La decisione del Consiglio Affari Esteri dell’UE di sospendere l’esportazione di determinate categorie di armi all’Egitto costituisce una presa di posizione con conseguenze in termini simbolici più che materiali. Ciò nonostante, all’Unione Europea non mancherebbero i mezzi per fare pressione sull’Egitto e per svolgere nella crisi un ruolo tutt’altro che marginale: dal commercio, al turismo, agli investimenti privati, l’economia del Cairo è in molti settori largamente dipendente dai partner europei, e difficilmente la struttura del Paese si potrà completamente rifondare sugli aiuti promessi dalle Monarchie del Golfo. La posizione dell’UE nella crisi dimostra quindi che, nonostante l’attivismo che Bruxelles ha cercato di mostrare nella regione a seguito delle ‘Primavere arabe’, le capacità dell’Unione di influenzare attori esterni restano ridotte, spesso per via di limiti autoimposti.
FONDAMENTI DEI RAPPORTI EU-EGITTO – Per ragioni storiche, geografiche e geopolitiche, l’Egitto è un’area di interesse prioritario per i Paesi dell’Unione Europea. Al di là dei legami bilaterali tra i singoli Stati membri e il Governo del Cairo, l’UE ha tentato di elaborare una qualche forma di politica comune nei confronti del Paese sin dal reciproco riconoscimento diplomatico nel 1966. La relazione tra UE ed Egitto si fonda oggi essenzialmente sulla Euro-Mediterranean Partnership, lanciata nel 2008 come revisione del Barcelona Process, e sull’Association Agreement, firmato nel 2001 ed entrato in vigore tre anni dopo: significativamente, il preambolo del trattato con cui tale accordo è stato istituito contiene esplicito riferimento al rispetto dei principi democratici e dei diritti umani, considerato «elemento essenziale» della cooperazione, in linea con le politiche di condizionalità sviluppate dall’UE nell’ultimo decennio.
L’ATTIVISMO UE – A luglio 2011, Bernardino León è stato nominato Rappresentante speciale dell’EU per il Mediterraneo meridionale: considerando che il diplomatico spagnolo pare essere conosciuto tra i corridoi di Bruxelles con l’appellativo di “Mr. Wolf”, dal personaggio di Pulp Fiction che «risolve i problemi», questa nomina ha espresso la delicatezza del momento e l’ambizione europea di giocare un ruolo attivo nella complessa fase di transizione del Paese, a seguito della fine del regime di Mubarak nel febbraio di quello stesso anno. Oltre alle costanti dichiarazioni a supporto di un rafforzamento della democrazia, nel novembre 2012 l’Unione ha stabilito lo stanziamento di 5 miliardi di aiuti supplementari (oltre alla cooperazione ordinaria, già fissata per il periodo 2007-2013) e la creazione di una EU-Egypt Task Force con il mandato di rinnovare e rafforzare la cooperazione strategica tra le due sponde del Mediterraneo.
LA CRISI – Che ne è dell’attivismo europeo a seguito dell’attuale crisi egiziana? Fin dalla deposizione di Morsi il 3 luglio, l’UE è parsa voler mantenere un profilo politico di rilievo: Catherine Ashton è stata il primo rappresentante di un “Governo” straniero a visitare Morsi durante la detenzione; nel frattempo, León ha fatto la spola tra rappresentanti del nuovo esecutivo ad interim ed esponenti della Fratellanza Musulmana, nel tentativo di agevolare una soluzione politica alla crisi. Tuttavia, l’attivismo europeo ha cominciato a zoppicare tra dichiarazioni incerte e silenzi ingiustificati: centrale per l’UE, come per gli USA, è stato il dilemma di definire se la presa del potere da parte dei militari sia stata un colpo di Stato (che ha generato acrobazie intellettuali notevoli, come i dibattiti sui “colpi di Stato democratici”). Quando la crisi è precipitata (in particolare dal 14 agosto, con lo sgombero, finito in massacro, di due sit-in dei sostenitori di Morsi), si è resa sempre più evidente la necessità di un cambio di strategia per tutti gli attori coinvolti. A questo punto, la riunione straordinaria del Consiglio Affari Esteri del 21 agosto, preceduta dal Consiglio Politico e di Sicurezza due giorni prima, ha stabilito la sospensione delle licenze per l’esportazione all’Egitto di armi che possano essere utilizzate per la repressione interna.
UNA TIEPIDA EUROPA – Nei fatti, anche con questa decisione l’UE non ha preso una posizione netta e non sta impiegando i suoi mezzi più incisivi. Con grande cautela, la condanna all’uso della violenza è stata rivolta non solo al Governo, con riferimento all’uso sproporzionato della forza, ma anche ai responsabili degli “atti di terrorismo” avvenuti nel Paese, tra cui in particolare l’uccisione di 24 poliziotti nel nord del Sinai. Anche se nelle conclusioni del Consiglio si parla della possibilità di rivedere i programmi di cooperazione, gli aiuti non sono finora stati sospesi: in questo caso, in un Paese come l’Egitto, in cui, secondo le stime della World Bank, il 25% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà (percentuale che è peraltro aumentata negli ultimi anni, dato che era al 16,7% nel 2000), la riluttanza dell’UE si spiega con la preoccupazione di nuocere alla società civile più che al Governo. Per quanto riguarda gli scambi commerciali, non si è neppure discussa la possibilità di modificare i termini dell’Association Agreement, per esempio eliminando o restringendo l’accesso preferenziale che garantisce benefici alle esportazioni egiziane.
LIMITI E POTENZIALITÁ DELLA UE – In molti sembrano sostenere che, essenzialmente, l’UE non possa esercitare alcuna pressione sull’Egitto con il solo strumento delle sanzioni economiche, in quanto il loro effetto può essere facilmente compensato dagli aiuti provenienti dalle ricche Monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait hanno promesso 12 miliardi di dollari). In realtà, è difficile sostenere che l’economia dell’Egitto si possa rifondare totalmente su questi aiuti, considerando per esempio che l’UE è attualmente il suo principale partner commerciale per importazioni ed esportazioni (nel 2012, i flussi di beni e servizi da e per l’UE hanno rappresentato il 23% del totale del Paese, per 23,9 miliardi di euro complessivi). I limiti dell’UE non nascono dalla mancanza di mezzi, ma piuttosto dalle debolezze strutturali della politica estera comune: non solo il permanere di divergenze tra gli Stati membri è evidente (Danimarca e Germania, che hanno già sospeso i propri aiuti bilaterali all’Egitto, sostengono la necessità di un approccio più hard, mentre l’Irlanda ritiene controproducente l’imposizione di sanzioni e difende una politica soft), ma soprattutto l’UE continua ad autolimitarsi nell’incapacità di elaborare una dimensione realmente “politica” del proprio operato internazionale che possa andare oltre la mera diplomazia commerciale e avere un impatto realmente significativo su attori esterni. Se non ci riusciamo in un Paese che sta alle nostre porte, e con cui abbiamo legami di ogni sorta, difficilmente potremo riuscirci altrove.
Chiara Franco