Analisi – Nelle scorse settimane Christian Eccher si è recato in Ungheria e ha realizzato un lungo reportage sulla situazione politica e sociale del Paese, analizzando i motivi del persistente successo del Governo di Orbán. In questo articolo introduttivo ci racconta del muro anti-migranti al confine serbo-ungherese e dei numerosi tentativi di superarlo da parte di richiedenti asilo e trafficanti di uomini.
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WIESENLAND, LA TERRA DEI PRATI
La linea di frontiera fra Serbia e Ungheria si snoda lungo un terreno pianeggiante fra le città di Sombor, Subotica e Kanjiža, dove inizia la grande distesa erbosa che si estende nel nord del bacino carpatico: la “Puszta”. Intorno al 900 d.C. il popolo ungherese, originario dell’Asia Centrale, conquistò quest’area stepposa, un habitat del tutto simile a quello di provenienza. Nel corso dei secoli, gli ungheresi abbandonarono la vita nomade e riuscirono a trasformare in una fertile pianura gran parte della steppa, che è ancora visibile nel parco nazionale di Hortobágy e, a tratti, nel sud dell’attuale Repubblica d’Ungheria e nell’estremo nord della Serbia: è proprio la steppa che si insinua inaspettata fra i campi di granoturco e di girasoli, a ricordare l’aspetto originario di quest’area. Gli steli, in questo periodo secchi, della Festuca Valesiana e della Stipa Tenuissima vibrano al vento come corde d’arpa; quando entrano in contatto fra loro producono un sibilo continuo, ininterrotto: la sinfonia dell’inverno, che solo la pioggia di aprile interromperà con un testardo ma delicato tamburellare d’acqua.
A dividere Serbia e Ungheria c’è una grata di metallo, fatta erigere dal Presidente ungherese Orbán nel 2015 lungo l’intera linea di confine per fermare il flusso di migranti provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa; il muro venne aspramente criticato dall’Unione Europea ma quando furono Slovenia e Croazia a costruirne uno simile nessuno protestò. La barriera si è rivelata abbastanza efficace per controllare i flussi migratori; i migranti, però, non hanno rinunciato al viaggio verso l’Occidente e si ammassano in tende e baraccopoli improvvisate a Horgoš, l’ultima cittadina serba prima del confine (abitata quasi esclusivamente da ungheresi). A seguito di una sparatoria avvenuta nel centro della città due mesi fa, la gendarmeria serba (un corpo di polizia paragonabile ai Nocs italiani) ha provveduto a deportare i migranti nelle zone centrali della Serbia. Il flusso di clandestini, però, continua imperterrito e giovani dalla pelle olivastra affollano la stazione degli autobus della città di Subotica, bivaccano lungo i binari della nuova ferrovia Subotica-Szeged che i cinesi stanno costruendo a credito e che entrarà in funzione fra pochi mesi. Capita spesso di vedere i poliziotti serbi che, alla stazione delle autolinee di Subotica, raggrupano i migranti per portarli in questura. Sanno anche come trattare i più riottosi: a calci e a pugni, fra l’indifferenza dei passeggeri che aspettano l’autobus per Novi Sad e Belgrado.
