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Ci sarà la guerra in Europa?

Analisi Per l’UE la realizzazione che l’anello chiave del dispositivo NATO (gli USA) potrebbe non essere così affidabile come in passato sta portando a una rivalutazione della necessità di aumentare le spese militari e in generale l’intera architettura di difesa. Ma esiste davvero il rischio di guerra contro la Russia per l’Europa?

Il recente sconvolgimento dei tradizionali equilibri transatlantici causato dalle dichiarazioni del Presidente USA Donald Trump e dei suoi collaboratori sta facendo nascere preoccupazioni serie in Europa e tra gli alleati circa il futuro dell’intera sicurezza europea. Di fronte a Stati sempre più assertivi (Russia e Cina) che ripropongono il principio del diritto del più forte al posto del diritto internazionale, il normale contrappeso delle democrazie occidentali risulta oggi più debole.
Per quanto riguarda l’Europa, può questa nuova realtà portare a una guerra con la Russia nel breve-medio termine? Serve evitare facili allarmismi, ma la risposta non può essere un semplice sì o no.
L’obiettivo strategico della Russia rimane la divisione dell’Europa in sfere di influenza tra USA e Russia, smantellando quell’architettura di sicurezza che di fatto ha allontanato dalla sua orbita gran parte dell’Europa Orientale. Riportare sotto la sua influenza (se non sotto il suo controllo, almeno indiretto) Paesi ex-sovietici rimane uno degli obiettivi a lungo termine per il Presidente russo Vladimir Putin e i suoi stretti collaboratori. Può questo portare a nuovi tentativi di prendere il possesso di stati confinanti – e in questo modo causare una nuova guerra aperta – così come ha provato a fare con l’Ucraina?
Per questa valutazione, immaginiamo che il conflitto in Ucraina termini o comunque veda realizzarsi una tregua significativa entro 1-2 anni.
Due sono gli aspetti da considerare: volontà politica e capacità militare.

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Fig. 1 – Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il Presidente USA Donald Trump discutono nello studio ovale della Casa Bianca

VOLONTÀ POLITICA

Le ambizioni di Putin non si fermano all’Ucraina, Trump e sostenitori appaiono freddi riguardo alla sicurezza europea e in caso di rischi o minacce non è detto diano alcuna mano per difenderla. O almeno questo non può più essere dato per scontato.
Esiste in generale una congiuntura negativa su vari fronti per i Paesi europei. Ci riferiamo ad esempio alle posizioni dei grandi gestori di tecnologie “social”, che si sono schierati sulle posizioni di Trump: questo verosimilmente orienterà anche le informazioni che circoleranno online, con effetti sfavorevoli sull’opinione pubblica che già ora, in molti casi, fatica a comprendere la natura delle sfide internazionali in ambito di difesa e sicurezza – e cosa questo comporti in termini di capacità e spesa.
Da un lato la distruzione della coesione transatlantica, unita a una debolezza politica e militare europea, funzionano da elementi che possono incoraggiare la Russia a testare la risposta EU in particolare nei Paesi Baltici, i più esposti. Era in fondo il piano originario anche per l’Ucraina: prenderla mentre l’Occidente era militarmente non pronto e incapace di reazione immediata. Sappiamo però che questo non si è verificato.
In generale, la necessità di assicurare che non si causi nuovamente altrove lo stesso conflitto prolungato suggerisce che Putin non voglia lanciare una guerra nel breve-medio periodo. Se valutiamo il suo modus operandi, esistono altri passi da compiere prima e che anzi rendono più plausibile operare in maniera differente: a lui basta convincere gli USA che si può spartire l’Europa, riallacciare legami con industrie e politici europei per dividere l’opinione interna europea ancora di più e poi, successivamente, vedere come portare nuovamente dalla sua parte i Paesi che gli interessano. Tecnicamente non ha bisogno di invadere nessuno, può semplicemente lavorare per togliere progressivamente il supporto esterno USA e di altri Paesi europei chiave, e poi giocare su divisioni e influenza.
In generale è difficile che la Russia possa intervenire militarmente senza credere che la reazione sia debole o nulla, preferendo piuttosto l’insieme di misure sotto la soglia del conflitto aperto: sovversione, sabotaggi, infiltrazioni.
Il rischio di guerra esiste solo nel caso venga compiuta una mossa eccessivamente aperta basata su presupposti sbagliati, e l’Europa reagisca invece rapidamente come in Ucraina… per questo la deterrenza europea deve essere credibile, proprio per sconsigliare una tale condotta.

