In 3 sorsi – La crisi economica non ferma i massicci piani di urbanizzazione voluti da Erdogan. Le conseguenze sull’ambiente e sulla sussistenza alimentare del Paese sono evidenti, ma l’alternativa è perdere il sostegno al partito.
1. (RI)COSTRUIRE L’IMPERO TURCO ALL’INSEGNA DEL PROGRESSO
La presidenza di Erdogan ha rilanciato l’economia turca nel volgere di un decennio: dalla sua prima salita al potere (2003) in poi, infatti, il PIL del paese è raddoppiato, e la Turchia è entrata a far parte delle venti maggiori economie mondiali. Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) guidato da Erdogan ha attuato fin dai primi anni Duemila una politica economica neoliberista imperniata su imponenti investimenti infrastrutturali (con una predilezione per i mega progetti), cospicue vendite di beni pubblici a investitori privati e riqualificazione di quartieri popolari. Le politiche urbane hanno quindi guidato l’onda delle crescita economica e dell’accumulo di capitali, consolidando l’autorità di Erdogan attraverso la realizzazione di progetti simbolo di progresso e grandezza ottomana. Tra i più famosi nella città di Istanbul ci sono la costruzione del terzo ponte sullo stretto del Bosforo, il terzo e più esteso aeroporto cittadino, e l’imponente moschea di Çamlıca, la più grande in tutto il Paese. Una politica di urbanizzazione con cui Erdogan, dopo aver conquistato le zone periferiche e più tradizionaliste della Turchia, ha saputo assicurare al suo partito anche il consenso dell’alta borghesia cittadina.
Embed from Getty ImagesFig. 1- Le strade e gli edifici della cittĂ di Ankara sono decorati con la bandiera turca e poster di Ataturk, nel giorno del centesimo anniversario della nascita del Parlamento turco. Ankara, 23 aprile 2020
2. URBANIZZAZIONE CLIENTELARE
Tuttavia il legame con la borghesia urbana va al di là del sostegno allo sviluppo infrastrutturale del Paese. Il rilancio della Turchia come moderna nazione ottomana serve principalmente lo scopo di nutrire una élite pro-Governo tramite il suo diretto coinvolgimento nel piano urbanistico della città . Attraverso un sistema capitalistico clientelare, Erdogan ha garantito la distribuzione di favori a uomini d’affari vicini alla sfera pubblica in generale (e alla sua persona in particolare) assegnando loro contratti. L’urbanizzazione ha permesso quindi all’AKP di prendere due piccioni con una fava: accrescere l’attrattiva elettorale del partito, e assegnare appalti pubblici a imprese “amiche”. In questo senso è ironico pensare a come l’AKP abbia vinto le elezioni parlamentari nel 2002: promettendo, tra le altre cose, di rompere con il circolo di corruzione dei vecchi schieramenti. Non solo, lo stesso acronimo del partito (AK, da Adalet ve Kalkınma Partisi) significa “puro” in turco.
Embed from Getty ImagesFig. 2- Piazza Taksim quasi deserta per le restrizioni imposte dal Governo per limitare i contagi dopo lo scoppio della pandemia. Istanbul, 27 aprile 2020
3. L’IMPATTO SULL’AMBIENTE E SULLE PERIFERIE
Ma le ripercussioni non si vedono solo sul libero mercato e sulla trasparenza. L’urbanizzazione ha innanzitutto cambiato per sempre il paesaggio turco, dimezzato drasticamente la forza lavoro nel settore agricolo, spopolato i villaggi delle zone periferiche e aumentato la dipendenza del Paese dall’importazione di generi alimentari. Così come il Governo tentò di radere al suolo Gezi Park nel centro di Istanbul per costruire un centro commerciale e appartamenti di lusso, così altri mega progetti (alcuni già realizzati, altri in costruzione, altri ancora in fase d’appalto) si appropriano delle ultime aree verdi e delle riserve d’acqua presenti nella metropoli. Fuori dalle città , il tradizionale bacino elettorale di Erdogan comincia a guardare altrove. Nei sedici anni di governo dell’AKP un’area di terra arabile grande come il Belgio è stata tolta alla coltivazione, 2 milioni di lavoratori agricoli hanno lasciato le campagne per lavorare nelle grandi città , dove dal 2018 la crisi economica ha innalzato la disoccupazione vicino al 14%. La Turchia si è inoltre affidata sempre più all’importazione di generi alimentari economici, rendendo l’agricoltura sempre meno remunerativa e accelerando così lo spopolamento delle campagne. La crisi della lira ha determinato infine un’inflazione del prezzo dei generi alimentari e del cibo per animali. Il Global Food Security Index, che dà la misura del livello di autosufficienza alimentare di un Paese, posiziona la Turchia al 41esimo posto su 113, al di sotto di Arabia Saudita, Qatar e altri Paesi di regioni desertiche.
Denise Giacobbi
Immagine di copertina: Photo by Ben_Kerckx is licensed under CC BY-NC-SA