In 3 sorsi – USA e Giappone siglano un accordo che riduce i dazi e prevede 550 miliardi di dollari in investimenti giapponesi negli Stati Uniti. L’intesa rafforza la cooperazione su energia, tecnologia e supply chain, puntando a un’alleanza strutturata. Washington rilancia così il suo ruolo nell’Indo-Pacifico, con un modello replicabile verso altri partner.
1. TAGLIO NETTO AI DAZI: DAL 25% AL 15%
Dopo mesi di trattative serrate, Stati Uniti e Giappone hanno raggiunto un’intesa commerciale che riduce le tariffe imposte dall’Amministrazione Trump, passando dal 25% al 15%. Si tratta del primo accordo di rilievo dall’inizio della guerra commerciale avviata da Washington.
Durante un evento alla Casa Bianca, il Presidente Trump ha definito l’intesa con il Giappone “il più grande accordo commerciale della storia” – o forse “di sempre”, come ha sottolineato con enfasi. L’annuncio, diffuso inizialmente via social media, è stato poi confermato davanti alla stampa: “Abbiamo lavorato a lungo, con impegno, insieme ai rappresentanti di alto livello del Giappone. È un accordo eccellente per entrambe le parti”.
Il patto coinvolge anche il settore automobilistico, che rappresenta circa un quarto delle esportazioni giapponesi verso gli USA. In particolare, le tariffe sui veicoli passeggeri, precedentemente fissate al 27,5%, saranno abbassate, offrendo respiro a un comparto centrale per l’economia nipponica.
La notizia dell’accordo ha avuto un impatto positivo sui mercati finanziari, con le Borse di New York e Tokyo in rialzo, spinte soprattutto dalla reazione favorevole delle case automobilistiche giapponesi: Toyota e Mitsubishi hanno registrato un incremento di circa il 14%.
Il Primo Ministro giapponese, Shigeru Ishiba, ha espresso soddisfazione per l’intesa, sottolineando come i dazi imposti al Giappone siano “i più bassi finora applicati tra i Paesi in attivo nella bilancia commerciale con gli Stati Uniti”.
Fig. 1 – Il premier giapponese Shigeru Ishiba (al centro) discute insieme ad altri membri del Governo lo stato dei negoziati con gli USA, 8 luglio 2025
2. OLTRE I DAZI: NASCITA DI UNA GEO-ALLEANZA
L’intesa va ben oltre l’abbassamento dei dazi: prevede un massiccio pacchetto di investimenti da 550 miliardi di dollari da parte del Giappone negli Stati Uniti, con meccanismi articolati per favorire la reindustrializzazione statunitense e garantire che circa il 90 % dei profitti resti negli Stati Uniti.
A ciò si aggiunge l’impegno di Tokyo ad acquistare beni esportabili USA per un valore stimato di 8 miliardi di dollari, inclusi aeromobili Boeing, prodotti agricoli come mais, soia e fertilizzanti, con un significativo incremento nelle forniture di riso.
L’accordo include anche una joint venture strategica per l’esportazione di gas naturale liquefatto (LNG) dall’Alaska, un tassello fondamentale di cooperazione energetica e industriale.
La cooperazione si estende quindi dal comparto automotive alla costruzione di una supply chain più resiliente per metalli critici, chip avanzati e standard digitali, segnando un’evoluzione verso una geo-alleanza strutturata.
Fig. 2 – Ryosei Akazawa, Ministro della Rivitalizzazione Economica, che ha condotto le lunghe e difficili trattative con Washington
3. LE IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE
In questo scenario, l’accordo quadro tra Stati Uniti e Giappone assume un valore che va ben oltre la riduzione tariffaria: è un tassello chiave in un più ampio tentativo di ridefinire l’asse economico-politico dell’Indo-Pacifico. Rafforzando la cooperazione industriale, tecnologica ed energetica, Washington invia un messaggio chiaro: costruire alleanze fondate sulla sicurezza delle filiere, sugli investimenti reciproci e sul progressivo distanziamento dalla Cina.
L’intesa segna un ritorno del concetto di economic statecraft: i dazi vengono usati come strumento politico per orientare i flussi finanziari e gli investimenti esteri verso obiettivi strategici, non solo commerciali.
In questo quadro si inserisce anche la decisione dell’amministrazione Trump di imporre nuove tariffe del 15% sui beni provenienti dalla Corea del Sud, in cambio di impegni economici sostanziali da parte di Seoul. L’introduzione delle tariffe sulle importazioni giapponesi e sudcoreane ha segnato una svolta nella politica commerciale degli Stati Uniti, con impatti economici, strategici e geopolitici significativi. Queste misure, colpendo settori chiave come l’automobili e i semiconduttori, rischiano di destabilizzare le catene globali di approvvigionamento, provocare aumenti dei prezzi e ridurre gli investimenti a lungo termine.
Le relazioni diplomatiche con due partner essenziali per la sicurezza rimangono in bilico, mentre la crescente influenza cinese nella regione solleva dubbi sul futuro dell’Asia sotto la leadership americana. In questo contesto, le tariffe non sono soltanto strumenti economici, ma segnali emblematici e catalizzatori di un’epoca di disgregazione economica e trasformazione strategica. Esse segnano un deciso allontanamento dalle reti commerciali collaborative che, per decenni, hanno assicurato stabilità e prosperità nel Nord-Est asiatico.
Anastasia Merli
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