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Fig. 2 – Il presidente russo Vladimir Putin

CAPACITÀ MILITARE

Ogni guerra aperta necessita di un apparato militare adeguato e la principale conseguenza della guerra in Ucraina è che la Russia deve ricostituire le Forze Armate (FFAA), un processo che in realtà è già in corso ma riceverebbe un impulso maggiore una volta terminato il conflitto. Girano molte ipotesi circa quanto tempo servirebbe. Senza avere la palla di cristallo, possiamo solo valutare alcuni aspetti.
Se valutiamo con i tempi di un addestramento tipico, il processo non richiede molti anni. Secondo il RUSI, i russi hanno in Ucraina già 580mila uomini (poco oltre 600mila secondo fonti francesi). Oltre un milione di militari di altre armi, coscritti e forze ausiliarie sono invece in patria.
Mosca ha quindi già una forza considerevole sotto le armi, tra truppe un po’ più esperte a reclute meno addestrate ad elevatissima mortalità per il modo in cui sono impiegate.
Il livello di qualità è dunque molto vario: esistono truppe veterane e con grande esperienza a causa dei tre anni di conflitto e una massa di reclute e volontari con ridotti livelli di addestramento, per quanto comunque capaci di operare nelle tradizionali offensive ad alte perdite che osserviamo in Ucraina.
Immaginando qualcuno che debba partire da zero o quasi, possiamo ipotizzare (secondo vecchi standard russi pre-guerra) tra 4 e 6 mesi per acquisire capacità di base. Utilizzando i parametri normalmente usati per i coscritti (che stanno sotto le armi 2 anni), generalmente è solo nel secondo anno che possono essere considerati pronti per compiti complessi, in particolare quelli che vengono addestrati come sottufficiali. Nel caso dei coscritti – anche sottufficiali – però la fine della ferma implica anche la perdita della loro esperienza se non firmano un contratto per rimanere.
Possiamo quindi ipotizzare un paio di anni per avere una forza almeno in parte addestrata, con un cuore di veterani che possono essere definiti “battle-hardened”.

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Fig. 3 – Guerra di trincea in Ucraina

Oltre a questo, molto dipende dal modello di esercito che intendono ricostruire. La normale dottrina russa è applicata solo parzialmente nella guerra attuale, hanno dovuto adattare tantissimo e sono spesso tornati a procedure molto semplici, ma efficaci. Come gli Ucraini, sono stati in grado di adattarsi alle condizioni mutevoli, in particolare nell’uso di tattiche di fanteria su piccola scala, droni e guerra elettronica. Hanno invece in gran parte perso o messo da parte la tradizionale dottrina di guerra meccanizzata su larga scala a causa delle perdite subite e delle difficoltà pratiche nell’impiegarla.
In un recentissimo documento, il centro studi americano RAND ha studiato quattro possibili scenari circa la ricostituzione dell’esercito russo:

