Analisi – La Commissione Europea stima 800 miliardi di investimenti nei prossimi quattro anni per rafforzare la difesa europea. Come sono calcolati e i possibili rischi insiti nei piani UE.
DEBITO COMUNE E INVESTIMENTI NAZIONALI
Nelle intenzioni della Commissione Europea gli investimenti in materia di Difesa che i Paesi dell’UE dovrebbero realizzare nei prossimi quattro anni ammontano a 800 miliardi di euro. Secondo quanto delineato nei piani ReArm Europe/Readiness 2030 (condivisi negli obiettivi generali da Parlamento e Consiglio) tali investimenti, sovrapponibili o complementari a quelli richiesti ai propri membri dalla NATO, saranno realizzati soltanto in minima parte tramite indebitamento comune e per il resto saranno a carico diretto dei bilanci degli Stati membri, grazie a un allentamento dei vincoli del Patto di stabilità .
Il fondo SAFE (Security action for Europe) permetterà di raccogliere sul mercato fino a 150 miliardi di euro, garantiti dall’UE, da girare agli Stati che ne hanno fatto richiesta (18, tra cui l’Italia per 14,9 miliardi) sotto forma di prestiti a basso interesse e lunga scadenza (i rimborsi sono previsti a partire dal decimo anno e per una durata di ben 45 anni). Per accedere al fondo è necessario che gli Stati procedano ad acquisti congiunti almeno insieme a un altro Stato UE, che gli armamenti rientrino in alcune definite categorie (ovviamente nell’ambito degli standard NATO) e che almeno il 65% di ogni prodotto sia costruito in un Paese europeo. Questi investimenti, dunque, contribuiscono a definire un livello sia pure minimo di coordinamento europeo e di stimolo all’industria UE.
I restanti 600 miliardi di investimenti previsti sarebbero a carico degli Stati membri, i quali potranno, per finanziare la spesa in armamenti, sforare dell’1,5% i vincoli del Patto di stabilità . Poiché il Patto prevede un limite di indebitamento generale del 3% per il riarmo, i Governi nazionali sarebbero autorizzati a indebitarsi fino al 4,5% senza incorrere in procedure di infrazione.
Fig. 1 – La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen
UN’ESIGENZA REALE E ALCUNI ASPETTI CRITICI
Il rafforzamento della sicurezza europea è indubbiamente un’esigenza reale, oltre che urgente. Sia i confini orientali dell’UE che le sue sponde meridionali subiscono guerre e instabilità , in un contesto internazionale di crisi del multilateralismo e delle sedi di compensazione diplomatica delle controversie tra Stati, con il disimpegno (almeno parziale) degli Stati Uniti dalla difesa europea. Le proposte della Commissione costituiscono in questo senso uno step positivo verso una maggiore autonomia e capacità di difesa europea. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti critici: una persistente dipendenza dall’industria statunitense, dei dubbi sulla reale capacità di impegno delle cifre indicate, il ruolo preponderante del meccanismo intergovernativo a scapito del rafforzamento “federale” delle capacità di difesa, il rischio di tagli compensativi nei settori che rappresentano la vera forza politica dell’Unione (coesione territoriale e sociale, welfare, occupazione e produzione industriale al di fuori della difesa).
Già l’impegno dei membri europei della NATO a raggiungere il 5% del PIL in spese per la difesa (3,5% spese militari + 1,5% infrastrutture e spese correlate) presenta criticità di non poco conto, tanto quanto a effettiva capacità di raggiungimento dell’obiettivo, quanto a coerenza di visione strategica (persistenza dell’approccio nazionale con conseguente divaricazione tra i vari Paesi, dipendenza dalle forniture USA, assenza di reale organizzazione e coordinamento comuni, ecc.). Ugualmente, i piani di riarmo dell’UE ripropongono interventi prevalentemente su base nazionale, non vincolano se non in misura molto ridotta a una reale integrazione e allo sviluppo di capacità produttive autonome, e infine comportano inevitabilmente un riorientamento della spesa pubblica, a scapito di altre poste di bilancio. Quest’ultimo aspetto è particolarmente delicato, poiché se da un lato rinforzare la sicurezza è indispensabile, dall’altro è rischioso farlo a scapito di altri investimenti, come quelli in innovazione tecnologica (verde e digitale), sanità , istruzione, sviluppo e coesione sociale. Pena, oltre che la perdita di posizionamento economico e politico a livello mondiale, il crollo della fiducia dell’opinione pubblica nei vantaggi dell’appartenenza UE.
Fig. 2 – Presentazione della Defense Readiness Roadmap
IN ATTESA DI UNA STRATEGIA GENERALE
In conclusione, il piano di Bruxelles costituisce un primo passo incompleto, che ha comunque il pregio, in un’ottica di medio periodo, di fornire gli strumenti finanziari per un incremento delle capacità di difesa europee e di guadagnare tempo per ulteriori sviluppi. Come tale, dovrebbe essere seguito da altre azioni nel quadro di una visione strategica complessiva di riorganizzazione delle direttrici economico-industriali dell’Unione. Cosa che al momento non pare però all’orizzonte, né a Bruxelles né nelle capitali europee, come dimostrano resistenze e ritardi nell’attuazione delle riforme necessarie indicate nei rapporti Draghi e Letta del 2024.
Paolo Pellegrini
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