sabato, 14 Giugno 2025

APS | Rivista di politica internazionale

sabato, 14 Giugno 2025

"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

Associazione di Promozione Sociale | Rivista di politica internazionale

Haiti, il collasso invisibile

Strategic Horizons Abbiamo raccolto le riflessioni di Stefano Gatto, Ambasciatore dell’UE ad Haiti, che ci ha descritto la situazione nel Paese con uno sguardo dal campo molto attento e profondo.

Stefano Gatto, Ambasciatore dell’UE ad Haiti

L’instabilità strutturale di Haiti non è una novità, ma il deterioramento recente delle condizioni di sicurezza e governance rappresenta un’evoluzione significativa del contesto. Il sistema statuale è paralizzato, l’autorità pubblica si esercita solo in modo intermittente e ampie porzioni del territorio urbano sono sotto il controllo di gruppi armati.

Le osservazioni riportate dall’Ambasciatore Gatto delineano un quadro articolato, sintetizzabile nei seguenti punti:

  • Le gang armate operano in maniera coordinata, spesso con finalità non solo criminali ma anche funzionali a interessi politici ed economici.
  • Le forze di sicurezza haitiane sono sotto-dimensionate, sotto-equipaggiate e talvolta delegittimate. Non riescono a mantenere un controllo duraturo sul territorio.
  • La popolazione civile ha reagito creando forme autonome di difesa collettiva, che però pongono problemi di legittimità, controllo e sostenibilità nel lungo periodo.
  • Un numero significativo di abitanti è stato dislocato internamente e vive in condizioni precarie, in parte sostenuto dalla comunità internazionale.
  • L’attenzione internazionale è frammentaria, e il paese non sembra essere prioritario nell’agenda di molte capitali europee, né sui principali canali mediatici.

La situazione haitiana rappresenta un caso di collasso sistemico in cui le dinamiche locali interagiscono con variabili regionali e internazionali. La testimonianza del rappresentante dell’UE costituisce un contributo prezioso per comprendere le implicazioni operative e politiche della crisi. In un contesto di limitate risorse e attenzione, la capacità di lettura e di anticipazione resta essenziale per ogni valutazione strategica.

Embed from Getty Images

1. Stefano, quali sono oggi le caratteristiche fondamentali della crisi haitiana, dal tuo punto di vista sul campo?

La crisi haitiana è il risultato di un collasso delle strutture statali di fronte all’attacco di gruppi criminali alimentati dal transito di traffici illegali in un’isola situata in una zona di passaggio, i Caraibi, che sono sulle rotte che collegano Nordamerica, USA e Africa. Due importanti regioni consumatrici di droga e una regione di transito di narcotici, ma anche di traffico di persone. Tale collasso non è provocato solo e neanche in maniera decisiva da fattori esterni, ma soprattutto dalla paralisi politica e amministrativa delle Istituzioni haitiane, mai rivelatesi efficaci.
In questo quadro, la paralisi del Governo haitiano, che mai è riuscito a governare davvero sin dall’avvento di una tribolatissima democrazia (elezione di Aristide nel 1991) ha favorito la penetrazione nell’isola di ogni traffico per fini di profitto personale di leader politici e territoriali haitiani che cedono zone di territorio ai vari gruppi criminali internazionali (colombiani, venezuelani, ma anche con legami in medio oriente) per alimentare i traffici di armi e droga, spesso in forma di baratto. A loro volta tali gruppi pagano in armi i servizi loro prestati, e così oggi le gang criminali sono armatissime, potenti e in controllo pressoché totale della capitale, Port-au-Prince, dove impongono la legge del terrore per impedire allo Stato di esercitare le sue funzioni. Loro vivono e prosperano per la pratica inesistenza di servizi statali (non si raccoglie la spazzatura, per acqua ed elettricità bisogna ricorrere a camion o impianti individuali). Il resto segue la stessa tonica. Zero servizi, cittadini abbandonati, gangs potenti.

