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Ucraina, viaggio nella guerra (II): speranze e divisioni

Analisi Seconda parte di un lungo reportage dall’Ucraina sudoccidentale. Nonostate le apparenze, il Paese non è unito e ci sono diversi punti di vista sulla crisi in corso e sulla guerra. Ma c’è anche chi continua a investire e ad agire perché il Paese non muoia.

La prima parte del reportage è qui.

LA FERMEZZA DI OLGA

Olga lavora all’Università di Odessa, dove insegna matematica. Siede in un caffè del centro e spiega perché ha deciso di rimanere in Ucraina: “Non ho più vent’anni, quasi il doppio… Non mi va di andare altrove come profuga e ricominciare tutto daccapo. È dura qui, in Ucraina, ma è dura anche in Germania. La mia famiglia, inoltre, è rimasta qui, mio padre, mia madre, i miei fratelli. Ci facciamo coraggio a vicenda. Quando è caduta la prima bomba, il 24 febbraio, e la casa ha tremato, ci siamo ritrovati tutti in cortile, parenti e vicini e ci siamo abbracciati. In quel momento, ho capito di non essere sola e ho deciso di restare”. Alla domanda su come veda la situazione attuale e cosa pensi del Presidente Volodymyr Zelensky, Olga risponde in maniera chiara e decisa: “Siamo vittime di un’aggressione e dobbiamo combattere. Non possiamo permetterci di lasciare ai russi neanche un metro del nostro territorio. Zelensky è maturato molto da febbraio a questa parte; è diventato un leader. Non so se sia merito suo o del team che lo supporta e con cui lavora. In ogni caso, è il nostro Presidente. Il Presidente di tutti gli ucraini. Scrivi, scrivi sui tuoi giornali che l’Ucraina è unita, che l’Ucraina è finalmente un Paese senza rotture interne”.

Fig. 1 – Sacchi di sabbia per le strade di Odessa / Foto: Christian Eccher

L’AMAREZZA DEL PROFESSORE

Non tutti condividono le parole di Olga. Nel quartiere popolare Moldavanka, che è l’anima di Odessa, in una casa a due piani con un rigoglioso giardino interno, il Professor T. sta preparando le valigie. Domani partirà per la Romania, dove lo aspettano degli amici che dalla frontiera lo porteranno in un paese vicino a Galați, dalla moglie e dai figli, fuggiti già nel febbraio scorso. “Olga è una mia cara amica – dice il Professore – ma vive nel Paese dei Balocchi. Io, purtroppo, vivo in Ucraina. Chi, come me, sosteneva e sostiene che bisogna mettersi d’accordo con i russi per evitare la catastrofe, rischia il carcere. Per questo me ne vado”. Il Professore ha ricevuto una chiamata da amici che lo hanno messo in guardia: la polizia lo vuole arrestare, ha 48 ore per lasciare Odessa. “Il problema è che l’Ucraina non ha un fine bellico preciso: cosa vogliamo fare? Distruggere la Russia? Impossibile. Riconquistare la Crimea? Non ci credono neanche i bambini dell’asilo. Ormai è tardi, la frittata è fatta. Io me ne vado, non so se tornerò nella mia Moldavanka”. Alla domanda su quale sarebbe stata la strada giusta da seguire, il Professore risponde: “Innanzitutto, la guerra è cominciata nel 2014. In principio era solo nel Donbass. Noi, a Odessa, abbiamo fatto finta di niente, convinti che i cannoni qui non avrebbero mai sparato. La guerra è sempre altrove, per 8 lunghi anni l’abbiamo ignorata. Dopo Maidan, Poroshenko ha vietato l’uso della lingua russa nei luoghi pubblici. Io, nel Liceo dove lavoro, ho continuato a parlare russo, nonostante sia ucraino. La mia linguamadre è il russo. Sono stato ripreso più volte dal Preside, dato che alcuni genitori si sono lamentati. Guarda caso, a lamentarsi erano sempre i genitori degli alunni bocciati. Ho votato Zelensky perché aveva promesso di abolire questa assurda legge. Non l’ha fatto. Perché? Andateglielo a chiedere voi giornalisti. Il 24 febbraio è cominciata la guerra. Il 25 io ho scritto un commento su un giornale in cui sostenevo che l’Ucraina doveva assolutamente mettersi d’accordo con Mosca per evitare morti civili e per scongiurare la distruzione del territorio ucraino. Lo avevo già sostenuto nel 2014. Non sono filorusso, ho studiato però la Storia e so cos’è la diplomazia. Risultato? Ho perso il lavoro e mi hanno accusato di essere un agente di Putin. Spia di colui che ho più volte e chiaramente definito un vile aggressore, che adesso bombarda casa mia. Ormai la guerra è cominciata e per quelli come me, quelli del compromesso, non c’è più spazio. Me ne vado. Spero solo che la mia Moldavanka rimanga in piedi. Non doveva andare così. Abbiamo sbagliato noi e hanno sbagliato i russi.”. Alla domanda su come possa lasciare il Paese pur avendo solo 45 anni, il Professore risponde con un sorriso sornione: “Vieni dalla Serbia, vero? Fatti spiegare da chi era in Serbia negli anni Novanta cosa si fa in un Paese corrotto se non si vuole andare in guerra o in carcere”. Il Professore ha anche dubbi sul modo di condurre le operazioni belliche da parte degli ucraini: “L’esercito ha cancellato il nome delle vie in centro a Odessa perché, nel caso in cui i russi sbarchino in città, si perdano nel dedalo delle strade del centro. Come se i nemici non avessero un GPS, o un comune smartphone… C’è molta ingenuità da parte dei nostri comandanti, e questo mi preoccupa. In ogni caso, sono tanti a pensarla come me. La gente però ha paura, non parla perché c’è la legge marziale. Si vive nel terrore. Quale democrazia, quale libertà di parola!”. Il sole cala su Odessa e Moldavanka. Lontano, il boato di un’altra, ennesima esplosione.

