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Chi ha avuto la meglio dall’accordo sulle “terre rare” ucraine?

Caffè lungo – L’accordo sulle “terre rare” tra Ucraina e Stati Uniti del 30 aprile 2025 rappresenta una svolta strategica: Kyiv ottiene supporto economico cedendo accesso alle proprie risorse, rafforzando così la presenza statunitense in Europa orientale. Mosca osserva, l’Europa resta ai margini.

L’ACCORDO USA-UCRAINA SULLE RISORSE CRITICHE: UNA TREGUA DIPLOMATICA MASCHERATA DA INTESA ECONOMICA

A Washington, tra le sale del Dipartimento del Tesoro, è stato firmato un accordo che, più che una semplice intesa bilaterale, è un passaggio decisivo nel nuovo equilibrio globale delle risorse strategiche. Stati Uniti e Ucraina hanno sancito un’intesa sulla gestione delle risorse minerarie ucraine, un patto che chiude una fase di tensione tra Trump e Zelensky, e inaugura quella che alcuni esperti di geopolitica come Dario Fabbri già definiscono come l’inizio della “fase economica” del conflitto. Dopo mesi di trattative, interruzioni e scontri politici — culminati nel diverbio tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca – Washington ha ammorbidito le proprie pretese iniziali, che includevano un’esorbitante quota da 500 miliardi di dollari in terre rare e minerali. In cambio, ha ottenuto un canale privilegiato per accedere alle risorse naturali ucraine tramite fondi congiunti, clausole di prelazione e contratti di off-take. Formalmente, la sovranità sul sottosuolo resta a Kyiv, ma l’architettura dell’accordo parla chiaro: le prossime fasi della ricostruzione post-bellica e del rilancio economico ucraino passeranno per decisioni condivise, ma con trazione statunitense. Politicamente, l’accordo è un atto di forza di Trump mascherato da concessione. Non solo il testo ufficiale utilizza un linguaggio esplicitamente accusatorio verso Mosca, allineandosi di fatto alla narrazione euro-atlantica che il tycoon aveva in passato criticato, ma garantisce anche agli USA un vantaggio competitivo sulle materie prime che saranno cruciali nei prossimi decenni: litio, grafite, manganese. Il messaggio è chiaro: Washington è tornata a investire, ma a condizioni nuove. Il sostegno militare continuerà, ma con un prezzo: il controllo, diretto o indiretto, sulle leve strategiche del futuro economico ucraino.

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Fig. 1 – Zelensky e Trump durante il loro noto scontro alla Casa Bianca, 28 febbraio 2025

LE DICHIARAZIONI DI TRUMP E LA REALTÀ GEOLOGICA UCRAINA

Quando, all’inizio di febbraio, Trump ha evocato le “terre rare ucraine” come merce di scambio per gli aiuti militari, in molti hanno pensato all’ennesima provocazione del tycoon. Eppure, nel giro di poche settimane, questa affermazione ha alimentato un vivace dibattito sulla natura delle risorse minerarie ucraine e sul loro possibile ruolo in un futuro accordo tra Stati Uniti e Ucraina per la fine del conflitto. Dopo il teatrale rinvio del vertice con Zelensky il 28 febbraio – un gesto orchestrato da Trump con la complicità del suo vice J.D. Vance – il Presidente ha tentato di stemperare le tensioni con un discorso al Senato il 5 marzo, assicurando che Kyiv sarebbe pronta a firmare un’intesa.
Tuttavia, il nodo resta: secondo Trump, le risorse sotterranee dell’Ucraina, stimate da lui stesso in un valore di 500 miliardi di dollari, dovrebbero essere parzialmente cedute agli Stati Uniti in cambio degli aiuti militari ricevuti a partire dal 2022 durante la Presidenza Biden. Una cifra priva di un reale fondamento. Per dare un’idea: il Congresso USA ha approvato finora cinque pacchetti di aiuti supplementari, per un totale di 174,2 miliardi di dollari, di cui oltre la metà non ancora erogati. Inoltre, come ricordato dal Washington Post, la reale composizione del sottosuolo ucraino resta parzialmente sconosciuta, e ogni attività estrattiva richiederebbe nuovi investimenti, infrastrutture e tempi lunghi.
A supportare questa prudenza arriva il Mineral Commodity Summaries dell’U.S. Geological Survey, che non menziona nemmeno l’Ucraina tra i Paesi con riserve significative di terre rare. Le stime globali parlano di 130 milioni di tonnellate metriche distribuite soprattutto in Cina, Australia e Brasile, mentre i depositi ucraini, se esistono, sono ancora in fase esplorativa e basati in larga parte su ricerche condotte durante l’epoca sovietica. Lo stesso documento NATO che probabilmente ha ispirato le affermazioni di Trump (datato dicembre 2024) parla di potenziale, non di giacimenti attivi.