2. Le operazioni delle gang appaiono strutturate. Ritieni che ci siano interessi esterni o attori politici ed economici locali o esterni che alimentano questa dinamica?

Le gangs sono sempre esistite nella tradizione haitiana, una nazione che nasce da una ribellione generalizzata degli schiavi contro il sistema coloniale francese (1791-1804). Da allora esse hanno assunto varie forme, passando dalla resistenza al crimine con enorme facilità. Il potere haitiano ha spesso fatto uso di gruppi armati per reprimere la popolazione – la più famosa i tontons macoutes dei Duvalier, – ma le gang attuali sono figlie del disastro economico strutturale haitiano, Paese in crisi permanente, a crescita negativa da nove anni, e mai ripresosi dal terremoto del 2010 nonostante gli aiuti allora ricevuti in abbondanza, a causa dell’assenza assoluta di governance sensata, e dall’influenza crescente del banditismo sulla politica haitiana.

Oggi è pressoché impossibile vivere degnamente in Haiti con un lavoro legale

Come detto sopra, è un insieme di debolezza strutturale dello stato haitiano, dell’immenso bacino di miseria che alimenta le gangs e della confluenza d’interessi illegali, haitiani e non, che ambiscono a mantenere il Paese nell’anarchia.

Embed from Getty Images

3. Qual è, secondo te, il principale ostacolo alla capacità operativa delle forze di sicurezza haitiane? Si tratta solo di mancanza di risorse, o anche di deficit istituzionale più ampio?

Le forze di sicurezza haitiane, in pratica la PNH, Police Nationale d’Haiti (l’esercito è solo nominale, perché fu abolito all’epoca di Aristide per ragioni politiche, rimane un piccolo corpo dedito al genio civile) non riesce a far fronte alle gangs per carenze numeriche (6mila poliziotti in tutti il Paese contro almeno 30mila membri di gang), d’equipaggiamento (esiste un embargo sulla vendita di armi ad Haiti), strutturali (scarsa capacità di pianificazione e coordinamento delle azioni, assenza di strategia nazionale di sicurezza) e scarsa compenetrazione tra autorità politiche e di polizia. Ma, soprattutto, la polizia deve assumere compiti militari per cui non è preparata ed è, inutile tacerne, infiltrata dalle gangs, vanificando ogni tentativo d’intelligence.

4. Le forme di autodifesa comunitaria, come le brigades, rappresentano una risposta locale. Quanto sono sostenibili, e quali rischi pongono nel medio periodo?

L’autodifesa è tradizionale nella cultura haitiana, ed è molto violenta. Risale alla lotta per l’indipendenza, l’haitiano sa da sempre di non poter contare sulle Autorità. Deve difendere da solo sé stesso e i suoi. La forma attuale, denominata Bwa Kale, è degenerata in terribili stragi, effettuate dalla popolazione nei confronti dei membri delle gangs, che vengono retribuiti delle loro violenze venendo bruciati vivi in pubblico o decapitati e giustiziati, in presenza della polizia che non interviene. I corpi tendono a essere profanati, per ragioni legate alla cultura vudù e a non permettere ai morti il riposo eterno. Morire male ti converte in “zombie”, figura che esiste anche se non nella versione cinematografica che conosciamo. Morire “male” ti maledice per sempre.
Questo avviene perché la giustizia è anch’essa completamente paralizzata, nessuno viene mai condannato e le carceri sono ormai quasi vuote, non avendo lo Stato la capacità di mantenerle o nutrire i reclusi.
L’autodifesa in assenza di Stato è quello che si vive oggi ad Haiti, un Paese dove nessuno ha più ragionevoli garanzie di sopravvivenza.

Haiti è un luogo dove morire, ma dove è molto più difficile vivere, nel senso che noi diamo alla vita, con un minimo di certezze. Oggi ad Haiti esse non esistono.

5. La copertura mediatica internazionale della crisi ad Haiti è molto limitata. A cosa attribuisci questa scarsa visibilità? È solo una questione di priorità geopolitiche?

