niente intenzionato ad abbandonare la fase riformista “lacrime e sangue”. Gli aggiustamenti fiscali e tariffari indiretti colpiscono – non solo indirettamente, come propugnato dalla classe dirigente – l’interezza dei contribuenti. Se l’obiettivo era «faire payer les riches» come paventato in campagna elettorale, la promessa è stata disattesa. Visto il percorso intrapreso da Hollande e Ayrault, lo slogan merita una nuova declinazione: «l’austerité c’est maintenant». Il terrore dei francesi si sta materializzando: Parigi rischia d’essere vista come una marionetta nelle mani della Storia e, peggio ancora, di Berlino.

 

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“Hollande: il nemico della famiglia.” I francesi hanno mal digerito le misure austere imposte da Hollande

TRA IMPOTENZA E REALPOLITIK – «C’est l’économie qui frappe». È la gestione economica il fattore determinante del consenso, spiega ancora Jean-Luc Parodi. La partita per il futuro della Presidenza si gioca in Europa. Gli antefatti non lasciano ben sperare: «L’immobilismo del primo anno di Hollande ha affievolito e indebolito la voce francese in Europa», afferma Thomas Klau, direttore a Parigi dell’European Council on Foreign Relations. «Rinegozierò i termini del patto di stabilità siglato dal mio predecessore e tanto contestato dalle sinistre europee», tuonava risoluto il futuro Capo di Stato nei comizi elettorali, ma 365 giorni dopo le redini dell’Europa rimangono saldamente nelle mani di madame Merkel. Nello strisciante conflitto di visioni è ancora Berlino a prevalere: l’austerità di matrice teutonica resta la stella polare che condurrà l’Europa mediterranea sulla via del rigore, rigettando la proposta francese di un rilancio economico di impostazione neokeynesiana. Alla debolezza interna ed europea, però, fa da contraltare una posizione internazionale migliorata.

 

NESSUNO È PROFETA IN PATRIA – Per quanto riguarda la politica internazionale, l’hollandisme si è dimostrato più efficace. Secondo un sondaggio BVA svolto per “Le Monde”, il 64% dei francesi approva con entusiasmo l’interventismo dimostrato in Mali, considerato l’unico ed eclatante successo del primo anno presidenziale. Al consenso popolare fa eco quello di buona parte della comunità scientifica e accademica: «Hollande ha mostrato capacità e prontezza d’intervento in Mali. Ha preso iniziative e ha saputo assumersi rischi. L’intera campagna è stata un successo», afferma Pascal Boniface, direttore dell’Institut des Relations Internationales et Stratégiques (Iris)Sul fronte Siria, una volta riconosciuta la legittimità dell’opposizione siriana – primo capo di Stato occidentale a farlo – il Presidente socialista «ha preferito una politica prudente, di Realpolitik», che non scade però nell’irrisolutezza, come afferma compiaciuto Christian Lequesne, direttore del centro di studi e di ricerche internazionali di Sciences Po Paris, centro universitario d’eccellenza frequentato, a suo tempo, proprio da Hollande.

 

ORA I RISULTATI – «Il secondo anno di mandato sarà quello dei risultati». È questo l’auspicio di Hollande per la seconda fase del suo mandato. Un rimpasto di Governo sembra profilarsi all’orizzonte: 8 francesi su 10, timorosi di dover rinunciare all’inclusivo, ma troppo costoso sistema sociale, si dicono favorevoli a un esecutivo di larghe intese. Una riforma del sistema delle pensioni e una forte riduzione dei sussidi sociali e delle spese di ministeri ed enti locali rappresentano le principali e prossime incombenze della presidenza Hollande. Allo stato attuale delle cose, è difficile ipotizzare Place de la Bastille nuovamente colma ed esultante come accadde nell’ormai lontanissima notte del 6 maggio 2012. L’inversione necessaria per evitare di imporre nuovi tagli ai contribuenti, secondo le stime, è dell’1,5%. Mera utopia. A Hollande restano 4 anni per risollevare le sorti della Francia contemporanea. Il futuro passa sicuramente dagli umori di Place de la Bastille, origine di tutte le rinascite francesi.

 

Simone Grassi

 

 

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Simone Grassi
Simone Grassi

Fiero membro della cosiddetta generazione Erasmus, ho studiato in  Italia e in Francia. Laureato magistrale in Relazioni Internazionali (Università degli Studi di Milano),  frequento  ora un Master di ricerca in Economia Politica all’Università di Bristol. Convinto europeista, sono stato stagista alla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Oltre all’economia e alla politica internazionale, mi affascina il mondo della cooperazione allo sviluppo, un mondo che ho maggiormente scoperto durante un tirocinio in UNICEF.

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