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Fig. 2 – Yulia Svyrydenko, Ministro dello Sviluppo Economico dell’Ucraina, firma l’accordo sulle “terre rare” con gli USA, 30 aprile 2025

ERRORI SEMANTICI E ECO MEDIATICHE

Un’altra grande distorsione del dibattito riguarda l’uso improprio dell’espressione “terre rare”. Trump non è nuovo a questa confusione: in passato ha spesso confuso queste con litio, cobalto o oro, che tecnicamente non fanno parte del gruppo. A ricordarlo è anche Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del CNR, che in un recente post su LinkedIn ha sottolineato come le terre rare siano 17 elementi ben precisi (scandio, ittrio e i 15 lantanoidi), e che, per quanto il loro nome possa trarre in inganno, non sono né terre né particolarmente rare.
L’Ucraina è invece molto più rilevante sotto altri aspetti. È uno dei maggiori produttori di manganese al mondo (ottavo), titanio (undicesimo), zircone e grafite, ed è anche il principale esportatore europeo di ferro, sebbene quest’ultimo non rientri tra le materie prime critiche. La confusione generata da Trump, e ripresa acriticamente dai media, ha contribuito a trasformare una questione tecnica in un nodo geopolitico mal posto.
Non è un caso che la bozza dell’accordo tra Stati Uniti e Ucraina – mai smentita ufficialmente – non contenga alcuna stima economica delle risorse. Il valore dei 500 miliardi citati da Trump appare quindi come una tipica strategia negoziale, un’esagerazione utile a fissare un punto di partenza elevato per una futura trattativa. Strategia che sembra aver sortito un effetto, considerando l’apertura mostrata da Kyiv in occasione della tregua sugli attacchi alle infrastrutture energetiche, però non rispettato, firmata a Gedda, dove è stata annunciata la ripresa delle trattative sull’accordo.
L’errore semantico però si è rapidamente diffuso, trovando terreno fertile anche nel panorama mediatico italiano. Un’inerzia informativa che rafforza l’egemonia culturale statunitense, dove “America” diventa sinonimo di Stati Uniti e dove, se un Presidente dice “terre rare”, pochi si sentono autorizzati a contraddirlo. Persino The New York Times, inizialmente caduto nello stesso equivoco, ha poi corretto il tiro parlando più accuratamente di “minerali critici”. In Italia, qualche timido segnale di correzione è arrivato solo dopo una settimana di pressioni, ma le imprecisioni restano diffuse.

Riccardo Renzi

Photo by RescueWarrior is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • L’accordo sulle “terre rare” segnato tra Ucraina e USA segna una svolta importante: Kyiv ottiene sostegno economico e militare dando in cambio un accesso privilegiato alle proprie risorse.
  • Per Trump e sicuramente un successo, ma controbilanciato dalla sua visione confusa e inaccurata del reale valore delle risorse ucraine.
  • L’Ucraina sembra infatti disporre di pochi depositi di “terre rare” che richiederanno investimenti, infrastrutture e tempi lunghi per lo sfruttamento.

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Riccardo Renzi
Riccardo Renzi

Laureato in Ricerca storica (LM-84) presso l’Università di Macerata, lavora, in seguito alla vittoria del concorso pubblico presso il IV settore del Comune di Fermo, come Funzionario presso la Biblioteca civica Romolo Spezioli di Fermo. È membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Scholia, Il Polo e Menabò online, è inoltre vicedirettore della rivista di filologia greca e latina Scholia. È inoltre socio dell’Aib, della Società Dantesca Fermana, del Centro Studi Sallustiani, dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Ha all’attivo oltre 500 pubblicazione tra scientifiche e di divulgazione culturale. Per quanto concerne la politica e la geopolitica collabora con Dissipatio, Politicamag, Il Polo e Libro Aperto.

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