L’invisibilità della crisi haitiana ha diverse letture. Da una parte, gli haitiani stessi hanno il vizio di non assumere mai le loro responsabilità e attribuire tutti i loro mali sempre solo allo schiavismo che soffrirono e poi all’emarginazione cui il Paese fu sottoposto per decenni, essendo una nazione nera e di ex-schiavi. Il debito francese non contribuì certo a consolidare il Paese, ma da trentacinque anni esiste una democrazia che non ha dato alcuna buona prova di sé, pur avendo ricevuto molti fondi internazionali. Anziché criticare loro stessi, gli haitiani criticano la comunità internazionale che non fa abbastanza. Ma che quando fa, viene criticata per “interferenza”. Diviene quindi difficile che Haiti generi una narrativa positiva e raccontabile.
Questo Paese perse una straordinaria occasione per riprendersi dopo il catastrofico terremoto del 2010, che distrusse la capitale e uccise 200mila persone. I fondi affluirono numerosi, ma una serie di scelte strategiche sbagliate (creazione di parchi industriali in un Paese senza generazione elettrica sostenibile), l’estrema corruzione dei governanti e stuole di pessimi consulenti, specie statunitensi, che assorbirono molti dei fondi per progetti poi mai realizzati provocarono un nulla di fatto: la capitale non è stata ancora ricostruita oggi, nel 2025.
A questo va aggiunto l’errata e forzata liberalizzazione accelerata richiesta dall’Amministrazione Clinton in cambio del supporto ad Aristide. Le importazioni dagli USA hanno distrutto l’agricoltura haitiana, trasformando il Paese in importatore strutturale. Solo le rimesse degli emigranti haitiani permettono alle famiglie di sopravvivere e allo Stato di (mal)vivere. La pressione fiscale è del 5% sul PIL, e ciò rende impossibile la fornitura di servizi.
C’è quindi poco di grandioso da raccontare, tanti errori condivisi da nascondere e per di più si è generata una fatica nei confronti dell’eterna crisi haitiana, pozzo senza fondo di problemi infiniti. Russia e Cina non sono fattori qui e anche geopoliticamente questa non è terra di dibattiti manipolabili, che appassionano chi sviluppa certezza comode “da lontano”. Il Paese non ha poi grandi risorse potenziali, salvo la sua gente.

Embed from Getty Images

6. Qual è il ruolo attuale dell’Unione Europea e della diplomazia ad Haiti, in un contesto dove le istituzioni centrali sono deboli o assenti? E quale spazio ha, realisticamente, l’Italia all’interno di questo quadro?

Il ruolo della diplomazia è complesso perché, come accennato sopra, alla comunità internazionale chiedono di più, molto di più, ma anche la disprezzano. Ogni tentativo di offrire assistenza di tipo politico, giudiziario, amministrativo va gestito con molta prudenza perché, nonostante l’assenza di risultati, gli haitiani non vogliono essere tutelati. Per operare qui devi abituarti a fare molti sacrifici, devi smuovere montagne, ma come ringraziamento riceverai indifferenza o insulti. Anziché mettere in valore il 100, gli haitiani vogliono 10mila, e subito. Ci vuole quindi una tempra molto particolare per vivere e operare qui.
L’Unione Europea non è considerata “un nemico” dall’opinione pubblica haitiana, ma anche sottovalutata rispetto alla grande quantità di cooperazione mobilitata dagli anni Novanta, diversi miliardi, molto significativi in infrastrutture, difesa dei diritti umani, istruzione, sostegno a riforme economiche. L’UE non ha interessi commerciali in Haiti e vuole solo promuovere una migliore governance. Attualmente, le nostre priorità riguardano il miglioramento dell’organizzazione statale, l’istruzione (formazione professionale e costruzione scuole), il rilancio della produzione agricola e la lotta contro la denutrizione. Contribuiamo anche al fondo per il sostegno alla Polizia Haitiana. Però dobbiamo in buona parte operare senza un reale supporto dello Stato. È difficile.
L’Italia non è più presente ad Haiti se non attraverso i suoi più fedeli ambasciatori nel mondo: i numerosi missionari e cooperanti, molto benvoluti per la loro tradizionale umanità, schiettezza e assenza di senso di superiorità. L’Italia ha contribuito al fondo polizia, ma non ha avuto un’attenzione particolare recente al problema haitiano, salvo alcune ONG molto radicate qui, come AVSI.

