In 3 sorsi – Il magistrato paraguaiano Marcelo Pecci è stato assassinato mentre si trovava in vacanza in Colombia. L’ordine di morte sarebbe giunto dal clan Insfran, ma la manovalanza usata proverrebbe dalle file dei paramilitari.
1. UN OMICIDIO PREVENTIVO
Ci sono i paramilitari del clan del Golfo dietro l’omicidio del magistrato paraguaiano Marcelo Pecci. È questa l’indiscrezione che sta circolando negli ambienti investigativi di Asunción dopo la morte di Pecci, avvenuta nel tardo pomeriggio del 10 maggio vicino alla spiaggia di Barù, sulla Costa caraibica colombiana, per mano di due sicari. Pecci era il procuratore responsabile nella maxi inchiesta “A Ultranza“, deflagrata nel mese di marzo. Quest’indagine ha stretto il cerchio sul clan Insfran, famiglia della città di Curuguaty che inviava decine di partite di cocaina dalla Bolivia al Belgio attraverso il porto fluviale di Villeta, a sud di Asunción. La droga veniva pagata grazie a una serie di imprese fittizie paraguaiane che a loro volta si appoggiavano a un sistema di cooperative, le quali erano incaricate di riciclare il denaro incassato. Nelle carte dell’inchiesta era finito anche Juan Carlos Ozorio, deputato del Partido Colorado intercettato mentre parlava al telefono con un esponente del gruppo criminale brasiliano Comando Vermelho. Al Ministerio Publico di Asunción non risultano contatti tra il clan Insfran e criminali colombiani, però non c’è dubbio che le indagini di Pecci avessero infastidito gli uomini di Miguel e José Insfran. È proprio il duro colpo subito dal clan a far sospettare che il clan stesse progettando di eliminare il magistrato lontano da occhi indiscreti. Una sorta di omicidio preventivo.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – La Ministra degli Esteri colombiana Martha Lucia Ramirez ha incontrato il Presidente del Paraguay Mario Abdo Benítez la settimana seguente l’omicidio di Marcelo Pecci.
2. IL RUOLO DEI PARAMILITARI
L’assassinio Pecci cade nel mezzo di una tempesta perfetta. Come ai tempi della guerra con le FARC, infatti, la Colombia è stretta d’assedio: da un lato gli sgoccioli di una campagna elettorale che potrebbe portare all’elezione del primo Presidente socialista della sua storia e dall’altro il paro armado indetto dal clan del Golfo. Per protesta contro l’estradizione negli Stati Uniti del boss Otoniel, catturato nell’ottobre del 2021, i paramilitari hanno annunciato una sorta di lockdown di quattro giorni nel dipartimento di Antioquia: nessuno può uscire di casa, andare a lavorare o percorrere le principali strade della regione. Una tecnica già utilizzata dalla guerriglia dell’ELN a febbraio di quest’anno in varie aree del Paese. Finora sono state segnalate 138 comunità costrette al confinamento, 26 strade bloccate e 180 veicoli dati alle fiamme, tra cui camion e autobus. Nel caos che domina larghe fette della Colombia le Autorità locali non si erano nemmeno accorte che Pecci era entrato nel Paese per trascorrere qualche giorno di vacanza assieme alla moglie, motivo per cui non gli era stata assegnata una scorta e non era stata trasmessa alcuna informazione al distaccamento della Policia Nacional di Cartagena. Non è da dimenticare che lo scorso 6 maggio le stesse Forze dell’Ordine avevano segnalato la presenza di esponenti del clan del Golfo in città. Essendo la spiaggia di Barù situata in una zona di difficile accesso da Cartagena è molto probabile che i sicari paraguaiani si siano appoggiati agli uomini di Otoniel per muoversi in quel territorio e per acquistare la pistola usata per uccidere Pecci. D’altronde le stesse carte dell’inchiesta “A Ultranza” confermano che nel 2021 José Insfran si è recato in Colombia per partecipare a un evento religioso, poiché ufficialmente è un pastore della Chiesa evangelica fondata proprio da lui a Curuguaty.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – L’esercito colombiano presiede la strada d’accesso alla regione di Urabà, il territorio sottoposto al “paro armado” da parte del clan del Golfo.
3. CHI STA INDAGANDO?
Delle indagini si sta occupando la Policia Nacional, mentre due magistrati paraguaiani sono stati inviati in Colombia per acquisire tutti gli elementi in possesso delle Autorità locali, in modo da aprire un fascicolo anche in Paraguay. Il primo passo sarà comparare il volto di uno dei sicari, ripreso da una telecamera a circuito chiuso a Barù, con gli esponenti del clan Insfran schedati. Per il momento resterà aperto anche il filone colombiano dell’inchiesta, poiché in base alle prime testimonianze sembra che uno degli aggressori avesse il tipico accento della costa caraibica. Fonti interne alla Procura di Asuncion affermano, invece, che i sicari non parlavano in colombiano stretto.
Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente.
Soprattutto per le mafie.
Mattia Fossati
“Fracturado el clan Úsuga” by Policía Nacional de los colombianos is licensed under CC BY-SA