Fig. 2 – Serpneve, vicino al confine con la Moldova / Foto: Christian Eccher

SERPNEVE E TARUTINO

A Serpneve, un paese al confine con la Moldova, vive Svetlana Kruk. Alta, bionda, elegante e raffinata, Svetlana è la discendente di una famiglia tedesca del paese: una di quelle che aveva fondato Serpneve nel ‘700, quando il territorio, liberato dai turchi e annesso all’Impero russo, fu colonizzato da contadini e artigiani provenienti dai territori del Danubio tedesco e dell’Impero austroungarico. Svetlana ha aperto un albergo, molti anni fa, e con i soldi ricavati ha comprato le case vecchie e cadenti di Serpneve e della vicina Tarutino. Ha anche acquistato terreni incolti e li ha fatti fruttare. Nelle abitazioni, che nel corso del tempo ha ristrutturato, ha dato vita a osterie, agriturismi, ostelli per studenti di etnologia che vengono da queste parti a studiare le tradizioni dei più di 100 popoli che abitano il Buzhak. Metà paese lavora per Svetlana, la quale ha il merito di aver fatto letteralmente rinascere il paese, anche grazie all’aiuto di Natanel Riss, un imprenditore che vive in Germania e che è originario di questi luoghi. Nonostante la guerra, Svetlana va avanti con le proprie iniziative: “È un periodo duro; le case sono adesso a disposizione dei profughi, ma io vado avanti con i miei progetti. Non posso fermarmi adesso: chi smette di sognare, smette anche di fare progetti e di realizzare le proprie idee. Questa sarebbe la morte dell’Ucraina. Smettere di sognare e di agire è più pericoloso delle bombe dei russi.

Christian Eccher

Foto di copertina: Christian Eccher

Dove si trova

Perchè è importante

  • Seconda parte di un lungo reportage dall’Ucraina sudoccidentale, toccata profondamente dalla guerra con la Russia.
  • Nonostante le apparenze, persistono accese divisioni nella società ucraina sul conflitto e sulle sue origini.
  • Ma ci sono anche persone come Svetlana Kruk che lottano quotidianamente per tenere in vita il Paese e le sue speranze per il futuro.

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Christian Eccher
Christian Eccher

Sono nato a Basilea nel 1977. Mi sono laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. Sono professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero mi dedico al giornalismo. Mi occupo principalmente di geopoetica e i miei reportage sono raccolti nei libri “Vento di Terra – Miniature geopoetiche” ed “Esimdé”.

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