Analisi – La politica commerciale americana è sul piede di guerra. Il protezionismo economico di Trump rappresenta una sfida diretta per l’Unione Europea: il rischio di un’escalation commerciale è più che mai concreto, specialmente in settori chiave come l’energia, l’industria automobilistica e la tecnologia. La domanda cruciale è: esiste un margine per una soluzione diplomatica o l’Europa dovrà prepararsi a un periodo di tensioni commerciali con Washington?
LA STRATEGIA TARIFFARIA DI TRUMP: DAZI, DEFICIT COMMERCIALE E RITORSIONI
Con il dichiarato proposito di riassestare il disavanzo commerciale statunitense e proteggere l’industria nazionale, il 45° Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha adottato una politica di dazi e sanzioni destinata a ridefinire gli equilibri economici globali.
Alla base delle politiche economiche di Trump c’è una visione netta e polarizzante del commercio internazionale: gli Stati Uniti, secondo il Presidente, subiscono da decenni pratiche commerciali sleali da parte dell’Unione Europea e della Cina, che impongono tariffe più alte sulle importazioni americane rispetto a quelle statunitensi sui beni esteri.
Uno degli obiettivi chiave della sua politica è quello di ridurre il deficit commerciale con l’UE, che nel 2024 ha raggiunto i 235,6 miliardi di dollari. Per Trump, questa cifra rappresenta non solo un problema economico, ma anche una minaccia politica, simbolo di una vulnerabile dipendenza dalle importazioni straniere.
Le tariffe reciproche sono la risposta più immediata e diretta a questa percezione di squilibrio, dirette proprio a riequilibrare le condizioni di accesso al mercato statunitense. In pratica, gli Stati Uniti imporrebbero dazi equivalenti a quelli applicati dall’Unione Europea sui prodotti americani. Una simile strategia, tuttavia, potrebbe scatenare un effetto domino con conseguenze imprevedibili per entrambi i blocchi.
La minaccia appare più concreta che mai: il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato l’intenzione di imporre tariffe del 25% contro l’UE, sostenendo che il progetto europeo sia stato concepito con l’unico scopo di danneggiare gli interessi americani.
Tra i settori più esposti alla politica protezionista di Trump spicca l’industria automobilistica.
Attualmente, l’Unione Europea applica un dazio del 10% sulle auto importate dagli Stati Uniti, mentre Washington impone un’aliquota del 2,5% sulle vetture europee. Per Trump questa asimmetria rappresenta un’ingiustizia da correggere con una riforma tariffaria che potrebbe incidere pesantemente sulle case automobilistiche tedesche, già messe alla prova dalle tensioni con Pechino.
Anche il comparto tecnologico risulta particolarmente vulnerabile. L’Amministrazione americana ha annunciato l’entrata in vigore, a partire dal 2 aprile, di dazi del 25% sulle importazioni di automobili, semiconduttori e farmaci. Sebbene i dettagli della misura restino ancora incerti, è evidente che le nuove tariffe peseranno in modo significativo sulle industrie asiatiche, in particolare sui colossi dei chip come Samsung e SK Hynix, le cui strutture produttive si trovano perlopiù in Asia.
Per quanto riguarda l’industria farmaceutica, gli USA si confermano il principale mercato di destinazione a livello globale. Secondo i dati commerciali statunitensi, nel 2023 gli Stati Uniti hanno importato farmaci e prodotti correlati per oltre 176 miliardi di dollari, consolidando il proprio ruolo di primo acquirente mondiale. Tra i principali fornitori figurano le aziende europee, indiane e cinesi, che potrebbero subire le conseguenze più pesanti delle nuove misure tariffarie. Nel 2023, infatti, la Germania ha rappresentato il 10,7% delle importazioni farmaceutiche, l’India il 6,2% e la Cina il 3,4%.
L’effetto combinato di queste restrizioni potrebbe indurre le aziende a delocalizzare la produzione negli Stati Uniti per aggirare i dazi, alterando pericolosamente le dinamiche delle catene di approvvigionamento globali.
A queste misure si aggiungono restrizioni mirate nel settore agroalimentare, ambito in cui Washington denuncia da tempo la rigidità delle regolamentazioni europee. Il risultato è un’intensificazione delle tensioni commerciali tra Washington e Bruxelles, che rischiano di tradursi in una guerra commerciale su vasta scala.
Tuttavia si osserva come l’approccio aggressivo degli Stati Uniti rifletta una strategia che va oltre la semplice protezione delle proprie industrie e si intrecci con obiettivi di politica estera e sicurezza nazionale. La decisione di Trump di imporre dazi addizionali su Canada e Messico, successivamente sospesi per un mese in cambio di concessioni su immigrazione e traffico di stupefacenti, evidenzia il carattere negoziale delle misure tariffarie, utilizzate come strumento di pressione geopolitica. Un’altra dimostrazione di questa strategia è l’introduzione, lo scorso 4 febbraio, di nuovi dazi del 10% sulle importazioni dalla Cina, misura che ha immediatamente provocato una reazione da parte di Pechino. In risposta il Governo cinese ha infatti attuato una serie di contromisure, tra cui dazi ritorsivi e restrizioni sull’export di terre rare, risorse fondamentali per l’industria tecnologica.
