Recensione – Stefano Saletti & Banda Ikona, “Soundcity – Suoni dalle cittĂ di frontiera”. Tra flussi di migranti, ONG, scontri politici e ideologici, Stefano Saletti suona il folk world del Mediterraneo, lasciando correre tra le sue sponde le note armoniche della splendida voce di Barbara Eramo. Gli artisti cantano in Sabir, la lingua del mare, dei porti, dei pescatori, dei marinai, la lingua del dialogo e della comprensione.
CITTĂ€ DI FRONTIERA
Le note di Stefano Saletti e della Banda Ikona cantano le suggestioni del Mediterraneo, questo Mare Nostrum in cui l’Italia si protende e che, per circa mille anni, ha forgiato popoli e culture attraverso un dialogo costante tra sponde del Nord e del Sud, che consentiva scambi di merci e di idee, avvicinando e assimilando, ma anche diversificando e rispettando. Afflitto da tante guerre, il Mediterraneo, percorso da mercanti e corsari, è però stato sempre un crocevia che ha permesso ai popoli che lo hanno abitato di stemperare le tensioni sociali e le avversità economiche. Questo bacino ha così rappresentato la strada della speranza e del riscatto, di una nuova vita affidata al mare in cui si viaggiava per emigrare, per commerciare, per fare fortuna o per scappare. Questi canti che il gruppo ci propone ci ricordano che il Mediterraneo è fatto di città di frontiera, unite da una rete ideale che legava Lisbona a Istanbul, Marsiglia al Cairo, toccava Jaffa e Sarajevo, Genova e Beirut, Tangeri e Napoli, Barcellona e Alessandria…
Fig. 1 – Il Porto di Catania, dove si svolge il SABIRFEST che ricorda lo spirito della lingua franca parlata un tempo nei porti e sulle imbarcazioni mediterranee. Foto di Elisabetta Esposito Martino
MUSICA E MIGRANTI
Questi luoghi non hanno mai fermato i flussi di migranti, che vanno altrove da sempre, e non li hanno nemmeno generati, perchĂ© i problemi sono nascosti oltre i loro confini, e si possono scorgere piĂą in lĂ , non solo nelle zone sahariana, saheliana o siriana… ma forse dentro ciascuno di noi. Una realtĂ poliedrica e multiforme, che purtroppo stiamo diventando avvezzi a semplificare con superficialitĂ , ma che il gruppo di Saletti riesce a cogliere nelle sue molteplici sfaccettature, ricavando un unico flusso musicale che diffonde per il mondo l’eco del dramma di ogni singolo migrante, delle speranze di approdo e di ritorno, delle nostalgie immanenti, dei dolori piĂą devastanti, di amori immensi e preghiere intense. Questi spazi sonori sono il frutto di un’esecuzione raffinata con strumenti a corda e percussione e con tecniche vocali che riecheggiano i tanti stili musicali del Mediterraneo. Questi sentimenti risuonano nei ritmi e nelle melodie che ricordano le suggestioni e i colori del mare, attraverso l’affresco musicale dipinto dalla calda e magnifica voce di Barbara Eramo.
Fig. 2 – Capre al pascolo su un albero in Marocco. Foto di Elisabetta Esposito Martino
LA LINGUA SABIR
Queste canzoni sono cantate in sabir (come si chiama dal 1830 la lingua franca del Mediterranno, detta anche piccolo moresco), la lingua del possibile dialogo, che univa in un unico flusso sonoro il lessico italiano, sovente nella versione genovese o veneziana, con quello spagnolo, catalano, greco, occitano e siciliano, cui si aggiungevano voci arabe e turche. Il sabir, nato forse ai tempi delle crociate, si è diffuso dal XVI secolo, all’epoca della Barberìa, le reggenze ottomane di Algeri, Tripoli e Tunisi, una sorta di repubbliche corsare sviluppate sotto l’egida dell’Impero ottomano. Il sabir usato dai musulmani, dai coloni francesi in Algeria (i futuri Pieds-Noirs), dagli ispanici, dagli ebrei e dai moriscos dei Paesi magrebini era lo strumento di comunicazione tra i cristiani, ma anche tra questi, gli arabi e i turchi. Era la lingua di chi viaggiava e sapeva di poter capire e di essere capito, era il linguaggio delle transazioni commerciali e consentiva le relazioni diplomatiche. Era per questo l’idioma parlato in tutti i porti del Mediterraneo e sulle navi che solcavano questo mare, tra gli equipaggi, senza configurarsi come “lingua della ciurma”, perchĂ© non troppo densa di terminologia marinaresca, ma forgiata, invece, sulla vita di ogni giorno, che l’ha resa la lingua pidgin piĂą antica e piĂą longeva di cui si abbia notizia, lingua di comunicazione fra l’Impero ottomano e l’Europa. E in questa lingua ascoltiamo “Soundcity – Suoni dalle cittĂ di frontiera“, un disco ricco di leggende, miti, storie che vengono narrate insieme alle consuetudini, ai colori e agli odori, che circondano note che inseguono il richiamo del mare.
Fig. 3 – Migranti suonano il bouzouki, antico strumento musicale che accompagnava i canti in sabir
ALLA RICERCA DI UN NUOVO SABIR
Dopo il 1830 il sabir viene parlato sempre meno, fino a scomparire: ne rimane traccia in alcuni termini navali e nelle canzoni e nelle ballate che hanno dato a questo gruppo l’occasione di creare un folk world mediterraneo che non solo ci incanta, ma ci anche fa sperare in un nuovo sabir, affinchĂ© tra le sponde del Mediterraneo si possa ricominciare a parlare una lingua comune, che consenta la comprensione reciproca e la rimozione di tutti quei muri e quelle barriere che stanno facendo di un mare, culla della nostra civiltĂ , una bara di acqua che divide il mondo della pace da quello della guerra. Ascoltando e apprezzando la musica di Stefano Saletti e della Banda Ikona, sproniamo ciascun lettore a ripensare questo “continente liquido”, come lo chiama Braudel, a osservare i tempi e gli eventi, a capirne le cause, cercando di immaginarne gli effetti: perchĂ© da luogo di scontri e di tensioni, il Mare Nostrum possa tornare fonte d’incontri e di scambi, per trasportare su questo Grande Blu, tinto di troppo rosso, oggi come allora Persone, Idee, Culture e Diritti.
Per citare Molière ne Il borghese gentiluomo: «Se ti sabir, ti respondir. Se non sabir, tazir, tazir». Ossia: «Se tu sai, rispondi. Se non sai, rimani in silenzio». (Guido Cifoletti, La lingua franca barbaresca, Il Calamo, 2011).
Elisabetta Esposito Martino
Foto di copertina di Elisabetta Esposito Martino