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Il caso Djokovic: una saga serba

In 3 sorsi Il contestato tentativo di partecipazione di Novak Djokovic all’Australian Open ha avuto interessanti ripercussioni anche in Serbia, alimentando vivaci sentimenti nazionalisti e sottolineando il conformismo di media e politici.

1. UNA QUESTIONE DI FAMIGLIA

“Avrebbe conquistato l’Australian Open, lui è Novak, il miglior tennista e sportista del mondo, ma questa è una frase che loro non hanno il coraggio di pronunciare, quelle centinaia di milioni di esperti occidentali che pensano che il mondo appartenga solo a loro. Questo pianeta conta 8 miliardi di persone, 7 miliardi fanno parte del mondo libero che loro chiamano ‘terzo mondo’. No, noi siamo primo mondo. (…) Novak già da 20 anni dimostra di far parte del mondo libero. Cristo è stato messo in croce ed è ancora vivo fra noi. Cercano di mettere in croce anche Novak…”.
Queste sono le parole con cui Srđan Djokovic, il padre di Novak, si è espresso durante un’affollatissima conferenza stampa il 10 gennaio scorso. A parte il confronto di cattivo gusto fra Gesù Cristo e il tennista, espulso domenica 16 gennaio dall’Australia perché non vaccinato contro la Covid-19 e colpevole di aver falsificato i documenti riguardanti il test molecolare, salta subito all’occhio la prospettiva terzomondista con cui Srđan analizza ciò che è accaduto a Melbourne. I genitori di Djokovic hanno finanziato, anche con grossi debiti, la carriera del figlio, come fanno molte famiglie serbe per permettere ai propri discendenti di studiare e uscire dalla povertà, particolarmente presente nel sud del Paese. Novak Djokovic è sicuramente un esempio di persona di origine medio-bassa che è riuscita a compiere un salto di classe, ma questo non basta certo a giustificare che sia entrato in Australia senza rispettare le regole vigenti in quel Paese. Si potrebbe a lungo discutere del fatto che lo stesso Djokovic ha dimostrato di apprezzare quel mondo ricco e neoliberista che suo padre critica: ha prestato il proprio volto alle più note marche occidentali a fini pubblicitari e non ha esitato a trasferire la propria residenza a Montecarlo. Il fatto che doni, attraverso la propria fondazione, soldi ad associazioni di volontariato serbe non significa che faccia davvero qualcosa per la propria gente e per il riscatto dei poveri: forse sarebbe meglio se riportasse la residenza a Belgrado e contribuisse al benessere del suo amato popolo semplicemente pagando le tasse.
La vicenda Djokovic è in realtà la triste dimostrazione che la Serbia non riesce a uscire dagli anni Novanta. A caratterizzare la saga Djokovic sono alcuni dei mali che accompagnano il Paese balcanico da circa trent’anni.

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Fig. 1 – Novak Djokovic si allena a Melbourne prima della cancellazione defnitiva del suo visto da parte delle Autorità australiane, 14 gennaio 2022

2. IL CONFORMISMO DEI MEDIA

I media che si sono permessi di criticare – anche solo timidamente – il comportamento criminale di Djokovic sono stati tacciati di essere antiserbi e al soldo delle potenze occidentali: è il caso del quotidiano Danas, che si è evidentemente autocensurato e ha pubblicato commenti irricevibili che difendono il comportamento del tennista. Anche coloro che hanno assunto un atteggiamento critico lo hanno fatto in maniera edulcorata e hanno attribuito l’atteggiamento di Djokovic alla sua genialità e superiorità: il campione sarebbe una sorta di superuomo o di bambino prodigio che, ogni tanto, fa un po’ di capricci.

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Fig. 2 – Un tifoso serbo partecipa a Melbourne alle manifestazioni in sostegno di Djokovic, 16 gennaio 2022

3. RETORICA NAZIONALISTA, ANNEBBIAMENTO DELLE COSCIENZE E SUPERSTIZIONI

Il padre di Djokovic, nelle sue esternazioni alla stampa, ha recuperato, e ridicolizzato, l’eredità dei “non allineati“ cui apparteneva la Yugoslavia e cui appartiene, per diritto ereditario, la Serbia. Djokovic è come Tito, uno che si oppone allo strapotere dell’Occidente e che bilancia i vari interessi politici: gioca contro i tennisti occidentali a Melbourne in nome del popolo serbo. Se a questo si aggiunge che il padre di Djokovic (ultimamente notato ai convegni del Partito Progressista del Presidente Vučić, mentre anni fa aveva apertamente sostenuto Tadić, rivale dello stesso Vučić) è originario del Kosovo, la favola diventa ancora più appetibile per i nazionalisti.
Djokovic unisce e compatta la nazione e ciò permette alle élite di sviare l’attenzione dai problemi, reali, in cui versa la Serbia e di cui il tennista e la sua famiglia non sono neppure a conoscenza, perché vivono nel loro mondo dorato: povertà, inflazione al 7,4% che corrode drammaticamente il potere d’acquisto delle famiglie, un sistema sanitario completamente allo sbando, con code chilometriche davanti ai centri Covid-19 a causa di una gestione fallimentare dell’epidemia da coronavirus. Djokovic, con le proprie teorie no-vax e con i propri principi religiosi e alimentari (veganesimo estremo), incarna le numerose credenze popolari e le ciarlatanerie mediche alle quali almeno la metà del popolo serbo si affida in caso di malattia o di prevenzione. Il tennista è un’icona pop dietro alla quale si nasconde un esercito di persone le cui convinzioni medico-sanitarie, in un clima di pandemia, potrebbero condizionare le elezioni politiche previste per il prossimo aprile. È questa una delle ragioni per cui il Presidente Vučić difende Djokovic e, nelle sue esternazioni pubbliche, chiede alla gente di vaccinarsi senza però mai impegnarsi in una campagna seria di promozione e di informazione sui vaccini.

Christian Eccher

Novak Djokovic” by y.caradec is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • La famiglia di Djokovic ha difeso il tennista, deportato dall’Australia, con una retorica terzomondista e nazionalista.
  • Chiunque in Serbia si azzardi a criticare il comportamento di Djokovic viene tacciato di antipatriottismo.
  • La vicenda Djokovic serve a nascondere i problemi enormi in cui versa lo Stato serbo: inflazione, epidemia da Covid-19, sfiducia nelle Istituzioni.

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Christian Eccher
Christian Eccher

Sono nato a Basilea nel 1977. Mi sono laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. Sono professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero mi dedico al giornalismo. Mi occupo principalmente di geopoetica e i miei reportage sono raccolti nei libri “Vento di Terra – Miniature geopoetiche” ed “Esimdé”.

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