In 3 Sorsi – Quale strategia seguire per sostenere le imprese europee contro il neo-protezionismo USA implica risvolti politici che vanno ben oltre l’economia. Allentare i vincoli agli aiuti di Stato o creare un fondo sovrano tramite debito comune non sono scelte neutrali.
1. NEO-PROTEZIONISMO E MERCATO UNICO: NON SOLO ECONOMIA
La discussione sulla risposta dell’Unione Europea all’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense non ha soltanto una portata economica: la decisione sulla strategia da seguire per sostenere l’economia europea a fronte della politica economica neo-protezionista varata dall’Amministrazione Biden ha infatti implicazioni politiche importanti.
In sintesi, l’IRA approvato dal Congresso USA sovvenziona con quasi 370 miliardi di dollari l’economia green statunitense, nell’intento di supportaeer l’industria locale in vari campi delle tecnologie ecosostenibili (auto elettriche, produzione di energie rinnovabili, ecc.), accantonando i principi del liberismo economico tradizionalmente prevalenti nella retorica politica, se non sempre nella prassi legislativa, washingtoniana. Le imprese europee corrono dunque il rischio di essere escluse dal mercato americano o, per evitarlo, saranno incentivate a “emigrare” negli USA, con il conseguente impoverimento del panorama industriale europeo, per di più in settori innovativi.
Anche nell’Unione Europea, di conseguenza, il paradigma del libero commercio viene rimesso in discussione e la “sacralità” del mercato ridimensionata nell’intento di beneficiare l’industria locale e non rimanere indietro nella sfida alla riconversione verde dell’economia, che sarebbe paradossale per il continente che per primo ha lanciato il Green Deal.
Da più parti si è dunque subito sollecitata una risposta forte dell’Europa (nei momenti di difficoltà è a Bruxelles che si guarda) e molti hanno auspicato uno strumento simile a Next Generation EU, ossia nuovo debito comune e investimenti coordinati.
Maggiori dettagli sul Green Industrial Plan presentato dalla Commissione Europea dovranno essere diffusi entro marzo, dopo la conclusione interlocutoria del Consiglio Europeo dello scorso 10 febbraio, che ha confermato le forti divisioni delle capitali europee sulle due opzioni fondamentali: allentamento delle norme in materia di aiuti di Stato e/o fondo sovrano europeo destinato a sovvenzionare la riconversione verde dell’industria continentale.
La decisione finale dipenderà probabilmente non solo dai rapporti di forza economica tra i Paesi dell’Unione europea ma anche (soprattutto?) dal peso politico di ciascuna capitale, oltre che da motivi che vanno al di là delle mere considerazioni economiche. Al punto che anche la direzione istituzionale e politica che l’Ue seguirà nel futuro prossimo potrebbe venire in parte influenzata dalla strategia in discussione.
Fig. 1 – La Presidente della Commissione UE von der Leyen con il Cancelliere tedesco Scholz
2. LE DIFFERENZE CON LA PANDEMIA E GLI INTERESSI NAZIONALI DIVERGENTI
La soluzione di un fondo dedicato, finanziato da debito comune, sembrerebbe la più razionale ed efficace, ma difficilmente vedrà la luce, almeno a breve: più probabile che nell’immediato gli aiuti di Stato prevalgano. La realtà è che la situazione attuale è molto diversa rispetto alla crisi provocata dalla pandemia. Nel 2020 tutti i Paesi europei, chi più chi meno, erano esposti alle stesse difficoltà. Soprattutto, la causa scatenante, il virus, era un elemento “naturale” che aveva colpito tutti in maniera imprevedibile. Oggi la situazione non è la stessa e gli interessi dei Governi europei possono essere schematizzati in tre posizioni distinte.
Da un lato vi sono Paesi dai bilanci tradizionalmente in buona salute e interessati a mantenere un tessuto imprenditoriale “nazionale”: Francia e, soprattutto, Germania puntano all’allentamento delle severe regole Ue sugli aiuti di Stato per poter sovvenzionare con risorse nazionali le proprie imprese, soprattutto quelle più grandi o potenzialmente meno competitive o la cui riconversione è difficile.
Da un altro lato, i Paesi tradizionalmente liberisti e con un’imprenditoria privata più moderna, flessibile e diversificata, in grado di navigare autonomamente sui mercati e che non necessita probabilmente di grandi finanziamenti: sono i Paesi del Nord (vedi Paesi Bassi) e in parte dell’Est.
Infine chi, come l’Italia, vorrebbe aiutare le imprese ma con soldi europei, non avendo i margini di bilancio per finanziamenti autarchici (l’eterna maledizione della sostenibilità del debito pubblico) e temendo l’effetto distorsivo di aiuti pubblici nazionali che darebbero vantaggi competitivi ai Paesi più ricchi.
Fig. 2 – Il tema degli aiuti di Stato è presidiato dal Commissario alla Concorrenza Vestager
3. UN MAGGIOR COORDINAMENTO ECONOMICO IMPLICHEREBBE UNA PIÙ STRETTA INTEGRAZIONE POLITICA
Questa tripartizione di posizioni ci riporta all’eterno problema dell’incompiutezza istituzionale dell’Unione, dove le decisioni fondamentali sono prese dai governi degli Stati membri riuniti nel Consiglio e dove l’unanimità dei consensi si raggiunge in base alla capacità di imposizione delle diverse forze politico-economiche nazionali. Che ciascun Paese guardi ai propri interessi immediati, su un orizzonte temporale che è quello della politica elettorale, è naturale, che questi coincidano nel medio-lungo termine con l’interesse comune europeo è un altro discorso. E qui entra in gioco anche un ragionamento di tipo ideologico-politico. Infatti, come detto sopra, qualcuno non vuole altro debito comune perché non ne ha bisogno o per motivi ideologici, altri perché non vogliono nessun meccanismo che porti a un’integrazione più stretta, né economica né tantomeno politica.
È fondamentale, comunque, che venga almeno evitata la frammentazione del mercato unico e sia mantenuta per quanto possibile quella parità di condizioni (level playing field) che ne è elemento essenziale di funzionamento. Se aiuti di Stato saranno, dunque, è fondamentale che siano autorizzati e implementati con modalità studiate attentamente, in maniera da bilanciarne i possibili effetti distorsivi che sarebbero alla lunga controproducenti per la tenuta dell’economia dell’UE nel suo complesso.
Comunitarizzazione del debito (come fatto con NGEU), politiche fiscali comuni, programmazione e coordinamento delle politiche economiche a livello europeo, sono tutti elementi che caratterizzerebbero un’Unione spinta verso un orizzonte di tipo federale. Il contrario di quella che è al momento attuale la spinta prevalente nelle capitali europee, vuoi per interessi economico-industriali vuoi per alcune posizioni ideologiche sovraniste o comunque favorevoli al metodo intergovernativo. Entro questi fattori condizionanti è stretta la posizione di chi come l’Italia non può permettersi lo stanziamento di grandi risorse di bilancio e al contempo non è politicamente orientata verso forme di integrazione più stringenti.
Paolo Pellegrini
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