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Elezioni in Iran, altro che schiaffo agli USA: affluenza ai minimi storici

In 3 sorsiStando ai dati ufficiali, il 41 per cento degli iraniani aventi diritto di voto ha partecipato alle elezioni per il Parlamento e per l’Assemblea degli Esperti di venerdì 1° marzo. È la quota più bassa dalla nascita della Repubblica islamica.

1. IL FALLIMENTO DI UNA ‘FARSA’

Nella giornata di lunedì 4 marzo sono stati resi noti in Iran i risultati delle elezioni del Parlamento e dell’Assemblea degli Esperti, il collegio formato da 88 membri responsabili della nomina della guida suprema della Repubblica islamica. Dei 290 seggi parlamentari, 245 sono già stati assegnati, mentre per la nomina dei candidati rimanenti occorrerà un ballottaggio, che si terrà tra aprile e maggio, poiché nessuno ha ottenuto almeno il 20 per cento delle preferenze. A mettere le mani sulla maggioranza dei posti in Parlamento sono stati i candidati ultraconservatori, cui spetteranno ben 200 seggi. Se da un lato le fasce politiche più radicali del Paese hanno gridato vittoria (il quotidiano filo-governativo Hamshahri ha commentato il risultato come “uno schiaffo in faccia all’America”), dall’altro riformisti e progressisti, che hanno disertato le urne, hanno posto in risalto il fattore della bassissima affluenza elettorale per mostrare l’inconsistenza delle percentuali di consenso. Stando ai dati emessi dal Governo, solo il 41 per cento della popolazione avente diritto ha partecipato alle elezioni del 1° marzo. È il dato più basso dal 1979, e infrange il record del 42,6 per cento delle elezioni presidenziali del 2020. Secondo Iran International, la cifra dei votanti effettivi sarebbe anche più bassa: è probabile nel computo finale siano incluse schede bianche o nulle (il cui numero non è ancora stato pubblicato), e che una persona abbia esercitato il suo diritto di voto più di una volta, cosa resa possibile dall’assenza di un timbro sulla scheda elettorale. Una “farsa” democratica in piena regola.

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Fig. 1 – Iraniani alle urne per votare i membri del Parlamento e dell’Assemblea degli Esperti, 1° marzo 2024, Teheran

2. UN BOICOTTAGGIO ANNUNCIATO

Un sondaggio eseguito il 28 febbraio dal Gruppo Gamaan su un campione di 28.578 iraniani residenti nel Paese aveva rivelato le intenzioni di voto dei cittadini e delle cittadine in merito alle due elezioni. I dati raccolti mostravano che circa il 75 per cento della popolazione avente diritto non si sarebbe recato alle urne due giorni dopo. La quota di coloro che invece si erano dichiarati favorevoli a votare si aggirava intorno al 16 per cento, circa il 7 per cento si è detto indeciso sul da farsi, mentre un esiguo 2 per cento ha rivelato che avrebbe presentato scheda nulla. In pratica, sulla base delle opinioni ricavate alla vigilia del voto, tre iraniani su quattro avrebbero voltato le spalle all’appuntamento democratico del 1° marzo. Si tratta di una percentuale significativa, indice di un profondo scetticismo popolare nei confronti della leadership al potere. A riguardo, Gamaan ha mostrato che il 59 per cento di coloro che si sono detti contrari a recarsi alle urne ha giustificato l’astensionismo con la motivazione “opposizione al sistema della Repubblica islamica”, mentre il 20,2 per cento dei rinunciatari al voto ha addotto come ragione la “mancanza di libere e reali elezioni” nel Paese.

Fig. 2 – Il grafico del Gruppo Gamaan mostra le intenzioni dei votanti iraniani alla vigilia delle elezioni del 1° marzo (fonte: GAMAAN)

3. LA PIAZZA E IL REGIME

Le elezioni del 1° marzo si sono tenute, dunque, in un clima di grande malcontento popolare. Alla base di questo sentimento diffuso c’è la protesta di molti iraniani, che auspicano la fine della teocrazia e la caduta della Repubblica islamica. Il braccio di ferro tra i dissidenti e il regime è in atto da parecchi decenni, ma ha conosciuto una svolta decisiva nel settembre del 2022, a seguito della morte di Mahsa Amini, una ragazza di origini curde deceduta mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale per “non avere indossato correttamente il velo”. Da quel momento l’Iran è piombato nel caos. In un anno e mezzo, centinaia di manifestanti hanno ricevuto condanne a pene capitali, e gli arrestati sono stati oltre 18mila. E l’occasione delle elezioni per il Parlamento e per l’Assemblea degli Esperti è stata sfruttata dal regime per soffocare ulteriormente le voci della rivolta. Di fatto, la stragrande maggioranza dei candidati apparteneva alla fazione dei conservatori e ultraconservatori (15.200). I riformisti hanno scelto di non presentarsi alle liste, mentre tra i moderati sono stati ammessi un centinaio di rappresentanti.

Alessandro Dowlatshahi

Immagine di copertina:”Freedom for Iran” by matt hrkac is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Il 41% alle urne è la quota più bassa dal 1979: gli iraniani e le iraniane sono scettici e scettiche nei confronti delle possibilità dell’esercizio democratico del voto. Da anni c’è una diffusa insofferenza nei confronti del sistema illiberale della Repubblica islamica.
  • La repressione portata avanti dal regime ai danni delle donne ha generato un clima di tensione nel Paese. Alle proteste dei e delle manifestanti, il Governo ha risposto con esecuzioni capitali e arresti sommari.

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Alessandro Dowlatshahi
Alessandro Dowlatshahi

Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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