  • Il “piano Shoigu”, presentato nel 2023 dall’allora Ministro della Difesa russo, che vedrebbe la ricostituzione dell’esercito verso la situazione pre-2022 in termini organizzativi, ma con un aumento quantitativo delle forze e un selettivo aumento qualitativo in settori selezionati. Si basa sull’idea che la FFAA russe fossero strutturalmente corrette, ma solo mal gestite e guidate.
  • Ritorno a vecchi modelli: un ritorno al modello pre-riforme, concentrandosi su masse meccanizzate e corazzate ottimizzate per una guerra posizionale e d’attrito. Si basa sull’idea che la guerra con l’Ucraina abbia di fatto già costretto a ritornare a questo tipo di approccio.
  • “New new look”: “New look” è il termine con cui si indicano le riforme post-2008 volte a professionalizzare le FFAA russe. Questo scenario ipotizza che tale percorso venga ripreso e incrementato, portando a una scelta di qualità a scapito della quantità, di fatto cercando di creare un esercito più piccolo, ma molto più efficace, professionale e modernamente equipaggiato. Si basa sul fatto che le precedenti riforme non siano mai state totalmente portate avanti e dunque non abbiamo mostrato il loro potenziale.
  • Un nuovo modello operativo: una riforma completa che porti le FFAA russe verso un sistema differente dal passato, per esempio più strutturato in maniera analoga a quello cinese. Vedrebbe riforme più sostanziali (e lunghe) su tutti i fronti: dal reclutamento, all’addestramento, all’organizzazione, alla dottrina. Si basa sul fatto che sia il modello new look sia il vecchio sistema sovietico mostrano i loro limiti davanti alla guerra contemporanea.

Nessuno sa ovviamente cosa verrà scelto, né se ci sarà un ibrido tra alcuni di questi o qualcosa di differente. Le lezioni della guerra verranno però sicuramente incluse, soprattutto per – lo ripetiamo – droni e guerra elettronica e in generale il principio di mass precision strike (la capacità, grazie a missili e droni, di colpire con precisione usando masse di ordigni a relativamente basso costo).
Aviazione, marina e forze strategiche probabilmente richiedono minori interventi o cambi di impiego, al di fuori del costante ammodernamento.
In generale, 2-3 anni potrebbero essere sufficienti per avere forze adeguate a una piccola guerra locale. Con qualche anno in più potrebbero tornare a piena forza, ma dipende appunto anche dal tipo di modello che intendono perseguire (cambiare tutto richiede più tempo e più spese).
Tuttavia, come espresso nel primo punto, è la volontà politica a determinare l’impiego di queste forze. La ricostituzione non indica necessariamente l’intento.

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Fig. 4 – Fabbrica russa di droni Orlan-10

VALUTAZIONE EXTRA: CHE FARE DI TUTTI QUESTI SOLDATI?

In generale la Russia ha un problema se la guerra finisce: deve decidere se smobilitare o meno gran parte delle forze. È facile che non lo farà, almeno nel breve e medio termine e indipendentemente dal modello scelto, perché costituirebbe un problema interno considerevole.
Anche mantenendo un forte nucleo di forze, si avrebbero comunque decine di migliaia di soldati che devono tornare a casa e trovare un lavoro. Con più soldi nel portafogli, ma con un’economia in difficoltà nella quale rientrare e plausibili usuali problemi di riadattamento dei veterani dopo un conflitto (stress post-traumatico). Paradossalmente è più facile convincerli a rimanere nelle FFAA, sfruttando tra l’altro il fatto che a guerra finita i rischi sono minori e in Ucraina (qualunque parte rimanga occupata) sarà realisticamente necessaria una forza di occupazione per anni.
Analogo discorso per l’economia di guerra esistente, difficile da riconvertire a economia tradizionale dati i problemi economici per quanto una riapertura degli affari con l’Occidente potrebbe aiutare. Infine, il costo politico di mantenere una forza considerevole sotto le armi è limitato: non è necessario scatenare un’altra guerra, basta mantenere alta la tensione per giustificare le spese militari in ottica di sicurezza. A Putin conviene continuare a parlare di necessità di proteggersi dalle minacce esterne, gli basta trovare nuove minacce da vendere internamente alla propria popolazione per giustificare il mantenimento di livelli adeguati. E come abbiamo visto in questi anni, sa farlo bene.

Lorenzo Nannetti

Fonti:

Challenger 2 Tank Moving Quickly During Exercise in Poland” by Defence Images is licensed under CC BY-SA 2.0.

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Perchè è importante

  • La percezione che gli USA, fulcro della NATO, stiano diventando alleati meno affidabili di un tempo spinge l’Europa a valutare un aumento delle spese militari e in generale a ripensare l’intera architettura di difesa.
  • Qual è la situazione dal lato della Russia? Esiste un rischio di guerra per l’Europa? Come riorganizzerà Mosca le proprie forze militari?

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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