In 3 sorsi (MS) – La crisi economica degli ultimi anni ha colpito tutti i settori di spesa, ma ha avuto un impatto particolarmente negativo sul budget per la difesa. La situazione italiana, già grave per via di una squilibrata distribuzione tra le varie voci di spesa, si presenta particolarmente complessa, con il budget per la difesa che tocca il minimo storico
1. IL BUDGET PER IL 2015 E IL 2016 – Lo scorso gennaio il Segretario generale della NATO Stoltenberg ha invitato i Paesi europei a ripensare alla diminuzione del proprio budget per la difesa date le crescenti sfide che il continente si trova ad affrontare sia sul fianco Sud che sul fianco Est.
L’appello del Segretario della NATO fa seguito alle richieste avanzate durante il Summit del Galles del 2014, in cui i Paesi europei erano stati invitati a portare il loro budget di settore fino (almeno) al 2% – condizione che, lo scorso anno, era stata raggiunta solo da quattro Paesi europei (Estonia, Grecia, Polonia e Gran Bretagna).
Secondo i dati recentemente rilasciati dal SIPRI, il 2015 ha rappresentato il primo anno dal 2011 in cui le spese europee di settore non hanno subito una forte diminuzione. Seppur trainate dai Paesi dell’Europa centrale, le spese per la difesa in Europa, nel 2016, vedranno un aumento anche in diversi Stati chiave – Francia, Germania, Spagna e Paesi Bassi, ma anche Polonia e Gran Bretagna (che pure avevano già raggiunto l’obiettivo del 2%).
L’Italia, però, non rientra in questo gruppo di testa, visto che la sua spesa per la difesa resterà pressoché invariata, almeno nominalmente.
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] STANZIAMENTI 2015-2017 (milioni di euro)
2015 | 2016 | 2017 (stime) | |
Bilancio difesa | 19.371,2 | 19.424,1 | 19.366 |
Funzione difesa | 13.186,1 | 12.921 | 12.709 |
Variazione su anno precedente | -6,33% | -3.42% | -0.19% |
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2. BUDGET IN CALO, MA RISCHI IN AUMENTO – È lo stesso Ministero della difesa italiano a riconoscere l’importanza delle variazioni del contesto geopolitico e la relativa necessità di mantenere uno strumento militare che consenta di rispondere alle sfide odierne, anche operando congiuntamente ad altri Paesi. In particolare, nella Nota Integrativa al Disegno di Legge di Bilancio per l’anno 2016 e per il triennio 2016-2018, le priorità politiche descritte per il prossimo triennio – richiamando le aree di azione del Libro bianco della difesa – sono, tra le altre: «disporre di uno strumento interforze, internazionale, interoperabile che sia efficace, efficiente ed economico (e quindi economicamente sostenibile)», in grado di capire le complessità e le sfide attuali, prevenire l’insorgere di situazioni che mettano a rischio la sicurezza del Paese e intervenire – sia con i Paesi europei che con quelli dell’Alleanza atlantica – per la gestione/risoluzione delle crisi e per annientare eventuali minacce dirette. Tutto ciò dovrebbe essere fatto dando precedenza all’area euro-mediterranea (che nel Libro bianco è intesa in configurazione allargata, e quindi estesa fino al Golfo Persico e al Corno d’Africa), ma con possibilità di intervenire – seppur limitatamente in termini di durata e risorse impiegate – anche in caso di crisi esterne alla (vasta) area già evidenziata.
Priorità ambiziose, che mal si coniugano, però, con l’attuale livello di spesa e con la sua allocazione attuale, che continua a mostrarsi inefficiente, soprattutto relativamente a esercizio e investimenti – che vengono da anni supportate da stanziamenti esterni, rispettivamente la legge di autorizzazione delle missioni internazionali e i fondi del Ministero per lo sviluppo economico.
3. PROSPETTIVE PER IL FUTURO – Nonostante non siano al momento previsti tagli maggiori per il settore né per l’anno in corso, né per il prossimo, i livelli di budget correnti si rivelano comunque critici – rasentando l’1% del PIL totale. L’Italia, infatti, se chiamata o costretta ad esprimersi militarmente, incontrerebbe delle difficoltà – la disputa con la Francia su un potenziale intervento militare in Libia può rappresentare un buon esempio in tal senso. A dispetto delle priorità politico-strategiche espresse dal Libro bianco e richiamate anche in altri documenti ministeriali, l’Italia non è al momento in grado di intervenire autonomamente a difesa dei propri interessi nazionali – ad esempio proprio nel contesto africano. E, a onor del vero, un suo intervento militare sembra compromesso anche all’interno di una eventuale coalizione – come relativamente alla lotta a ISIS.
Questo non solo in termini di mezzi e forze rischierabili – sebbene efficienza dei mezzi e addestramento approfondito siano da anni considerati come nei (tanto che il Ministero della difesa si impegna ad attenzionare maggiormente le esigenze di formazione permanente del personale) – ma anche per ciò che riguarda i programmi di armamento futuri e congiunti. L’Italia è attualmente partner di diversi programmi internazionali – come le FREMM (sviluppate in collaborazione con la Francia in senso all’OCCAR) o il MALE 2020. L’aumento delle spese per la difesa in Paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna – che pure, un po’ come l’Italia, vengono fuori da un periodo di declino – sta già portando con sé diversi sforzi di ammodernamento, che potrebbero anche diventare congiunti.
Con l’attuale livello di spesa, l’Italia rischia non solo di rimanere a margine di importanti programmi internazionali, ma anche di perdere l’occasione di divenire parte di nuovi possibili blocchi di potere a livello europeo. Un peccato se si considerano gli attuali sforzi – talvolta andati a buon fine – di rilanciare, attraverso una politica estera più muscolare, il ruolo di Roma come partner internazionale affidabile.
Giulia Tilenni
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Caffè Geopolitico si è già occupato estensivamente dei problemi “storici” del bilancio della difesa italiano in un e-book del luglio 2014, che potete scaricare gratuitamente qui.
Per ulteriori approfondimenti su budget della difesa e argomenti correlati, vi suggeriamo, sulle nostre pagine:
- La postura strategica britannica;
- Inefficienza velivoli: i casi Francia, Germania e Regno Unito;
- A quando una geostrategia italiana?[/box]
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