Fig. 1 – Il valico di frontiera Horgoš-Röszke / Foto: Christian Eccher
LA FRONTIERA
Nonostante la grande amicizia fra il Presidente serbo Vučić e quello ungherese Orbán, vantata dai media filogovernativi di entrambi i Paesi, le code alla frontiera fra la citta di Horgoš in Serbia e Röszke in Ungheria sono infinite. I doganieri ungheresi, infatti, controllano minuziosamente auto e persone. “Crederò al Presidente Vučić, che insiste sugli ottimi rapporti fra i nostri due Paesi, solo quando i poliziotti ungheresi ci tratteranno da esseri umani – dice Svetlana, che aspetta da 3 ore in fila in terra di nessuno. – Sono di Novi Sad, ho parenti a Szeged, vado ogni settimana in Ungheria. Di solito passo la frontiera a piedi, oggi ho valigie pesanti e ho dovuto ricorrere all’automobile. Al punto di controllo serbo si passa subito, qui invece si aspettano ore… Speriamo che i cinesi finiscano in fretta di costruire la ferrovia Belgrado-Budapest, in treno sarà tutto più semplice…” A livello istituzionale, i rapporti fra Serbia e Ungheria sono ottimi: il 10 ottobre scorso, Vučić ha insignito Orbán dell’Ordine al Valore della Repubblica Serba, mentre a maggio del 2022 il Patriarca serbo Porfirio ha appuntato al petto del Presidente ungherese la medaglia dell’Ordine di San Sava, la più alta onorificenza ecclesiastica serba. Vučić è stato uno dei pochi capi di Stato a non protestare quando, a novembre del 2022, Orbán si è presentato allo stadio con una sciarpa su cui era raffigurata la Grande Ungheria, vale a dire tutto il territorio che era controllato da Budapest prima della firma del trattato di Trianon del 1920; la Grande Ungheria comprendeva anche la Vojvodina, adesso in territorio serbo, e arrivava fino alle porte di Belgrado. Per non rovinare l’idillio con il collega ungherese, Vučić ha preferito tacere e non inviare note di protesta. A Horgoš, però, i doganieri ungheresi fanno di tutto per dimostrare ai serbi di essere i guardiani dei confini ultimi dell’Unione Europea e sottopongono i viaggiatori in transito a controlli inutilmente rigorosi e ad attese infinite. La totale intesa fra i due Paesi nasconde in realtà una reciproca diffidenza: Budapest non ha mai rinunciato alle proprie pretese sulla Vojvodina e Belgrado guarda sempre con timore agli ungheresi che abitano nel nord della Serbia, considerati una, per ora solo assopita, quinta colonna.
Fig. 2 – Alcuni migranti in Serbia seguono la ferrovia per raggiungere il confine con l’Ungheria / Foto: Christian Eccher
GLI ACCHIAPPAMIGRANTI E IL MAROCCHINO
A fare la spola fra Subotica e Horgoš c’è M., un tassista ungherese che vive in Serbia, in una casa a cento metri dal confine. “A unire serbi e ungheresi in questa zona – dice sconsolato – è soprattutto il traffico di clandestini. I migranti che vogliano passare la frontiera devono pagare un pizzo, che va dai 100 ai 600 euro per un “passaggio rischioso”: di notte, i trafficanti posizionano una scala sul muro di cinta alla frontiera: per 100 euro, scavalchi e rischi di essere arrestato dalla polizia ungherese. Per 600, la polizia di là in quel momento non transita, ha già preso la propria percentuale e pattuglia altrove… Se invece non vuoi rischiare e opti per un “passaggio comodo”, con qualche migliaio di euro ti permettono il varco attraverso il punto di controllo, ti alzano la sbarra e prosegui, nella civilissima UE… Senza permesso di soggiorno, però. Ciò vuol dire che se la polizia ti ferma a Budapest o a Berlino, ricevi il foglio di via e torni in Serbia. Come nei videogiochi, inizi dal primo livello…” Da circa un mese, i famigerati “acchiappamigranti” hanno preso il posto dell’esercito: Orbán, infatti, ha deciso di formare un corpo speciale per pattugliare la frontiera con la Serbia. Le paghe per questo corpo paramilitare sono molto alte per i livelli ungheresi e superano i 1.000 euro al mese: nessuno, infatti, aveva risposto al bando di concorso che prevedeva un compenso di 500 euro mensili e il Governo ha dovuto aumentare gli stipendi previsti.
Fig. 3 – Un accampamento di siriani vicino al confine ungherese / Foto: Christian Eccher
A controllare il traffico di migranti è il Marocchino, un commerciante di uomini che non si è mai visto da queste parti ma che a Horgoš tutti conoscono. Diverse bande hanno cercato di prendere il sopravvento in questo affare fruttuoso, ma il Marocchino ha ottimi agganci all’interno delle Istituzioni e fra i migranti stessi: per ora, è lui il signore di Horgoš, anche se in Serbia non è mai stato personalmente. I migranti aspettano ordini dagli uomini del Marocchino e nel frattempo bivaccano nei campi stepposi della periferia di Horgoš.
Christian Eccher
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Foto di copertina: Christian Eccher