7. Se dovessi indicare tre priorità operative che la comunità internazionale – in particolare l’UE e l’Italia – dovrebbero adottare nel breve e nel medio termine, quali sarebbero?

In questo momento la crisi umanitaria è tale (triplicati gli sfollati in un anno, da trecentomila a un milione, e in più gli haitiani vengono espulsi da Repubblica Dominicana e USA senza alcuna considerazione sulla crisi nel Paese d’origine), anche per il ritiro di USAID, che rappresentava il 60% dei fondi, che UE, Canada e Nazioni Unite siamo letteralmente sommersi da un lavoro che ci supera. Abbiamo bisogno di dieci volte più fondi solo per salvare vite.

Fa rabbia l’assoluta assenza d’interesse delle nostre opinioni pubbliche nel confronto del dramma dei bambini e della popolazione haitiana. Fa pensare sulle motivazioni profonde di chi manifesta solidarietà selettive

Quindi, assistenza umanitaria da rafforzare, e molto.
Attenzione, ma a quella mediatica deve far seguito una strategica, e lì le prospettive sono oggettivamente pessime. La cooperazione è attualmente concepita sempre più come una piattaforma per promuovere interessi comuni, e ad Haiti, per qualche decennio, non c’è niente da guadagnare, solo problemi da risolvere.
E la terza sono gli haitiani: in un mondo che cambia devono smetterla di attribuire colpe a tutti, tranne a loro stessi, uscire dalla logica coloniale e cominciare a governarsi sul serio. Per questo noi come UE lavoriamo molto coi giovani, l’unica speranza per Haiti.

8. Quali sono, a tuo avviso, i segnali da monitorare per valutare una possibile inversione di tendenza o un ulteriore peggioramento?

La situazione della sicurezza non può migliorare per carenze interne e l’insufficienza di una missione internazionale, debolissima, diretta dal Kenya. Ma soprattutto perché è alimentata da haitiani che giocano contro la normalizzazione del loro Paese.

Per il momento, ad Haiti si continuerà a morire nell’indifferenza generale.

Quando apparirà una nuova leadership haitiana, interessata a sviluppare il Paese e non a saccheggiarlo, quanto seminato dalla cooperazione, di ONG e Stati, in tutti questi anni in termini d’impegno civile, difesa di valori e principi democratici e iniziativa imprenditoriale potrà cominciare a prosperare. Il mio sogno è poter tornare tra qualche anno in questo meraviglioso Paese, la cui gente è bellissima in senso lato e resistente in un modo che dovrebbe far arrossire noi occidentali, e poter visitare quegli splendidi paesaggi oggi a me inaccessibili, e magari poter recarmi in quartieri dove oggi, come bianco, non sopravviverei che qualche minuto.

A cura di Pietro Costanzo per Strategic Horizons e del Desk America Latina

HAITI” by WILLPOWER STUDIOS is licensed under CC BY

Dove si trova

Perchè è importante

  • Intervista a Stefano Gatto, Ambasciatore dell’UE ad Haiti, che ci ha descritto la situazione nel Paese con una testimonianza molto concreta e pragmatica.
  • Haiti sembra oggi avere prospettiva future molto negative, anche per la difficoltà a intervenire in aiuto di un Paese non governato.

Vuoi di più? Associati!

Scopri che cosa puoi avere in più associandoti

Pietro Costanzo
Pietro Costanzo

Co-fondatore del Caffè e membro del direttivo. Mi occupo di cooperazione internazionale nel settore della sicurezza e di fondi europei. Ogni opinione espressa è strettamente personale.

Ti potrebbe interessare