Fig. 1 – Ursula von der Leyen ha promesso che l’UE risponderà ai nuovi dazi imposti dagli USA
LE CONTROMISURE DELL’UE: DIPLOMAZIA O GUERRA COMMERCIALE?
L’Unione Europea, fedele alla propria tradizione diplomatica e multilaterale, è intenzionata a scongiurare un’escalation delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti, senza però sacrificare la propria sovranità economica.
Per questo, il Commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič, si è recato a Washington con un “package of cooperation” pensato per smorzare le frizioni transatlantiche. Alla base c’è il principio di reciprocità, che Bruxelles è disposta a garantire, ma solo in un’ottica di equilibrio bilaterale, rifiutando qualsiasi imposizione autoritaria da parte degli Stati Uniti.
Uno dei settori su cui l’UE potrebbe offrire margini di apertura è quello energetico, con un incremento delle importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. Tale concessione risponde a una richiesta esplicita di Washington, che punta a rafforzare il proprio ruolo di fornitore energetico in Europa riducendo la dipendenza del continente dal gas russo. Eppure, questo tentativo di distensione non è privo di ostacoli: in Europa permangono forti resistenze, soprattutto da parte della Germania, che teme i costi elevati di un simile riequilibrio energetico. Inoltre, la prospettiva di sussidi pubblici per incentivare il gas americano solleva perplessità, in quanto potrebbe contraddire gli impegni europei sulla transizione ecologica.
Un’altra ipotesi discussa è la riduzione dei dazi europei sulle auto americane, un’opzione sostenuta da alcuni grandi gruppi automobilistici come BMW. Un simile provvedimento si scontrerebbe però con le regole del commercio internazionale, che impongono di estendere eventuali agevolazioni a tutti i partner commerciali, inclusa la Cina, limitando così la possibilità di accordi bilaterali privilegiati con gli Stati Uniti.
Di fronte alla prospettiva di una guerra commerciale, la Commissione europea ha adottato una posizione ferma, ribadendo che qualsiasi azione ingiustificata da parte di Washington non rimarrà senza risposta. L’UE non intende piegarsi alle pressioni statunitensi, consapevole che una spirale di tariffe e contromisure rischierebbe di danneggiare entrambe le economie. Ursula von der Leyen ha sottolineato come i dazi punitivi rappresentino un ostacolo alla crescita e un fattore di instabilità per i mercati globali.
Nel suo intervento alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, la Presidente della Commissione ha evidenziato l’importanza di una cooperazione transatlantica che affronti sfide comuni, come la concorrenza sleale della Cina e l’aggressività della Russia, piuttosto che battersi in una guerra a colpi di dazi tra alleati. Secondo von der Leyen, le guerre commerciali non solo non offrono vantaggi economici concreti, ma rischiano di innescare una pericolosa corsa al ribasso a livello globale, alimentando l’inflazione e mettendo sotto pressione le imprese europee e americane.
Già in passato l’UE ha dimostrato di essere pronta a reagire con misure di ritorsione. Durante il primo mandato di Trump, Bruxelles impose tariffe su prodotti simbolo dell’export americano, tra cui bourbon, motociclette Harley-Davidson e jeans. Anche questa volta, l’UE ha avvertito che potrebbe applicare tariffe fino al 50% su prodotti statunitensi per un valore di 4,8 miliardi di euro. Le contromisure potrebbero includere restrizioni su settori sensibili per Washington, come la regolamentazione dei colossi tecnologici americani e la tassazione delle loro attività nel mercato europeo. Se i negoziati non dovessero portare ad una soluzione, Bruxelles potrebbe intensificare le proprie azioni difensive, sfruttando il nuovo strumento anti-coercizione o il regolamento UE aggiornato per le dispute commerciali.
Le prime reazioni dei mercati finanziari europei già suggeriscono un aumento dell’incertezza: il comparto automobilistico, in particolare, sta registrando un calo significativo in Borsa, segnale che gli investitori temono un forte impatto delle tariffe sulle catene di approvvigionamento. Parallelamente, l’inasprimento dei dazi potrebbe innescare effetti collaterali imprevisti: in alcuni Paesi colpiti dalla politica protezionistica americana si stanno infatti diffondendo iniziative di boicottaggio contro i prodotti statunitensi. In Canada, ad esempio, alcuni rivenditori hanno già rimosso dagli scaffali liquori prodotti negli Stati Uniti, in una sorta di risposta spontanea che dà voce al malcontento verso le politiche di Trump.
Fig. 2 – Donald Trump ha affermato che l’UE “è stata creata per fregare gli USA”
LA VIA MAESTRA È DIVERSIFICARE?
Per fronteggiare l’instabilità generata da questa situazione, l’Unione Europea potrebbe accelerare la diversificazione delle sue relazioni commerciali, rafforzando accordi con economie emergenti come l’India e l’America Latina. Tuttavia, più in generale, la capacità di Bruxelles di giocare un ruolo autonomo nello scenario globale dipenderà dalla sua determinazione nel difendere i suoi valori senza cedere alle pressioni protezionistiche imposte dagli Stati Uniti. In questa sfida, il futuro dell’economia europea si fonda sulla sua capacità di coniugare sicurezza economica e libero mercato, in autonomia rispetto alle scelte politiche e strategiche di una Casa Bianca sempre più incline a usare il commercio come arma geopolitica offensiva.
Filomena Ratto
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