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Quo vadis, Iraq?

Prove di “cold diplomacy” tra Stati Uniti ed Iran? Sembrerebbe l’unica certezza fino ad ora in Iraq, dove il clima politico si sta infiammando a seguito delle elezioni nazionali del 7 marzo scorso che non sono riuscite a determinare un governo di unità nazionale e dove emergono sempre più le realtà politiche “autonome” del paese, come il Kurdistan e le regioni meridionali a maggioranza sciita. Le posizioni raggiunte sinora, in grado cioè di formare una coalizione forte all’interno del Parlamento di Baghdad, danno in vantaggio il blocco sciita guidato indirettamente da Teheran.

IL NUOVO GOVERNO – Se avessero immaginato di doversi affidare agli americani per mantenere un ruolo all’interno del complesso mondo politico iracheno, il blocco che si identifica con Allawi, premier uscente dalle ultime elezioni, non avrebbero di certo sostenuto la strategia di distaccamento dagli altri attori nazionali. La situazione post-elettorale irachena evidenzia come le influenze politiche degli “ospiti” americani ed iraniani siano ormai preponderanti, in un paese diviso da fazioni confessionali ed etniche. A distanza di due mesi dal responso delle urne, il partito Iraqiya guidato da Allawi non è riuscito a raggiungere la maggioranza necessaria in parlamento e si ritrova costretto a dialogare con le altre formazioni antagoniste. L’attuale contesto politico sta favorendo perciò il blocco sciita rappresentato dall’ex premier Nuri al Maliki e dalla coalizione Iraqi National Alliance (INA); nelle settimane scorse l’ex premier e alcuni rappresentanti dell’INA si sono recati a Teheran per delineare un’eventuale alleanza tra i due blocchi. Ma dal summit sono emerse posizioni ancora troppo distanti per determinare un’alleanza tra i due schieramenti, e in questo caso la supervisione iraniana è risultata quanto mai fondamentale nel tentativo di ricucire parzialmente i rapporti tra Maliki ed una parte consistente del gruppo islamico, rappresentato dal leader ultra conservatore Moqtada al Sadr (nella foto in basso) che ha ottenuto circa un quarantina di seggi, sui 70 in totale della coalizione.

SCIITI E SUNNITI – In un recente sondaggio, condotto dalla Pechter Middle East Polls di Princeton su un campione di 3000 persone di confessione sciita, il 18% degli intervistati risulta favorevole ad un’influenza iraniana nella politica del paese, mentre il 43% vede in maniera negativa un inclusione di Teheran negli affari interni iracheni. Ma l’influenza iraniana in Iraq rimane indiscussa, grazie anche ai legami economici per la ricostruzione del paese che le conferiscono un ruolo di prim’ordine nel sistema politico iracheno. C’è chi parla poi di una crescente disillusione tra le fila dei sunniti che, grazie alla vittoria mutilata di Allawi e alle promesse fatte dagli americani, speravano di ottenere posti chiave nel prossimo governo. I “gruppi del risveglio” sunniti in passato hanno collaborato con l’ex premier Maliki e con gli americani per la stabilità e la sicurezza di alcune regioni tra le più violente del paese, contribuendo in maniera determinante al declino di al Qaeda in provincie come al Anbar. Ma ora, alla luce delle nuove alleanze tra gli sciiti, considerando le posizioni attendiste del blocco curdo, sembra essere rimasto davvero poco spazio per la componente sunnita. Qui, secondo diversi analisti, dovrebbe uscire allo scoperto il ruolo degli Usa, incentrato nel cercare un compromesso tra le parti, con un atteggiamento di basso profilo per evitare accuse di influenze esterne nel processo politico necessario a formare il nuovo governo.

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LE POSIZIONI DEI CURDI – Tra i due litiganti, il terzo gode. Il ruolo strategico del Kurdistan è un dato di fatto. La regione autonoma in questo periodo è riuscita ad ottenere diversi successi in ambito diplomatico ed economico, che le conferiscono un ruolo di primo piano nel paese ed un riconoscimento internazionale molto importante. Il governo regionale del Kurdistan (Krg), in virtù delle conquiste fatte di recente, ha concluso un accordo sulla questione petrolifera; questo prevede che tutti i proventi petroliferi vengano consegnati alla Iraq's State Oil Marketing Organisation (SOMO), mentre il governo iracheno sarà responsabile del pagamento delle spese di estrazione nella regione autonoma. Sul piano diplomatico, il Kurdistan iracheno sta stringendo diverse partnership con gli altri attori regionali, Turchia ed Iran in primis, seguendo quella politica autonomista, rispetto al governo centrale di Baghdad, che la contraddistingue già da diversi anni. L’attuale situazione di incertezza politica sta incrementando il potere del Krg e molti esperti già parlano di futura indipendenza, ipotesi non del tutto lontana considerando il valore strategico che detiene la regione autonoma.

IL “BIG GAME” REGIONALE – Sul piano macro-regionale, molti paesi dell’area hanno interessi politici ed economici nell’influenzare il processo politico interno in Iraq. La Turchia è il primo partner commerciale del nord curdo, l’Iran grazie al suo “vincolo confessionale” ha un rilevante peso politico e la Siria, con la sua comunità di esuli iracheni, difende gli interessi della minoranza sunnita. Queste componenti possono dare un parziale quadro del contesto geopolitico, ma dal “gruppetto” non si possono tralasciare gli Usa che hanno un mandato in scadenza, per quanto riguarda l’accordo SOFA, e dovranno necessariamente rivedere la loro politica di influenza in Iraq nel tentativo di contrastare il predomino iraniano nella regione, spina nel fianco dei paesi del Golfo, storicamente alleati americani. Rebus geopolitico.

Luca Bellusci

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