Analisi – Il socialista olandese Frans Timmermans lascia la Commissione Europea per candidarsi alle elezioni politiche nel proprio Paese. Che ne sarĂ del Green Deal europeo, di cui Timmermans incarnava l’anima?
IL PIANO ECONOMICO PIĂ™ AMBIZIOSO DI SEMPRE DELL’UE
Le dimissioni di Frans Timmermans da Commissario europeo cadono in un momento particolarmente delicato per il dossier più importante da lui gestito: il Green Deal europeo. La decisione del socialista olandese di candidarsi alle politiche del proprio Paese, in quella che evidentemente ritiene un’occasione storica per segnare una cesura politica rispetto ai lunghi anni di premierato di Mark Rutte, lascia un vuoto importante a Bruxelles: la figura del vicepresidente della Commissione era praticamente un tutt’uno con il più ambizioso piano di sempre dell’Unione Europea, la riconversione verde dell’economia continentale.
L’inizio di mandato della Commissione presieduta dalla popolare Von der Leyen si era infatti caratterizzato nel 2019 per la forte iniziativa dello European Green Deal, la cui responsabilità era stata affidata al Commissario nonché vicepresidente socialista Timmermans, cementando in tal modo una unità di intenti tra le due principali famiglie politiche europee che testimoniava l’importanza storica del piano. Nell’ottica in cui il Green Deal è stato concepito la riconversione economica del continente non è infatti soltanto questione ecologica, come certa pessima politica vorrebbe lasciar credere; è anche e soprattutto opportunità di posizionamento tecnologico e industriale: nel momento in cui l’umanità sembra destinata (per scelta quanto per necessità ) a compiere una di quelle svolte epocali i cui effetti possono cambiare le sorti sociali ed economiche di interi Paesi (il passaggio da vecchie a nuovi fonti di energia con le conseguenze tecnologiche, sociali ed economiche che ne derivano), essere tra i primi nel mondo a investire nel cambiamento o piuttosto subirlo fa la differenza. La consapevolezza dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici e dallo sfruttamento irresponsabile dell’ambiente sono l’assunto alla base del piano, che si prefigge di far divenire l’Europa “il primo continente a impatto climatico zero” e garantire allo stesso tempo una crescita economica inclusiva.
L’arrivo della pandemia e le sue conseguenze sull’economia hanno contemporaneamente rallentato lo slancio del Green Deal (per l’esigenza di ridurre al massimo e in tempi rapidi gli approvvigionamenti di petrolio dalla Russia si è puntato su altri combustibili comunque di origine fossile, metano in primis), ma anche evidenziato come il ricorso a fonti energetiche alternative e diversi modi di produzione sia indispensabile, anche in termini di autonomia strategica e di sicurezza. Non a caso circa un terzo dei 1.800 miliardi di euro di NextGenerationEU, il grande piano di ripresa post-pandemica, sono legati proprio al Green Deal.
Fig. 1 – Frans Timmermans ha deciso di candidarsi alle elezioni olandesi
LO STATO DELL’ARTE
Ma a che punto è in realtà la realizzazione del piano verde europeo?
Due parti fondamentali sono già state approvate: nel 2021 la Legge sul Clima, che impegna l’UE a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e ad azzerarle entro il 2050, ad aprile 2023 il conseguente pacchetto Fit for 55, che contiene gli elementi concreti per rispettare l’obiettivo del 55%. Inoltre, sempre quest’anno è stata approvata la famosa norma che vieta la vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2035. Nei giorni scorsi il Parlamento Europeo ha votato la versione preliminare della Legge sul ripristino della natura, la cui versione definitiva deve però ancora essere concordata nei prossimi mesi con Commissione e Consiglio dell’UE (trilogo). Ma ci sono ancora pezzi importanti da approvare, come l’Industrial Plan, che riguarda le aziende e dovrebbe essere la versione europea dell’Inflation Reduction Act statunitense, o la riforma del mercato elettrico.
Insomma, molto è già stato fatto, ma importanti atti sono ancora in discussione e i prossimi mesi e anni saranno decisivi per l’effettiva implementazione delle decisioni.
Fig. 2 – Il successore di Timmermans, Wopke Hoekstra
IL CLIMA POLITICO. IL SUCCESSORE
In questo contesto è importante il mutamento avvenuto rispetto al 2019 del clima politico, con maggioranze di destra-centro o populiste al Governo in vari importanti Paesi europei, non ultima l’Italia, che hanno spesso manifestato l’intenzione di ridurre e rallentare la realizzazione degli obiettivi del Green Deal. Gli ideali conservatori, quando non reazionari, di alcune forze politiche attualmente al Governo e la pressione (di natura sia ideologica che sociale) delle basi elettorali delle stesse convergono nel rifiuto di accettare i cambiamenti, anche degli stili di vita e di consumo, derivanti dalla transizione verde: basti citare l’utilizzo prioritario dell’auto visto come diritto di libertà individuale insopprimibile, la contrarietà al finanziamento dei mezzi di trasporto pubblici e alla realizzazione delle strutture per la mobilità alternativa, la resistenza a eventuali obblighi di efficientamento energetico di abitazioni e strutture manifatturiere, la diffidenza nei confronti delle fonti di energia rinnovabili o la loro sottovalutazione, l’ostilità delle forti organizzazioni di agricoltori e allevatori a ogni cambiamento nelle modalità intensive di allevamento e sfruttamento dei terreni.
Il fatto che Timmermans venga rimpiazzato da Wopke Hoekstra non fa ben sperare. Oltre alla sua provenienza dall’industria dei combustibili fossili (è stato manager di Shell), Hoekstra non risulta particolarmente impegnato come politico a favore del raggiungimento della neutralità climatica, a differenza di Timmermans, che si è fatto conoscere come padre del Green Deal e suo convinto sostenitore. In effetti la delega per l’attuazione del Green Deal è stata scorporata dalle competenze del nuovo Commissario e affidata al vicepresidente Maroš Šefčovič, il quale è considerato sì favorevole alla transizione verde, ma anche molto attento alle istanze dilatorie di alcuni settori industriali. Inoltre, proprio il fatto che a Hoekstra non vada il Green Deal sembra confermare che la stessa Von der Leyen non lo consideri la persona giusta per gestirlo. D’altra parte, in quanto Commissario incaricato per l’azione sul clima, sarà lui a dover tradurre in fatti concreti le decisioni prese dal coordinatore Šefčovič, da cui dipende. Insomma, la prima impressione è quella di un’organizzazione delle linee decisorie e di impulso politico poco chiara, suscettibile di generare incertezza e tempi di reazione lenti. Il contrario di quello di cui l’Europa ha bisogno.
Paolo Pellegrini
“Hearing of Frans Timmermans (the Netherlands) – Executive Vice President-Designate – European Green Deal” by European Parliament is licensed under CC BY