In 3 sorsi – Con l’elezione del nuovo Primo Ministro, Fathi Bashagha, da parte della Camera dei Rappresentanti, la Libia si trova nuovamente divisa tra due fuochi.
1. DÉJÀ-VU
Il 21 dicembre 2021 le presunte elezioni presidenziali in Libia, le prime dal 2014, sono state rinviate a data da destinarsi. Il 24 gennaio, individuato dall’Alta Commissione elettorale nazionale libica (HNEC) come ulteriore occasione per le votazioni, è stato un giorno come un altro. Nessuna elezione all’orizzonte, anzi. A febbraio la Camera dei Rappresentanti con sede a Tobruck, nell’est del Paese, ha indicato Fathi Bashagha come nuovo Primo Ministro. Il 1° marzo si è votata la fiducia ai nuovi 30 ministri del Governo guidato da Bashagha, con una maggioranza di 92 voti su 101. La decisione è stata presa a fronte del fallimento del capo dell’esecutivo, Abdul Hamid Dbeibah, eletto nel 2020 dal Forum di Dialogo politico libico, di portare il Paese alle elezioni. Quest’ultimo, tuttavia, non ha alcuna intenzione di lasciare il proprio posto. Infatti Dbeibah non ha mai riconosciuto la legittimità del nuovo premier, mentre il generale Khalifa Haftar ne ha espresso il supporto. Dejà-vu? Ancora una volta, la Libia è scossa dalla presenza di due Governi in competizione per la guida del Paese. Ex pilota dell’aeronautica e uomo d’affari, Bashagha è stato ministro degli Interni libico dal 2018 al 2021, anni durante i quali ha coltivato preziosi rapporti con la Turchia, la Francia, gli Stati Uniti, ma anche con la Russia e l’Egitto. Inoltre, ha stretto una rete di legami con alcuni dei gruppi armati – che, nel precedente mandato, avrebbe dovuto disfare – cercando di assicurarsi un appoggio per entrare nella capitale. Tentativo, quest’ultimo, avvenuto in maggio, quando le milizie che lo sostenevano si sono scontrate con quelle che appoggiavano il governo di Tripoli. L’azione si concluse con un fallimento, che portò Bashagha e i suoi alleati a ripiegare nella città di Sirte, al centro del Paese, dove insediarono una base governativa temporanea. Tuttavia la conquista di Tripoli rimane tappa fondamentale per assumere la guida dello Stato. Infatti, in luglio, durante un’intervista, l’ex ministro degli Interni ha nuovamente affermato: “Tutte le strade che conducono a Tripoli sono aperte e, a Dio piacendo, la raggiungeremo nei prossimi giorni”.
Embed from Getty ImagesFig.1 – Il Primo Ministro libico Abdul Hamid Dbeibah al primo meeting di governo dopo la cancellazione delle elezioni, 30 dicembre 2021
2. LIBYA TALKS
A fronte di questo quadro le Nazioni Unite, che operano nel Paese tramite la Missione di sostegno in Libia (Unsmil), hanno promosso degli incontri di pacificazione, che si sono tenuti al Cairo a partire dal mese di aprile. A questi hanno partecipato sia i rappresentanti dell’Alto Consiglio di Stato, con sede a Tripoli, sia della Camera dei rappresentanti, con lo scopo di costruire un framework legislativo e costituzionale che possa portare la Libia alle elezioni. Le ultime consultazioni si sono tenute nel mese di giugno, con il raggiungimento di un accordo su 137 dei 195 articoli della potenziale Costituzione. Sui restanti, i rappresentanti dei due Governi non hanno ancora trovato un’intesa. Inoltre, come afferma la Consigliera speciale delle Nazioni Unite in Libia, Stephanie Williams: “Permangono delle divergenze riguardo alle misure che dovrebbero regolare il periodo di transizione fino alle elezioni“. Le tematiche più dibattute sarebbero i criteri per la candidatura alla presidenza. In particolare, la possibilità o meno di permettere al personale militare – vedi Haftar – di proporsi. Il Governo di Tripoli sarebbe contrario, mentre la Camera dei rappresentanti di Tobruck, favorevole. Nel mentre, il Paese è nuovamente scosso da scontri armati, con la forza usata come strumento per risolvere le rivendicazioni di legittimità, da ambo le parti.
Embed from Getty ImagesFig.2 – Centinaia di persone protestano a Tripoli per ottenere nuove elezioni, 5 marzo 2022
3. IN FIAMME
La tensione per le strade e nelle piazze continua a crescere. La crisi politica va di pari passo con la crisi economica, inasprita dai blocchi petrolio. A marzo, la National Oil Corporation libica (NOC) ha dichiarato lo stato di forza maggiore, a causa del blocco dei giacimenti di El Sharara, Zueitina ed El-Feel, che ha di fatto paralizzato le esportazioni di petrolio, provocandone l’impennata del prezzo. Le maggiori conseguenze sono esperite dai cittadini e dalle cittadine: blackout energetici che durano fino a 18 ore al giorno, il costo della vita che aumenta sempre più, la mancanza di cibo che causa code per comprare il pane e la carenza di carburante che gremisce i rifornimenti di benzina. Pertanto, ovunque nel Paese divampano le proteste: da Misurata a Tripoli, da Sirte a Bengasi. Il 1° luglio migliaia di manifestanti hanno assaltato la Camera dei Rappresentanti di Tobruck, dando fuoco ad alcune zone dell’edificio e bruciando dei documenti reperiti al suo interno. Il movimento Beltrees – che in libico significa “da uomini” o “in nome degli uomini” – tra i più attivi nel pianificare le proteste, sostiene che quest’ultime non termineranno fino a che non saranno realizzate le proprie rivendicazioni. Il principale bersaglio è, ancora una volta, la classe politica, giudicata corrotta e inadeguata a governare la Libia. Pertanto, le richieste principali sono la dimissione di tutti i soggetti facenti parte degli organi politici e legislativi e l’organizzazione di nuove elezioni. Tuttavia, tale scenario non lascia presagire nulla di buono, le violenze continuano, la politica e l’economia sembrano paralizzate e le votazioni paiono essere rimandate (in)definitivamente. Solo una cosa rimane: il desiderio, una volta per tutte, di cambiamento.
Elena Rebecca Cerri
Immagine di copertina: “Tripoli” by Ziad FMA is licensed under CC BY