Analisi – Il Presidente Biden ha convocato un Summit globale tentando di dare, in politica interna, un nuovo impulso al sistema democratico provato dall’assalto al Campidoglio e in politica estera, un rinnovato vigore, chiamando a raccolta una congerie di alleati. Questo tam tam è stato intercettato dal Governo cinese che, per la prima volta, passa all’attacco proponendo una propria diversa narrazione sulla democrazia, su cui si giocherà la nuova sfida tra superpotenze.
GLI SCOPI DEL SUMMIT
Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha invitato 108 Paesi (più Unione Europea, Taiwan e Kosovo) valutati come “democratici” a partecipare al Summit for Democracy virtuale tra il 9 e 10 dicembre 2021. Questo primo vertice è stato ideato per rilanciare la leadership americana contro i due maggiori rivali strategici, Cina e Russia, con lo scopo di ricreare un comune denominatore che possa fungere da base quando si scrivono le regole delle relazioni internazionali. Il mezzo per ottenere ciò è una rinnovata diplomazia, che riposizioni al centro dell’azione gli ideali democratici e tutti quei principi volti a salvaguardare diritti e libertà di fronte al crescente lievitare di molte forme di autoritarismo.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Joe Biden dialoga con i partecipanti al Summit for Democracy, 9 dicembre 2021
DECLINO DEMOCRATICO
Finita la contrapposizione della Guerra Fredda, la tutela dei valori democratici è apparsa contraddittoria anche alla luce dei processi di globalizzazione, sbilanciati verso i soli interessi occidentali, complicati dalla diversità tra le strutture politiche e istituzionali e non sufficientemente smussati dalla reciproca dipendenza economica. È inutile negare che lo scopo finale sia quello di scongiurare una nuova grande convergenza che, dopo cinquecento anni di indiscusso predominio occidentale, riporti il baricentro geopolitico in Asia. Per arginare questo rischio, al termine del Summit, ci si è dati nuovamente appuntamento alla fine del 2022 in presenza, si auspica, per “costruire una comunità impegnata nel rinnovamento dello Stato di diritto globale”.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il premier pakistano Imran Khan insieme al Principe William nell’ottobre 2019. Pur invitato, il Pakistan non ha partecipato al summit organizzato dalla Casa Bianca, probabilmente per non irritare la Cina
I PROBLEMI DELLA DEMOCRAZIA STATUNITENSE
Il rinnovato impegno preso durante il Summit appare mosso non tanto dalla volontà di riaccendere gli ideali democratici, ma di supportare le strategie geopolitiche statunitensi che a fatica bilanciano interessi di sicurezza nazionale con i diritti umani e le libertà. Inoltre si sono inceppati molti meccanismi che garantivano l’efficace funzionamento delle Istituzioni democratiche, sia a causa della pandemia che della crescente polarizzazione, che ha segnato soprattutto la Presidenza Trump, toccando l’apice con l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Le modalità con cui si è svolto il disimpegno in Afghanistan, sotto la nuova Presidenza Biden, hanno messo in luce le criticità della politica americana, segnata da profonde dicotomie sia all’interno (tensioni razziali, declino della coscienza civica, crisi di fiducia nei media, polarizzazione dei processi politici) sia in politica estera, soprattutto per la difficoltà di cementare gli alleati tradizionali con strategie non ben definite (dall’Afghanistan al Mar Nero, all’Asia Centrale fino al Nord Africa). Questa realtà appare infatti il frutto di una sempre più stridente contraddizione tra intenti geopolitici e ambigua difesa dei valori sbandierati, piegati sovente di fronte ai dettami economici. In esito a tutto ciò gli Stati Uniti sono stati collocati, per la prima volta, tra le democrazie in regresso dall’Istituto Internazionale per la Democrazia.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – La commemorazione del primo anniversario dell’assalto a Capitol Hill, 6 gennaio 2022
LA DEMOCRAZIA POPOLARE INTEGRALE CINESE
Il Summit sulla democrazia ha, alla fine, dato modo alla leadership di Pechino di elaborare, per la prima volta, una narrazione credibile sulla democrazia, con cui difendersi nell’agone internazionale, stigmatizzando i sistemi occidentali come difettosi, in quanto non idonei a risolvere i problemi. In un recente libro bianco intitolato Cina: democrazia che funziona, pubblicato dal Consiglio di Stato, sono stati messi in evidenza i risultati di governance del Dragone. Il Presidente della RPC Xi Jinping ha sostenuto il valore universale della democrazia, nella visione cinese di “democrazia popolare integrale” che “funziona” in quanto ha consentito a 700 milioni di cittadini di uscire dalla povertà in cui versavano nel 1979, all’avvio delle riforme. I punti fondamentali della governance di Pechino, che ineriscono alla possibilità che il popolo gestisca effettivamente il potere, è un chiaro riferimento a una millenaria tradizione (che tanto appassionò gli Illuministi) che consentiva a tutti i cittadini di avere accesso alle cariche pubbliche, garantendo una competizione equa attraverso controlli efficaci. Questa è la sfida anche della Cina contemporanea, che ha implementato lo stato di diritto, orientandolo ai servizi e combattendo la corruzione. Nell’ottica cinese la democrazia non è quindi legata al solo diritto di voto, ma alla più ampia partecipazione, attraverso la quale realizzare quello che il multipartitismo occidentale non garantisce, estromettendo il popolo dai gangli del potere, dominato dal capitale.
Embed from Getty ImagesFig. 4 – Xi Jinping su un grande schermo durante un programma di notizie serali trasmesso in un centro commerciale di Pechino, 11 novembre 2021
LA COSTRUZIONE DI UNA NUOVA NARRAZIONE
Questa visione sta consentendo al Governo di Pechino di criticare apertamente il Summit, declassando i sistemi democratici a un gioco tra ricchi, che non si curano dei problemi del popolo che, negli States, secondo i sondaggi, appare molto preoccupato della deriva presa dalle proprie Istituzioni democratiche.
Da una parte il sesto plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista, con la terza risoluzione sulla Storia, ha ribadito il ruolo di Mao quale fondatore della nuova Cina e di Deng Xiaoping quale artefice del miracolo economico, ma ha anche incoronato Xi Jinping come nucleo centrale, avallando il progressivo distacco della RPC dagli standard di democrazia, libertà e diritti umani che sembravano avviati prima del 2013. L’avvento di Xi Jinping ha segnato un accentramento del sistema, cancellando molte norme che consentivano un certo equilibrio dei poteri, e ha reso pervasive tutte le forme di controllo dell’autorità sulla società che non gode di libertà di parola, non contemplando libere elezioni nemmeno più ad Hong Kong.
D’altra parte “il socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” propone una forma di democrazia alternativa a quella occidentale, che comprime i diritti in favore di una visione più sensibile ai doveri, in cui diritti umani e libertà vengono derubricati per creare un sistema efficace e funzionale, i cui valori fondamentali sono rappresentati dalla prosperità, dal culto della propria civiltà, dall’armonia, da uno stato di diritto diversamente declinato, da un forte patriottismo, da una grande dedizione, da un esaltazione dell’integrità morale e dell’amicizia.
Fig. 4 – Proteste in favore della democrazia ad Hong Kong, settembre 2019
I PRIMI ESITI DEL SUMMIT
Biden, riprendendo con risolutezza la politica del “pivot to Asia”, soprattutto dopo la deriva di Hong Kong, conferma lo scudo americano, rafforzato da Quad e AUKUS, per difendere le scelte democratiche di Taiwan, che la RPC considera solo una provincia ribelle, da riannettere al più presto, anche a rischio di un conflitto armato. Di fronte a questa sfida aperta tra Stati Uniti e Cina sarà necessario coniugare i principi di libertà e il rispetto dei diritti umani con una visione più aperta, capace di riparare i propri guasti per superare l’“occhio monocromo”, per percepire le innumerevoli sfaccettature della democrazia come declinata altrove. D’altro canto di fronte alle immense possibilità offerte dalle più avanzate tecnologie, anche la governance di Pechino dovrà impegnarsi in una reale difesa dei diritti umani e delle libertà, stracciate persino sul web col Comment gobbling, per togliere all’Occidente il monopolio della democrazia e rendere appetibile il proprio soft power. Alle Rivoluzioni colorate, evocate all’alba del 2022, succederà la democrazia colorata? Lo auspichiamo…
Elisabetta Esposito Martino
Foto di copertina: “USA-CHINA/” by f097653195021 is licensed under CC BY-SA